Storie di vita: le paure, i desideri e le avventure di Adriano Botta in cui è facile ritrovarsi.
Alessandria d’Egitto, gennaio 1946. Lago Mariut, ore 05.00 del mattino: un capannone col tetto di metallo, quattro panche, un vecchio bancone e una bilancia pesa bagagli era ciò che si poteva definire “Air Terminal” a quei tempi. Tre facchini si precipitarono a pesare
le nostre valigie. Un ufficiale inglese ci annunciò di imbarcarci sul motoscafo.
“Come sarebbe a dire di imbarcarci sul motoscafo?” Zia Meryvera era preoccupata. “Cara
zia, per raggiungere l’aereo che sta in mezzo al lago dobbiamo salirci!” Albeggiava, e l’idrovolante lo si notava nella nebbia per le sue luci di posizione. Man mano che si avvicinava sembrava un grosso pellicano dormiente. Poco dopo l’imbarco, l’assistente di
volo ci mostrò i nostri posti. Eravamo in ventisei, noi compresi. Il comandante salutò i nuovi venuti, e fatte le abituali operazioni accese i quattro motori e partimmo!
Notai il pallore di mia zia: era la prima volta che saliva su un aereo, ma il desiderio di rivedere la figlia Clotilde dopo due anni le aveva dato coraggio.
Anch’io ero molto emozionato: era finita la guerra da un anno, il traffico marittimo nel Canale di Suez era ripreso nei due sensi e i piroscafi erano pieni all’inverosimile per la rotta verso il Sudafriaca! Da bambino vivevo al Cairo e andavo spesso in riva al Nilo assieme a mio fratello Rawi e a Milly, la nostra tata. Mi piaceva ammirare l’idrovolante dell’Imperial Airways proveniente da Londra: scaricava, caricava merci e passeggeri e ripartiva per altre destinazioni africane.
Sognavo di poter un giorno fare un viaggio su quel mostro d’acciaio, per me era un sogno! “Forse, dico forse un giorno farai un viaggio su uno di quei cosi! ”La voce suadente di mio fratello che era anche un sensitivo, interrompeva il mio fantasticare. Egli aveva il dono di prevedere cose e fatti che si erano puntualmente verificati, ma di viaggi in aereo non ne aveva mai parlato. A due isolati dalla casa del nonno c’era l’agenzia di viaggi Thomas Cook. Una gentile zitellona inglese rispondeva a tutte le mie domande: gli itinerari dell’idrovolante, gli orari ed i vari scali.
Quell’aereo era diventato la mia passione, ed incredibilmente un giorno il mio sogno si avverò! L’indomani dell’Epifania del 1946, zia Meryvera ricevette una lettera di sua figlia Ilda dal Sudafrica annunciando che era in dolce attesa, e la zia decise di andarla a trovare a tutti i costi. L’unica soluzione possibile era di viaggiare in aereo, possibilità che azzardai
sottovoce. Ma sorgeva un problema: come lo avrei annunciato ai miei genitori? Fu lo zio Demo a tranquillizzarmi.
“Tua madre due giorni prima della tua partenza partirà per Asswan con le Dame della Corte e come al solito ci starà per tutto gennaio. Tuo padre sta sui cantieri nel deserto, per cui parti tranquillo! L’aereo impiega tre giorni da Alessandria per Johannesburg, starai da Clotilde qualche giorno e poi tornerai. Tra voli e soggiorno starai via circa due settimane. Avviserò i Salesiani della tua assenza, e mi raccomando fai attenzione a zia Meryvera, lo sai che è un po’ svampita!”
Ed eccomi a bordo dell’aereo che avevo ammirato per tanto tempo. A quel tempo la pressurizzazione non esisteva, ed eravamo costretti ad otturarci le orecchie con la bambagia per evitare il rumore dei quattro motori. Giunti al Cairo, l’idrovolante ammarò sul Nilo. Fummo condotti in motoscafo alla Mayflower, un vecchio battello fluviale che fungeva da “Air Terminal” e ci fu offerta la prima colazione. Mangiammo poco: temevamo che poi in volo avremmo potuto avere il mal d’aria. Ripartimmo alla volta di Khartoum: un viaggio di quasi sei ore durante il quale iniziammo a conoscere i nostri compagni di viaggio. Erano militari con le loro signore che tornavano in Sudafrica dopo un’assenza di quattro lunghi anni.
Giungemmo a Khartoum, e fummo trasferiti in un vecchio autobus al Grand Hotel, in quel tempo un oasi fiorita di pace. In sette ore passammo da una temperatura di sette gradi di Alessandria ai trentadue di Khartoum. Gli alberghi ed i pasti erano inclusi nel prezzo dei biglietti. George, il marito di mia cugina, venne a prenderci al Terminal di Johannesburg, dopo di che procedemmo in treno e vagone letto per Durban, nostra destinazione
finale. Nei giorni successivi George mi condusse in spiaggia: tempo magnifico e noi a crogiolarci al sole. Però io dovevo tornare in Egitto, e scoprimmo che tutti i voli erano pieni. Riuscimmo a cambiare il mio biglietto aereo con un passaggio in nave.
L’Oranje, una grossa nave passeggeri, collegava il Sudafrica con l’Europa e transitava nel canale di Suez dopo 13 giorni, toccando Dar el Salam e Aden. Ottenni un posto letto in seconda classe, che avrei diviso con tre sacerdoti. Fu un viaggio meraviglioso. Il mio sogno di volare si era avverato, e avevo raccolto tanto materiale che sicuramente un giorno avrei pubblicato, come avvenuto dopo oltre settant’anni.