La rielezione del Presidente della Repubblica Sergio Mattarella dovrà essere la base di lancio di una coscienza civica che, attraverso la memoria ed il dialogo, possa favorire la convivenza delle diverse culture, corroborando le fondamenta di una società che si radica sui valori della democrazia, della libertà, della solidarietà, della tolleranza e del rispetto reciproco.
di Antonio Calicchio
Il Colle: con la lettera iniziale maiuscola, nel giornalismo politico, rappresenta il Quirinale, cioè il più elevato fra i sette di Roma, non solamente per i suoi 61 metri – nulla di vertiginoso – ma anche perché il solenne Palazzo, essendo stato reggia di Pontefici e di sovrani dell’Italia unita, oggi, è adibito ad abitazione del Presidente della Repubblica.
Per la nascita di un governo, il suo termine e le consultazioni, che conducono alla formazione del successivo, si “sale al Colle”. Queste fasi della vita politica hanno per regolatore, arbitro e garante di correttezza “l’uomo del Colle”, come è consueto affermare, con familiarità, mista a riverenza. E siffatta funzione gli è affidata dalla Costituzione, che, come suo primo atto, ha giurato di onorare innanzi al Parlamento, da cui viene eletto. La solennità che lo circonda (la guardia d’onore dei 100 corazzieri, lo stendardo personale, il saluto con gli squilli di tromba e le bandiere che si inchinano) è simbolo di osservanza per i compiti di colui il quale rappresenta quel bene ideale, culturale e civile costituito dall’Unità nazionale. La Carta gli conferisce, altresì, poteri di altro carattere, tesi a salvaguardare la tutela dei diritti di libertà, nell’alternanza delle maggioranze parlamentari e dei governi, in cui si manifesta la voluntas populi, come sosteneva Rousseau. Si tratta di poteri non meramente nominali, ma sostanziali, che postulano decisioni da assumere, in autonomia, conformemente ai principi ed alle norme costituzionali. Ciascun Presidente imprime un particolare segno al suo mandato, mediante sia le scelte che compie, che il suo stile. E così, è stato per i 12 che si sono succeduti al Quirinale, come sarà, ancora una volta, per Sergio Mattarella.
Eletto il 29 gennaio scorso, con 759 voti, all’8° scrutinio, tutti concordano nel ritenere che egli, al di là delle sue incombenze istituzionali, dovrà dedicarsi, in primis, a ravvivare e a riscoprire il sentimento di italianità, il quale si lega all’idea di una Italia bensì storicamente unita, ma socialmente, civilmente, culturalmente solidale, nel segno della Costituzione repubblicana, in cui si incarna lo spirito della Resistenza. E’ la Costituzione che ha consentito la rinascita, morale e materiale, della nostra Patria, i mutamenti socio-istituzionali, la creazione di un sistema di equilibri dei poteri, che ha assicurato, ed assicura, la libertà di tutti e di ciascuno! Non si dimentichi mai che la Costituzione è la base della convivenza civile dell’intera nazione, è la Magna Charta della democrazia italiana e delle sue libertà.
E il Presidente, che ne è il custode, si giova delle sue facoltà per l’adempimento di questo dovere, a presidio dei diritti dei cittadini, coltivando il senso dello Stato, la fedeltà ad una idea di Patria umana, generosa e fraterna, l’adesione al progetto di una Europa unita, l’impegno a suscitare, negli Italiani, il rispetto di se stessi.
La speranza è che il Presidente Mattarella offra due ulteriori garanzie: di pensare che la ragione, in quanto tale, debba essere ragionevole, ma non incline all’idea hegeliana secondo cui “per la Storia tutti hanno ragione contemporaneamente”; e di considerare, nelle sue distinzioni ideali, morali e civili, che giustizia, libertà e democrazia sono inseparabili e che vanno promosse, anche dal Quirinale, quotidianamente.
Per coloro i quali sono nati, nel nostro Paese, dopo la Seconda guerra mondiale, la democrazia è un valore acquisito. Si è “abituati” alla libertà, dimenticando, o, spesso, soltanto ignorando, che libertà e democrazia non sono conquiste che si auto sostentano, che producono, di per se stesse, i germogli per non sfiorire e contrastare antistorici ritorni al passato. Bobbio ha indicato, fra le promesse, “non mantenute”, della democrazia, la piena affermazione dello “spirito democratico”. Si può essere democratici non solo per convinzione, ma anche per accettazione passiva e tacita di principi, ormai, consolidati nella civiltà occidentale, senza una profonda adesione all’ethos, a quello spirito, appunto, il quale può evitare che la democrazia “deperisca”, per effetto di assuefazione, trovando, invece, continuo alimento nelle scelte esistenziali, nella concezione del mondo e della vita, nell’impegno socio-politico di ciascuno.
