Una città senza botteghe non è una città
I centri commerciali causano il deserto produttivo, occupazionale ed umano
di Alfonso Lustino
“Chi di noi vorrebbe una città con strade vuote, saracinesche abbassate, poche luci nelle strade, meno gente che vive le città? – afferma Alfonso Lustrino titolare di una piccola impresa a Ladispoli- Eppure a sentire la Confesercenti è questo lo scenario a cui siamo destinati se non si avrà un deciso cambio di rotta. In 40 capoluoghi di provincia di medie dimensioni in otto anni i negozi sono scesi del 15 %. Hanno chiuso soprattutto librerie (una su quattro, e addirittura due su quattro in alcune grandi città), negozi di giocattoli, d’abbigliamento e di tessuti, alimentari, tabaccai. Chiudono le macellerie, le profumerie, i negozi di ferramenta, e quelli che per caso aprono non durano più di un paio d’anni. La situazione a Ladispoli non sembra discostarsi molto dall’andazzo generale, anzi.
Nessuno governa più lo sviluppo delle attività commerciali, e nelle strade venditori di kebab e di chincaglierie cinesi si alternano a venditori di ortofrutta a basso costo (e bassa qualità). Per il resto la fanno da padroni la grande distribuzione, i centri commerciali e Amazon. Quasi scomparso il rapporto di fiducia che si instaurava col negoziante e le chiacchiere di confronto che nascevano tra i clienti. Ormai i supermercati sono sempre più simili a freddi e asettici distributori di prodotti e i centri commerciali raggruppano sotto lo stesso tetto svariate realtà confezionate a dovere. Nonostante l’attuale Centro Commerciale “La Palma” evidentemente non brilli, si è pensato di costruirne un altro al posto del vecchio campo sportivo.
Se il trend non cambia – sottolinea Lustrino – entro 10 anni rischiamo che non ci siano più negozi. Vi immaginate la nostra città senza botteghe, un Natale senza vetrine addobbate, una passeggiata attraverso il nulla?”
La situazione allarmante emerse già nel 2010 quando il CGIA di Mestre elaborò i dati del Ministero dello Sviluppo Economico e di Infocamere relativi alle conseguenze in termini di riduzione dell’occupazione, determinate dalla diffusione dei grandi centri commerciali.
I centri commerciali esercitano, di fatto, una concorrenza sleale nei confronti dei piccoli commercianti, perché possono permettersi, ad esempio, prezzi, orari e calendari di apertura che le “botteghe” non possono sostenere. Normalmente, la realizzazione di uno di questi centri, crea un deserto commerciale nel raggio di diversi chilometri attorno all’ insediamento. Al deserto commerciale si accompagna anche il deserto urbano, con i centri, quelli veri, delle città che vengono svuotati di contenuti e luoghi di incontro, ed un perenne disservizio per tutti quelli che al centro commerciale non ci vogliono o non ci possono andare, e che vengono privati di ogni alternativa per effettuare perfino le spese più elementari.
I dati dimostrano in modo inequivocabile che i grandi centri commerciali soffocano il piccolo commercio e l’indotto che da quest’ultimo deriva, e non sono in grado di compensare la perdita né in termini di posti di lavoro, né in quelli di qualità del servizio, qualità dei rapporti umani, qualità dell’ambiente.
Essi generano un impoverimento che il nostro territorio, la nostra economia, il nostro mondo del lavoro non si può più permettere.
Ogni posto di lavoro creato nella grande distribuzione costa 6 posti di lavoro nelle piccole botteghe commerciali.
Ricordiamocelo, quando dobbiamo fare un acquisto. Il mondo che verrà dipende da noi, dalle nostre scelte quotidiane. Ridiamo vita alle nostre botteghe, alle librerie, ai piccoli negozi a conduzione familiare.