CUNIBERTO: “A ROMA COMANDANO DAVOS E WASHINGTON, I COPIONI ERANO GIÀ SCRITTI”.
Calato il sipario sulla stucchevole sceneggiata, ciò che resta è una sensazione di opprimente stagnazione. Non cambiare niente, per non cambiare apparentemente niente. Siamo ben oltre il gattopardismo. I gattopardi almeno simulano una parvenza di cambiamento. Ben oltre all’eterno ritorno dell’uguale. Perché l’azione del tornare, implica un movimento. Invece qui siamo – apparentemente – alla palude. All’immobilismo di un potere che per perpetuare se stesso, sconvolge la vita dei popoli. Carlo Azeglio Ciampi per esempio sarebbe potuto essere il primo Presidente della Repubblica a ottenere il doppio mandato, ma rifiutò tale proposta.
“A mio avviso, il rinnovo di un mandato lungo, quale è quello settennale, mal si confà alle caratteristiche proprie della forma repubblicana”. E invece dopo Mattarella c’è Mattarella. Dopo Draghi c’è Draghi. E, come sponda perfetta, con un tempismo perfetto, la nomina a Presidente della Corte Costituzionale di Giuliano Amato, ossia l’uomo che nel 1992 in qualità di Presidente del Consiglio impose notte tempo, e senza preavviso, il prelievo forzoso dello 0, 6% di tutte le somme depositate nei conti bancari, che istituì l’ICI ed eliminò la scala mobile – strumento essenziale di tutela dei salari e delle pensioni – causando l’inizio dell’impoverimento di lavoratori e pensionati. Insomma un triade perfetta perché qualunque decretazione più o meno liberticida, qualunque scelta “lacrime e sangue”, magari suggerita dalla BCE o meglio dal Capitalismo Globale, non trovi alcun ostacolo. Lacrime e sangue per il popolo ovviamente. Giammai per l’elite finanziaria.
“La normalità che perseguiamo – aveva detto il Presidente Mattarella lo scorso dicembre – non sarà comunque il ritorno al mondo di prima”. Un caso – come evidenzia Flavio Piero Cuniberto, professore di Estetica all’Università di Pisa – che in queste parole sia ripetuto tale e quale, il concetto chiave, del World Economic Forum: «non si torna indietro», dalla «new normality» (tecnologicamente avanzata e politicamente poco democratica)? “Se è evidente che Draghi voleva il Quirinale (coronamento sontuoso di una brillante carriera internazionale), è altrettanto evidente, anzi notorio, che Mattarella sognava un meritato ritorno alla vita privata (l’età, sette anni impegnativi). È però arrivato un «niet» di quelli che non ammettono repliche: Draghi resti a Palazzo a Chigi, ancora per un po’, e chi meglio di Mattarella può garantire (per un po’) una continuità ferrea col «regime» pandemico e la «nuova normalità» autoritaria? Il «niet» è arrivato dagli ambienti dell’alta finanza newyorkese, i cui progetti sulla politica italiana erano del resto noti a tutti, anche solo da un recentissimo articolo del NYT (18 gennaio ’22).
Dunque obbedire e combattere per i padroni del vapore e del discorso. La prima serie di votazioni non è stata che una vergognosa manfrina a giochi già fatti, per dare ai tele-dipendenti (telespettatori è debole) l’illusione di un Parlamento ancora democraticamente diviso, di un dibattito parlamentare non ancora defunto. Una commedia funebre: con l’esultanza finale dei finti protagonisti in libera uscita”. Scrive il professore Flavio Piero Cuniberto, sottolineando come Mattarella, nel suo discorso del 20 dicembre scorso abbia “battuto su un punto cruciale: alla vecchia normalità non si torna. Avremo, si potrebbe dire parafrasando Mattarella, una normalità «diversamente normale», come i disabili sono «diversamente abili». Anche se la pandemia finisce? Anche se la pandemia finisce. E perché? Perché ad esempio il passaporto verde – «giustificato» e lanciato dall’emergenza sanitaria – resterà in eterno, e così via. I più avveduti si saranno accorti che Mattarella ha ripetuto nel suo discorso, tale e quale, il concetto chiave del WEF: «non si torna indietro», sarà una «new normality» tecnologicamente aggiornata e politicamente assai meno democratica. A Roma comandano Davos e Washington, i copioni erano già scritti”.
Cuniberto conclude con una notazione storica illuminante: “Nessuna crisi internazionale degli ultimi centocinquant’anni – tranne le due guerre mondiali e le rivoluzioni russa e cinese – ha segnato uno stacco tale tra il prima e il dopo da escludere un «ritorno alla normalità di prima». Morale: quando i leader maximi pronosticavano che la pandemia sarebbe stata come la seconda guerra mondiale, non era affatto un delirio e nemmeno una previsione azzeccata. Era l’annuncio, un po’ precoce, di quello che era fin dall’inizio l’obiettivo non dichiarato della pandemia (tradito dall’immagine-lapsus della «ricostruzione»): una guerra sostitutiva, una rivoluzione sostitutiva”.