Un giorno in biglietteria.
In questo ligio mattino di marzo, sono in servizio alla necropoli della Banditaccia, l’orario d’apertura del sito archeologico è dalle otto alle sedici pomeridiane. Ogni qualvolta percorro con la mia cinquecento la strada alberata (sono pini e cipressi sospirosi ai lati della via che, dopo l’antico borgo, dolcemente s’innalza fino a raggiungere la piazzola della necropoli ) non so il perché , ma sempre mi tornano in mente i versi malinconici della struggente poesia del Carducci “Davanti a S.Guido”: I cipressi che a Bolgheri alti e schietti /van da San Guido in duplice filar/.
Questo ligio mattino di marzo è umido e uggioso. Un leggero biancastro velo di nebbia veste il basso crinale di foschi monti ceriti, lasciando denudata la morbida cima. Al primo ponticello della strada alberata, al suono rumoroso della mia cinquecento, due ùpupe (timidi uccelli migratori molto amati da Eugenio Montale) scrosciando, si levano in volo; ogni anno, puntualmente sempre le ritrovo, lì, sull’alzata del ponte.
In pochi rapidi minuti raggiungo la piazzola della necropoli. Il bar-chalet di Ezio e Antonietta è già aperto (sono le sette e trenta). Parcheggiata l’utilitaria a lato della fontanella, mi accingo ad entrare. La signora Antonietta sentendomi arrivare ha già preparato l’abituale cappuccino accompagnato dal solito cornetto: la mia solita colazione. Uscito, raggiunto l’enorme cancello posto all’inizio della recinzione che “stringe d’assedio” una parte della vasta necropoli (sono all’incirca dodici ettari); premo il pulsante del citofono della stanza riservata ad ufficio in cui un custode, addetto alla sorveglianza notturna del sito cimiteriale e dei magazzini, ha terminato il servizio. La notte è stata la compagna del custode Scamagnini. Entrato, mi vengono incontro i due enormi pastori tedeschi (anch’essi notturni guardiani) danzandomi gioiosamente intorno: sono anni ormai che mi conoscono e ricambiano le mie coccole in modo fremente e sincero.
Dalla stanza a pianterreno dell’enorme edificio (un tempo lontano adibito a museo, ora non più!) dalla bacheca addossata alla parete tolgo due chiavi: una servente per l’aperura della Tomba dei Rilievi; l’altra per la biglietteria. Strette dolcemente nel pugno, m’accingo a questo rituale impegno.
La Tomba dei Rilievi si trova a circa duecento metri dall’edificio riservato agli uffici. Una vetusta quercia (quasi quattrocento anni di vita) e un ghignante leone scolpito nel tufo, sono all’inizio della profondissima scala che mena all’entrata dell’ipogeo della famiglia Matuna. La tomba è dotata di una porta di ferro, aperta la quale un’altra porta a vetri è a protezione della tomba stessa. Accendo la luce, e come sempre, l’emozione è fortissima: la tomba è di una bellezza straordinaria . Aspetto che la luce si spenga, poi risalgo la scala.
Al ritorno verso al biglietteria, una piccola volpe rossa velocemente mi attraversa la strada. D’improvviso si ferma iniziando a giostrare in strane movenze come volesse giocare, poi sparisce. Euforia o saluto?
Guardo il mio cipollotto da tasca: sono le otto precise! Infilo la chiave nell’apri-serranda della biglietteria che, svogliatamente, si alza con uno stridente cigolio…Fuori, una turista francese mi sta aspettando: “Bonjour madame, bienvenue a Cerveteri”.
Dalla rubrica Memorie