Verità ed Occidente nella prospettiva di Heidegger

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Qual è il nesso, nel filosofo tedesco, tra velamento dell’ “essere”, volontà di potenza, nuovo senso della verità nel mondo “romano-cristiano” e l’errare, nesso che conduce al tramonto della cultura greca originaria e da cui è orientata la storia dell’Occidente?

di ANTONIO CALICCHIO

Nella lingua latina, occidens, occidentis (sottinteso “sole”) deriva dal participio presente del verbo occidere, composto da ob- e cadere, che significa letteralmente “cadere sotto del sole”, “cadere del sole nella notte”, cioè “tramontare”. In italiano, “Occidente” è l’occaso, il crepuscolo, il luogo e il tempo in cui il sole scompare. Heidegger ha sempre affermato essere l’Occidente la Terra del tramonto e dell’errare, giacché ivi tramonta il fondamento di ogni opera e, quindi, della totalità degli enti. Fondamento che costituisce il senso dell’ “essere”.

In che senso, in Heidegger, l’Occidente è un “errore”, Occidente inteso, ad es., come cristianesimo, scienza, nazismo? Dal corso, da lui svolto, presso l’Università di Friburgo, nell’a.a. 1942/1943, pubblicato col titolo Parmenide, si possono desumere utili ragguagli, tanto più perché l’opera risulta una presentazione in toto del suo pensiero.

Secondo il filosofo tedesco, l’ “essere” non è l’ “ente”, né tantomeno quel Super-ente che è Dio, proprio della tradizione dell’Occidente. L’essere, per lui, è, invece, ciò che si manifesta nel “disvelamento”. Nella lingua greca antica, si rinviene il termine alétheia, reso, in italiano, con la parola “verità”, quantunque una traduzione ad litteram conduca, appunto, a “disvelamento”, in cui il prefisso “dis” combacia con l’ “alfa” privativo di a-létheia. Nella cultura greca, quindi, la “verità” è togliere dal “velamento”, ovverosia dalla léthe, dalla latenza, dal nascondimento: la verità è intesa come non-nascondimento. Però, il “disvelamento” non è un atto umano, ma è una luce che nasce dalla oscurità e che illumina gli enti, ad avviso di Heidegger, secondo il quale essa luce, prima di illuminare gli enti, dischiude una “radura” luminosa che non è formata e non rappresenta nessun ente, essendo l’ ”essere” di ciascun ente.

I primi pensatori greci ritenevano che la verità non regna gli enti, ma, disvelandoli, li “lascia essere” nella luce. La volontà di potenza si identifica col tramonto del senso greco dell’ “essere”. Non intendo, in questa sede, sottolineare la soggettività, o meno, di questa tesi dottrinale, ma vorrei porre l’accento sul nesso, evidenziato, in questi passaggi, da Heidegger, che lega il velamento dell’ “essere”, alla volontà di potenza, al nuovo senso della verità, sostenuto dal mondo “romano-cristiano”, e all’errore, nesso che sfocia nel tramonto della primigenia grecità e da cui sarà guidata la storia occidentale.

Qual’è il pensiero di Heidegger?

Occorre muovere, ancora una volta, nelle argomentazioni heideggeriane, da un esame lessicale. Orbene, in italiano, si dice “verità”, in tedesco, Wahrheit: entrambe scaturiscono dal vocabolo latino verum, e tutte e tre discendono dalla radice indoeuropea ver, che esprime lo sbarramento, ossia la barriera nei confronti di ciò che è contrario, barriera che ripara, chiude e, quindi, vela e nasconde. Di qui, lo sconvolgimento fondamentale: il verum dei Romani è ciò che la cultura greca definisce velamento, nascondimento, vale a dire il non-vero. La barriera è sicura sol che rimanga stabile, in piedi, senza crollare – significati, questi, compresi nella radice ver – al punto che il verum “romano-cristiano” è “ciò che sta saldamente diritto”, è ciò che domina, e intanto domina in quanto volontà di potenza e di comando: ed infatti, “il comandare, in quanto fondamento essenziale del potere, implica ‘essere al di sopra’ “.

Heidegger tralascia di considerare che stare eretto è il significato di ciò che i pensatori greci denominavano epistème, tradotta col termine “scienza”. Ed egli asserisce che, nel mondo “romano-cristiano”, il senso della verità come “disvelamento” si è smarrito. Cristo dice: “Ego sum via, veritas et vita”, con parole che di greco hanno unicamente la lettera. La romanità traccia le linee della cristianità, l’impero civile diviene l’impero ecclesiastico, cioè il sacerdozio: “l’ ‘imperiale’ viene ad assumere la forma del curiale della curia del Papa romano, il cui potere si fonda anch’esso sul comando”. Se gli dèi greci sono il risplendere di enti, anzi sono “l’essere stesso che guarda entro l’ente” e non sono persone, così come la psyche greca non è l’ “anima” cristiana, invece il “Dio creatore e redentore … padroneggia e calcola ogni ente”.

In Heidegger, pure la scienza è “un padroneggiamento conoscitivo” delle cose, senza che abbia più alcun legame col “disvelamento” dell’ “essere”. Anche la politica, nella civiltà occidentale, è pensata in modo romano, politica che, nelle poleis greche, si mostra come la sede del “disvelamento”. Ma pure il nazismo, come Simon Weil aveva affermato, ricade nell’ambito della romanità (ancorché Heidegger non lo dichiari espressamente)! La veritasrappresenta il velamento dell’ “essere”, l’oblio e il tramonto del senso della verità e dell’essere. E tale velamento è la matrice dell’errore: “la dimenticanza dell’essere … induce in errore la storia della umanità”.

Un giudizio negativo formulato nei riguardi della storia dell’Occidente, nonché di tutto quanto essa contiene, ivi compreso il cristianesimo. Però, non è agevole capire, a questo punto, il motivo per il quale Heidegger, proprio in quel periodo, sosteneva di lasciare salve le questioni relative all’esistenza di Dio e all’immortalità dell’anima, risolte, invece, positivamente dal cristianesimo.