Zagrebelsky ha elencato alcuni rischi della democrazia, che possono concretizzarsi, a fortiori, in tempi di disincanto: “Invece dell’attaccamento, cresce l’apatia politica. In Italia, e, forse, non solo, si è democratici, non per convinzione, ma per assuefazione, e l’assuefazione può portare alla noia, persino, al rigetto. E’ pur vero che la partecipazione può, all’improvviso, infiammarsi e l’indifferenza può essere spazzata via da ventate di mobilitazione, in situazione eccezionale. Sono, però, reviviscenze che non promettono nulla di buono. Apatia e sovreccitazione sono, qui, a dimostrare che l’ethos della democrazia non si produce da sé”.
Se il problema è questo, allora come si può contribuire affinché l’ethos, lo spirito della democrazia, non si appanni, o, peggio, si disgreghi, con effetti sulle generazioni attuali e future? Democrazia è non solo “il governo del popolo”, come emerge dalla etimologia greca (e Tucidide ne fornisce una lezione nella orazione svolta da Pericle per i caduti, alla fine del primo anno della guerra peloponnesiaca), ma è, inoltre, consuetudine al dialogo, alla discussione, è confronto dialettico costante, è attitudine critica. Essa è il contrario di sopraffazione, di intolleranza, di disprezzo dell’altro, proprio dei sistemi totalitaristici. Democrazia è piena adesione al montesquieriano principio della tripartizione dei poteri, antidoto contro spinte autoritaristiche, è rispetto delle diversità, esercizio continuo di convivenza con realtà plurime, tanto etniche, quanto religiose. Per questa ragione fondamentale, la democrazia è una conquista da aggiornare sistematicamente, da adeguare col mutare delle società, pena il suo inaridimento, nel deserto dei luoghi comuni e delle certezze acquisite. Democrazia è partecipazione, rispetto del diritto e pluralismo. Ha scritto Alexis de Tocqueville: “Educare la democrazia, rianimare, se è possibile, le sue fedi, purificare i suoi costumi, regolare i suoi movimenti, sostituire, poco per volta, la scienza degli affari alla inesperienza, la conoscenza dei suoi reali interessi ai suoi ciechi istinti; adattare il suo governo ai tempi e ai luoghi, modificarlo secondo le circostanze e gli uomini: questo è il principale dovere che, oggi, si impone ai nostri governanti”.
Ad oltre 70 anni dal ritorno della libertà, in Italia, seguita la contrapposizione di memorie e di interpretazioni politiche, anche antitetiche, del passato. Non si è, ancora, raggiunta una serenità di giudizio storico in ordine agli accadimenti che attraversarono il Paese nel triennio 1943-1945. Ma anche il successivo triennio 1946-1948 rivestì altrettanta importanza storica per il destino dell’Italia, poiché vide compiere, al nostro Paese, delle scelte cruciali: “Instaurò la Repubblica al posto della Monarchia, e si schierò nel campo delle Democrazie occidentali”, osservava Montanelli. E l’ora della verità fa fatica a scoccare. Il timore esternato da alcuni studiosi – ivi incluso Montanelli – è reale: in concomitanza alla progressiva scomparsa degli ultimi testimoni diretti delle tragedie del Novecento, con le loro speranze e le loro paure, esiste il pericolo di un dissolvimento della memoria. Alla ricostruzione della memoria storica, il più possibile condivisa da tutti gli Italiani, deve dedicarsi anche il Presidente, in quanto esiste un dovere del ricordo, nel ripercorrere ogni pagina del nostro passato, anche quelle più buie, soprattutto del c.d. secolo breve, secondo la definizione elaborata da Hobsbawm, sulla scia di ciò che Todorov ha ricordato, vale a dire che nel mondo troppi sono ancora i rischi incombenti sulla democrazia.
Sergio Mattarella è stato, dunque, rieletto alla massima carica dello Stato e ha prestato giuramento di fedeltà alla Repubblica e di osservanza della Costituzione, dinanzi all’organo parlamentare, in seduta comune, il 3 febbraio. E’ il 13° Presidente della Repubblica. All’atto della comunicazione, presso il Quirinale, dell’esito della votazione, ad opera del Presidente della Camera dei deputati, Roberto Fico, e della Presidente del Senato, Maria Elisabetta Alberti Casellati, nonché della consegna, pro manibus, del relativo verbale, ha dichiarato che l’attuale situazione richiama “al senso di responsabilità e al rispetto delle decisioni del Parlamento. Queste condizioni impongono di non sottrarsi ai doveri cui si è chiamati. E devono prevalere su altre considerazioni e su prospettive personali differenti, con l’impegno di interpretare le attese e le speranze dei nostri concittadini”.
Il secolo dei totalitarismi, dei due conflitti mondiali, dell’Olocausto e dei Gulag ha lasciato, nella mente e nel cuore degli Italiani, la percezione del compito istituzionale che è chiamato ad esplicare il Presidente della nostra Repubblica, nella cui figura centrale ed unitaria essi si riconoscono come espressione di democrazia e di libertà. E ciascuna generazione si mostra pure essere il risultato di ciò che quelle precedenti sono state in grado di insegnare.
Rinvigorire la coesione nazionale, valorizzare le specificità delle nostre realtà locali – componenti essenziali della identità nazionale – sottolineare la dimensione etica della democrazia devono essere i prodromi del percorso istituzionale del nuovo Capo dello Stato, altrimenti l’Italia di oggi, repubblicana e democratica, potrebbe smarrire dei significativi punti di riferimento.
