Viaggio nello sviluppo urbanistico di una città che non riuscì ad accaparrarsi il titolo di Marina di Roma per motivi inspiegabilidi Silvio Vitone
Il finire del secolo XIX e l’inizio del successivo, fino al perdurare dell’ impresa libica, nella nostra Italietta umbertina,fu caratterizzato da interventi urbanistico – architettonici, sulle coste mai visti in precedenza, che, in prima approssimazione e in via semplificativa, possono essere definiti come “la corsa al mare”. La smania per la villeggiatura da parte dell’aristocrazia terriera e della stessa nobiltà privilegiava, ancora fin oltre la seconda metà dell’Ottocento, la vacanza in campagna all’ombra dei latifondi . Ma poi le cose cambiarono. Si manifestò l’esigenza di trovare spazi più salubri rispetto alle città, il farsi strada delle teorie utopistiche sulla città giardino (garden city) e soprattutto l’affermarsi di una borghesia desiderosa di costruirsi ville sontuose nel verde.
E’ tutto un fiorire di perimetrazioni per accogliere quartieri ampi, decorosi e vicini alla natura (non solo in riva al mare; si pensi al quartiere Coppedè a Roma).
Il modo diverso di costruire e progettare ha un nome: “Il floreale” meglio conosciuto in Italia come liberty, che interessa tutte le arti figurative e vanta risvolti filosofico – letterari.
Nel nostro Paese, purtroppo, le espressioni del nuovo stile, in campo architettonico, non di rado appaiono appesantite dall’imperante eclettismo, carico di suggestioni pseudo medioevali e da un neoclassicismo di maniera; è un po’ il retaggio di una mentalità provincialotta ed ancorata alla tradizione, che non si apre, del tutto, ai nuovi influssi dell’Art Noveaufrancesee del Modernismo, ed agli influssi provenienti da altri paesi europei.
Ma torniamo al mare, dove all’ombra dei pini, cullati dalla brezza marina,si può ammirare un’ architettura leggiadra per merito della committenza danarosa e della creatività degli architetti.
Viene concepita e realizzata una struttura, che non ha riscontri nel passato: lo stabilimento balneare, destinata ad ospitare coloro che si vogliono dedicare ai bagni di sole e soprattutto di mare; è un luogo di feste, di svago e di rilassatezze, con annesso ristorante e servizi per i bagnanti. Un esempio da non dimenticare è offerto dal Gran Caffè Margherita a Viareggio, alla cui costruzione partecipò anche un nome di tutto rispetto come Galileo Chini. Analogo discorso vale per le coste romagnole. Qui la bandiera (non quella blu) spetta a Rimini, che già nel 1906 può vantare 80 mila posti letto, segno di un turismo a che si avvia a diventare di massa.
E a Ladispoli ? Un po’ di tutto questo, ma in tono decisamente minore.
Le premesse erano del tutto lusinghiere perché sulla costa dei butteri e delle vacche maremmane tra i fossi Sanguinara e Vaccina veniva a disegnarsi una città (nel senso di polis) nuova di zecca e con un nome altisonante. Questa città non nasce per caso;è frutto della mente di un ingegnere, Cantoni ed ha “la benedizione ed il beneplacito di un principe, da cui prende il nome”.
E’ vicinissima a Roma, è collegata alla Capitale anche con la ferrovia; è mèta, già sul finire dell’ Ottocento, di festose comitive di bagnanti e vacanzieri.
Eppure non decolla. L’impegno ed il sogno dell’ingegner Cantoni di fare di Ladispoli, la Marina di Roma si arena sulla famosa sabbia nera. Non dico che avrebbe potuto rivaleggiare con Rimini o Viareggio, ma si lascia sorpassare dalle vicine Santa Marinella ed Ostia.
Non mi addentro in analisi storico – sociologiche; ribadisco che la borghesia romana – danarosa dell’epoca – non ritenne qui di alzare le sue tende e di sfoggiare il suo lusso. Un’ipoteca sulla subalternità futura? Il destino di una spiaggia nazional – popolare?
Rileggo sul libro“ Ladispoli immagini e racconti da Caravaggio a Rossellini” del dr. Paliotta, già
sindaco della città litoranea, i nomi (e guardo spesso le relative immagini) dell’ albergo Diana, del Miramare, del “Moretti”,delle“Sirene” (quest’ultimo hotel non più esistente) ed ancora dello stabilimento balneare Dispari e della trattoria dei Cacciatori. Sono nomi ed immagini, che strappano qualche sentimento di emozione perché a loro sono legati fatti, avvenimenti, ricordi e memorie dei primordi di una giovane città. Però queste costruzioni, dal punto di vista stilistico, non suscitano gran entusiasmo. Possibile che a Ladispoli non sia capitato qualcuno di quegli architetti capace di esprimersi nel nuovo stile?
Dove sono la magniloquenza, la magnificenza, le arditezze, il linguaggio innovativo, che altrove e – non molto lontano – suscitano contentezza, meraviglia ed anche un po’ di invidia ancora oggi ?
Quello che rimane (e che non è stato sostituito dalle brutture attuali) è poco, ma nel suo piccolo è significativo di un’epoca più che di uno stile; perciò teniamocelo stretto.
In una eventuale riedizione dei giri e percorsi archeologici che si effettuavano ai tempi del G A R propongo di inserire anche il percorso in via Duca degli Abruzzi, dove si respira un’aria vagamente retrò di una Ladispoli di altri tempi con qualche villa con giardino, dalle linee sobrie ed eleganti.