Unesco: Reggae e arte dei muretti a secco patrimonio dell’umanità

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E’ di ieri la notizia che l’Unesco, United Nations Educational, Scientific and Cultural Organization (Organizzazione delle Nazioni Unite per l’Educazione, la Scienza e la Cultura), ha iscritto nella lista degli elementi immateriali dichiarati “Patrimonio della umanità” e quindi da tutelare e valorizzare, la musica reggae e l’arte dei muretti a secco.

Come tutti sanno la musica reggae è uno stile, un ritmo, un modo di essere, un genere musicale nato negli anni ’60 e originario della Giamaica, la cui massima espressione e fama mondiale è stata ad opera del cantautore, chitarrista e attivista giamaicano, Bob Marley (1945-1981).  La Organizzazione spiega che, “Mentre nel suo stato embrionale il reggae era la voce degli emarginati, la musica ora è suonata e amata da un’ampia e trasversale porzione di società, inclusi vari gruppi etnici e religiosi”, senza comunque perdere il contatto con le sue origini. Su questo punto il ministro della Cultura dell’isola caraibica, Olivia Grange, ha precisato comunque che “Il reggae è unicamente giamaicano. E’ una musica che abbiamo creato e che poi è penetrata in tutti gli angoli del mondo”. Questo genere musicale ha infatti passato i confini di quella piccola isola caraibica, per espandersi negli USA e poi in tutto il resto del mondo dove ha ispirato anche di altri ritmi musicali come, per esempio, il punk e il rap in Gran Bretagna. Per l’Unesco le motivazioni di questa tutela  sono determinate dal fatto che il reggae ha “contribuito al dibattito internazionale su ingiustizia, resistenza, amore e umanità, sottolineando la dinamica dell’elemento che nello stesso tempo è cerebrale, socio-politico, sensuale e spirituale”.

 

Stesso importante traguardo è stato raggiunto per  “L’arte dei muretti a secco” o arte del “Dry stone walling”. Naturalmente non parliamo del muretto in sé, come bene materiale, ma di tutte quelle “conoscenze collegate alla costruzione di strutture di pietra, ammassando le pietre una sull’altra, non usando alcun altro elemento tranne, a volte, terra secca”, spiega l’Unesco nella motivazione del provvedimento. La realizzazione dei muretti a secco la troviamo anche nelle campagne della nostra bella Italia, spesso a delimitare i confini agricoli tra fondi attigui o tra strade ma anche per delineare i limiti di vecchi tracciati ferroviari oppure per sorreggere e rinforzare i terrazzamenti necessari per permettere la coltivazione anche in zone particolarmente scoscese. Questa tecnica, questa arte, è uno dei primi esempi di manifattura umana dove “Le strutture a secco sono sempre fatte in perfetta armonia con l’ambiente e la tecnica esemplifica una relazione armoniosa fra l’uomo e la natura. La pratica viene trasmessa principalmente attraverso l’applicazione pratica adattata alle particolari condizioni di ogni luogo” in cui viene utilizzata, spiega ancora l’Unesco. I muri a secco, sottolinea l’organizzazione, “svolgono un ruolo vitale nella prevenzione delle slavine, delle alluvioni, delle valanghe, nel combattere l’erosione e la desertificazione delle terre, migliorando la biodiversità e creando le migliori condizioni microclimatiche per l’agricoltura”. I paesi europei che hanno presentato la candidatura per questo elemento sono stati oltre l’Italia, la Croazia, la Francia, Cipro, la Grecia, la Slovenia, la Spagna e per finire la Svizzera.

 

Fa piacere che, mentre da una parte il consumismo, la industrializzazione e la globalizzazione incontrollata, portano a dimenticare e a disgregare queste identità culturali, l’UNESCO riesca ancora ad intervenire, spinto comunque dai singoli paesi richiedenti, a tutelare questo fragile patrimonio immateriale che diversamente rovinerebbe nel baratro dell’oblio.

                                                                                                        Pamela Stracci