Della Repubblica, dell’unità nazionale, il Capo dello Stato è il massimo garante. Come orientamento, deve avere la Costituzione, le nostre tradizioni democratiche, il giuramento prestato dinanzi ai rappresentanti eletti della nazione, la sua coscienza. Il suo ruolo comporta l’esigenza di non chiudere mai la porta al dialogo, di affrontare il futuro con spirito creativo, senza cedere alla sindrome del declino, di non perdere mai di vista l’essere umano ed i suoi bisogni, materiali e spirituali, nel quadro di norme giuridiche ossequiose della dignità personale dell’individuo.
La libertà riconquistata, dopo la tragedia della guerra, va preservata con ogni mezzo. Amartya Sen ha notato che “per giudicare se vi sia o meno progresso, dobbiamo chiederci, innanzitutto, se siano promosse le libertà della persona. Lo sviluppo richiede che siano eliminate le principali fonti di illibertà: dalla povertà materiale alla carenza di servizi pubblici e di interventi sociali, dalla mancanza di sicurezza alle violazioni del diritto di partecipare alla vita sociale, politica ed economica”. Non è sostenibile uno sviluppo senza una ispirazione morale e sociale. E’ un fatto che alla espansione della economia mondiale, realizzata negli ultimi decenni, non è conseguita una più equa distribuzione del reddito fra i popoli del mondo. Al contrario, si è in presenza di un approfondimento del solco che divide i Paesi ricchi ed avanzati da quelli poveri ed arretrati.
Pertanto, in questo difficile periodo storico, contrassegnato da un senso di inquietudine e di incertezza, che ha investito la Nazione, non solo a causa della emergenza pandemica, il Presidente deve restituire fiducia e speranza all’intero Paese, nella prospettiva dell’unità e dell’idea di Patria, sorta dalle ceneri del Risorgimento e cementata dalla guerra di Liberazione dal nazi-fascismo, così da dar nuova linfa al sentimento dello spirito nazionale, nuovo coraggio ad una Italia solidale, pronta a fronteggiare le nuove sfide e le trasformazioni socio-economiche in atto.
Il senso dell’unità nazionale, la ricostruzione della identità nazionale, la riaffermazione dello spirito europeo devono rappresentare il faro che illumina l’operato del Presidente, nel compito di rafforzamento del sistema politico, con la consapevolezza di una azione e di un itinerario istituzionale, etico ed umano volto al naturale sviluppo e aggiornamento istituzionale, verso un futuro attraversato dalla esperienza e dalla memoria del passato. In ciò consiste la chiave di volta per comprendere il valore e il senso del progetto di Unione Europea. La quale può costituire un baluardo allo scopo di evitare il ritorno a pratiche di potere che sono state, in passato, un ostacolo ad un moderno sviluppo economico e sociale dell’Italia. Ed infatti, la possibilità di sviluppo sostenibile trova la sua linfa vitale nella democrazia, nella legalità, nella economia di mercato e di solidarietà. Ma il progetto di unità europea può impedire la riproposizione di quelle condizioni che, in passato, hanno visto il vecchio continente teatro delle dittature nazista e fascista, dei conflitti, delle distruzioni, delle deportazioni, degli stermini di massa, culminati nelle due guerre mondiali, del sec. XX.
Non trascuri, poi, il Presidente alcuna attenzione, nella sua attività, nei riguardi dei giovani, data la rilevanza della educazione e della formazione, comunicando l’amore per la conoscenza, il piacere di scoprire le cose, non rinunciando ad imparare con e da loro. Essi vanno educati, in primo luogo, con l’esempio, la probità, la dignità, il rispetto. Lo studio è impegno serio, è conquista, soddisfazione, giacché apprendere e allargare le conoscenze e, prima ancora, imparare a studiare, coltivare il desiderio di conoscere sono modi per affermare la propria persona. La conoscenza, il dialogo sono la difesa della nostra civiltà, sono i nodi centrali per la crescita del Paese. Il sapere, secondo la tradizione illuministica, riassunta nella esortazione kantiana “sapere aude”, trova il suo fondamento nella libertà, nella capacità dell’uomo di valersi del suo intelletto. Al contempo, il sapere è fonte di libertà, dal momento che ragione e scienza si configurano come quelle virtù civili indispensabili per liberare l’umanità dalla ignoranza, dalla superstizione, dall’ingiustizia, dal dispotismo e da ogni forma di violenza connessa con l’arbitrio ed il fanatismo cieco. La cultura e l’impiego critico della ragione sono, quindi, alla radice dell’affermazione del diritto e sono i cardini del progresso umano, progresso che può definirsi tale sol che si reputi sempre l’essere umano come fine e mai come mezzo.
Il nostro auspicio è che la coscienza civile degli Italiani possa, con la riconferma del Presidente Mattarella e in forza della memoria ed il dialogo, agevolare la convivenza delle diverse culture, consolidando le fondamenta di una società che si erge sui valori della democrazia, della libertà, della solidarietà, della tolleranza e del rispetto vicendevole.