L’inchiesta: la vita crudele delle galline in gabbia.
Sono passati esattamente 4 anni dall’inchiesta di Piergiorgio Giacovazzo, giornalista del TG2, su un allevamento di galline ovaiole del Nord Italia. Le galline in gabbia. Un’inchiesta vista da più di 2 milioni di spettatori, che ha portato in luce quanto l’industria delle uova sia crudele con loro. Ma le galline, a centinaia di migliaia, continuano a vivere l’incubo delle gabbie. Per questo torniamo a parlarne.
L’indagine fece molto scalpore, lo stabilimento in cui sono entrati era un capannone sporco e infestato da acari rossi e blatte, illuminato da una luce fioca. Stipate nelle gabbie le galline, ricoperte di pidocchi, acari, con le zampe deformate dalla vita in gabbia. Lontanissime dalle immagini a cui ci hanno abituato le pubblicità.
Così riporta AnimalEquality:”Hanno ulcere evidenti, la pelle rovinata dall’ammoniaca che si deposita nelle gabbie a causa delle deiezioni mai pulite, e molte hanno anche perso gran parte del piumaggio. Sono costrette a camminare sui corpi delle compagne morte, perché i cadaveri non vengono raccolti ma lasciati in putrefazione in mezzo agli animali vivi. E questa è la parte ‘visibile’ della loro sofferenza, ma poi c’è tutto il resto:
- Anche se la legge lo vieta, spesso in alcuni allevamenti le galline vengono private di acqua e cibo per diversi giorni, una pratica detta ‘muta forzata’ che accelera il processo di deposizione delle uova, ma che ignora totalmente i loro bisogni di base a scapito della loro salute.
- Soffrono di ernie, di stress, di un deperimento rapidissimo del corpo causato dall’iper sfruttamento, di comportamenti aggressivi e autolesionisti: tutte conseguenze della vita in gabbia.
- Una pratica standard dell’industria consiste nel debeccare le galline a pochi giorni dalla nascita, per impedire che si attacchino fra di loro a causa delle condizioni di stress estremo a cui sono costrette.