“Se ne va una generazione, quella che ha visto la guerra, ne ha sentito l’odore e le privazioni, tra la fuga in un rifugio antiaereo e la bramosa ricerca di qualcosa per sfamarsi”.
di Angelo Alfani
Da una cinquantina di giorni ci vediamo costretti a starcene in casa, a smucinare tra vecchie foto, lettere, ricordi.
Accade spesso, mi confermano amici che hanno avuto la ben più triste sorte di passare anni nelle galere, o lunghi periodi di degenza negli ospedali, o che per disgrazie fisiche loro, o di persone a loro care, sono stati forzatamente accasati per tempi infiniti.
Sono giorni in cui, accanto a ore passate ai fornelli, a discussioni e recriminazioni con chi si convive, a non rituali gesti di amore dimenticati, riaffiorano alla memoria episodi legati ai propri genitori, oramai scomparsi, alle tribolazioni da loro vissute, alla tenacia che li ha comunque sospinti in avanti, superando quanto a noi, oggi, sembra insuperabile.
Una sorella di mia nonna, che di miseria, di tragedie famigliari, di guerre, ben due, della terribile Spagnola che gli portò sottoterra un fratellino e altri parenti, ne aveva vissuta troppa, riassumeva il suo vivere con una frase densa di significati: “Cocco mio la vita l’avemo lottata tanto”
La lotta per l’esistenza, espressa semplicemente.
Mia convinzione è che sono giorni in cui si ricorda molto anche perché il futuro che ci aspetta è incerto, sicuramente periglioso per quasi tutti e si rimanda il pensarci.
Innumerevoli, a causa anche di questa pandemia, sono i genitori, i nonni che ci hanno lasciato, facendoci sentire ancor di più la solitudine del momento: soli ad affrontare l’oggi, ancor più soli ad affrontare il domani.
Girando su una pagina web di una amica del nord, a cui mi lega la stessa militanza politica, ho letto il breve testo, scritto da Fulvio Marcellitti, che ripropongo in parte:
Se ne vanno mesti, silenziosi, come magari è stata umile e silenziosa la loro vita, fatta di lavoro, di sacrifici.
Se ne va una generazione, quella che ha visto la guerra, ne ha sentito l’odore e le privazioni, tra la fuga in un rifugio antiaereo e la bramosa ricerca di qualcosa per sfamarsi. Se ne vanno mani indurite dai calli, visi segnati da rughe profonde, memorie di giornate passate sotto il sole cocente o il freddo pungente. Mani che hanno spostato macerie, impastato cemento, piegato ferro, in canottiera e cappello di carta di giornale. Se ne vanno quelli della Lambretta, della Fiat 500 o 600, dei primi frigoriferi, della televisione in bianco e nero. Ci lasciano, avvolti in un lenzuolo, come Cristo nel sudario, quelli del boom economico che con il sudore hanno ricostruito questa nostra nazione, regalandoci quel benessere di cui abbiamo impunemente approfittato. Se ne va l’esperienza, la comprensione, la pazienza, la resilienza, il rispetto, pregi oramai dimenticati. Se ne vanno senza una carezza, senza che nessuno gli stringesse la mano, senza neanche un ultimo bacio. Se ne vanno i nonni, memoria storica del nostro Paese, patrimonio della intera umanità. L’Italia intera deve dirvi GRAZIE .
P.s.
In ricordo di Paolino