Venti anni per risolvere il mistero dell’Olgiata

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Il 10 luglio del 1991 veniva uccisa la contessa Alberica Filo della Torre nell’esclusivo quartiere a nord di Romadi Antonio Calicchio

Il delitto dell’Olgiata è avvenuto il 10 luglio 1991, in una villa dell’Olgiata, zona esclusiva ubicata a nord di Roma, la cui vittima fu la contessa Alberica Filo della Torre.

Il caso è rimasto irrisolto per circa vent’anni, quando, nel 2011, la prova del DNA ha identificato il responsabile in Manuel Winston, cameriere filippino, ex-dipendente della famiglia, che ha, poi, confessato l’accaduto, il 1º aprile 2011. All’imputazione e alla confessione ha fatto seguito la condanna a 16 anni di reclusione, inflitta il 14 novembre seguente e confermata il 9 ottobre 2012.

Donna facoltosa della buona società romana, dedita al sostegno di opere benefiche, Alberica Filo della Torre era nata a Roma nel 1949, apparteneva al ramo dei conti di Torre Santa Susanna della nobile famiglia napoletana Filo ed era stata sposata, in prime nozze, con Don Alfonso de Liguoro, dei principi di Presicce, con matrimonio dichiarato nullo dalla Sacra Rota, e, in seconde nozze, a Roma, nel 1981, con l’imprenditore ed ex A.D. della Vianini, Pietro Mattei. Era madre di due figli.

La mattina del delitto, la contessa si trovava nella sua abitazione dell’Olgiata, mentre il marito era a lavoro. Nella villa erano presenti i due figli, due domestiche filippine (tra cui Violeta Alpaga, colei che rinverrà il cadavere della donna), la babysitter inglese, nonché quattro operai che stavano allestendo l’abitazione per ospitarvi la festa d’anniversario di nozze dei coniugi Mattei, prevista proprio per quella sera.

Tra le 7.00 e le 7.30, la villa inizia ad animarsi: ed infatti, la cameriera comincia a preparare il giardino per la festa della sera, mentre gli operai sistemano il barbecue. Frattanto, si svegliano anche la contessa e i due bambini, secondo la testimonianza della cameriera Alpaga la quale porterà la colazione alla donna verso le 7.45, prima di tornare in cucina.

Sempre secondo la teste, la contessa scenderà al piano inferiore verso le 8.30, per rientrare in camera un quarto d’ora più tardi. Dalla sua stanza la contessa non uscirà viva. Verso le 9.15, la domestica e la piccola Domitilla bussano una prima volta alla porta della stanza chiusa dall’interno, ma non ottengono risposta.

Più tardi, verso le 10.30-11.00, secondo la stessa deposizione, Violeta Alpaga e la bambina tornano a bussare alla camera, sempre invano, nonostante il ricorso al telefono interno. Ed infine, trovata una seconda chiave, le due riescono ad accedere alla stanza in cui rinvengono il corpo della donna riverso a terra, con la testa avvolta in un lenzuolo.

Allertate le forze dell’ordine, i primi ad accorrere sono i carabinieri circoscrizionali, seguiti da quelli del nucleo operativo. E sono le 12.00-12.30 ca.

Si scopre che la contessa è stata, dapprima, tramortita con un colpo da corpo contundente e, successivamente, uccisa mediante strangolamento. E dalla stanza risulteranno mancare alcuni gioielli, presumibilmente trafugati dall’assassino.

Gli inquirenti, anziché sul movente della rapina, si concentrano inizialmente sull’ipotesi del delitto passionale, ma l’idea è destinata a scemare nel giro di una giornata.

Ed invece, per i carabinieri l’assassino doveva essere qualcuno che la vittima conosceva e di cui si fidava, qualcuno in grado di entrare nella villa e muoversi pressoché indisturbato, malgrado l’affollamento di quella mattina.

Trovandosi, il marito della vittima, in ufficio durante il delitto, i primi sospetti si incentrano sul figlio dell’insegnante di inglese dei bambini di casa Mattei, un giovane con alcuni problemi psichici che viene inquisito per alcune macchie ematiche rinvenute sui suoi pantaloni; sarà l’esame del DNA a scagionarlo.

Dopo, i sospetti si spostano su Manuel Winston, cameriere filippino licenziato poco tempo prima, ma anch’egli è scagionato dalle analisi del DNA, che non conseguono risultati certi. Nell’autunno 1991, atteso l’apparente arenarsi delle indagini, il PM decide di porre il caso in “quiescenza”.

Nell’ottobre 1993, il c.d. scandalo SISDE, riporta in auge il delitto dell’Olgiata: l’indagato per costituzione di fondi privati per il tramite di fondi riservati del SISDE, era amico della famiglia Mattei-Filo della Torre.

La pista sembra promettente; ed infatti, recatosi a Zurigo, il PM scopre alcuni conti bancari intestati ad Alberica. Il costruttore Pietro Mattei finisce sotto i riflettori, ma anche questa pista si rivela un insuccesso, che frustra ulteriormente gli sforzi degli inquirenti.

Nel 1996, un nuovo procuratore aggiunto va a occuparsi del caso. Gli investigatori, in virtù di rogatorie finanziarie internazionali, tentano di venire a capo dell’intricato assetto di conti finanziari intestati alla contessa che conducono a scoprire trasferimenti di denaro dalla Svizzera al Lussemburgo, ma le indagini si fermano anche su questo versante. Ed invero, gli inquirenti accertano che non sussiste alcuna anomalia nei conti della contessa e del marito.

Nel gennaio 2007, il caso viene riaperto, a seguito di un’istanza di Pietro Mattei, vedovo della contessa, che invoca ulteriori analisi del DNA, alla luce delle nuove tecniche investigative, su tutti i reperti e, in particolare, sul lenzuolo che venne utilizzato per strangolare la vittima e sull’orologio della stessa. Accolta detta istanza, le nuove analisi, svolte dai consulenti tecnici del PM, non sortiscono alcun esito, così che il PM, nel maggio 2008, richiede una nuova archiviazione. Pietro Mattei propone nuovamente opposizione, ed il GIP, in accoglimento dell’istanza, dispone l’effettuazione di ulteriori analisi. L’anno seguente, il nuovo PM affida al RIS il compito di analizzare l’orologio e il lenzuolo, alla ricerca di tracce di DNA dell’assassino proprio sull’orologio e sul lenzuolo, già oggetto di analisi, senza produrre alcun risultato, da parte dei precedenti consulenti tecnici, e vengono trovate, dal RIS, tracce di Manuel Winston. Ed inoltre, il PM, nel riesaminare gli atti dell’indagine, si avvede che l’assassino avrebbe potuto essere assicurato alla giustizia subito dopo il delitto, ove soltanto fossero state ascoltate tutte le registrazioni delle telefonate del Winston. Ed infatti, la Procura, a suo tempo, aveva disposto l’intercettazione delle telefonate del Winston, ma aveva omesso di ascoltare la registrazione del colloquio dello stesso con un ricettatore, al quale intendeva vendere i gioielli trafugati alla contessa. Registrazione, questa, che, costituendo una prova della sua colpevolezza, è rimasta inascoltata per vent’anni negli archivi della Procura.

Il 29 marzo 2011, la prova del DNA sui reperti, accerta, in modo che gli inquirenti considerano definitivo, la colpevolezza di Manuel Winston, il cameriere filippino licenziato poco tempo prima del delitto, già indagato inizialmente. Le tracce del suo DNA vengono ritrovate sul lenzuolo utilizzato per strangolare la vittima.

Il sospettato, tratto in arresto immediatamente dopo il risultato degli esami sulla base del pericolo di fuga, confessa il 1º aprile. Nell’ambito del processo che ne deriva, egli viene condannato a 16 anni di reclusione, con pena confermata anche in secondo grado.

Il 30 gennaio 2012, è stata costituita, dietro iniziativa dei congiunti, Pietro, Domitilla e Manfredi Mattei, la Fondazione “Alberica Filo della Torre”, che si prefigge lo scopo di ricordare la lotta per la verità e la giustizia. Tale Fondazione si occupa di tutela legale e di sostegno formativo a coloro che non posseggono le risorse necessarie. In tal senso, nel 2012, è stato stipulato un accordo con l’Università di Roma “La Sapienza”, per l’erogazione di una Borsa di Studio per una tesi all’estero e, nel 2017, è stato concluso un Accordo Quadro con l’Università di Roma Tre, per il supporto e lo sviluppo del corso di Specializzazione in Indagine Forense. Ed inoltre, è costituito un comitato scientifico che si occupa di vagliare opportunità cui dedicare le competenze acquisite. La Fondazione opera attraverso atti di liberalità e conferimenti dei membri della medesima.

Questo orrendo fatto criminale induce a riflettere come ogni ordinamento giuridico, vero e sano, debba essere al servizio della persona umana; un servizio difficile, che si sviluppa in una società pluralista, ma quanto mai necessario, se si intende aiutare davvero la persona, garantendole una vita sociale equilibrata, giusta, ispirata ad una sana morale. Un servizio di cui necessita la società contemporanea, se si vuole farne una società giusta e degna di tale nome. Per realizzare questo ideale, bisogna conoscere la persona umana, la sua dignità, i suoi diritti, i suoi bisogni, le sue possibilità di azione e di svolgimento, tenuto conto del contesto in cui vive, delle risorse di cui dispone, del sostegno, morale e materiale, che le occorre. Il Diritto deve rispondere a questa immagine della persona umana, deve tener presenti quelle prospettive sempre nuove che sia la riflessione filosofica e scientifica, sia il giudizio della coscienza individuale, aprono.