“Il terzo bronzo di Riace si trova a Los Angeles”

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Intervista al giornalista d’inchiesta calabrese, Giuseppe Braghò, che nel suo libro “Facce di Bronzo, spiega perché la statua si troverebbe al Getty Museum di Giovanni Zucconi

Riprendiamo oggi un tema trattato in un nostro recente articolo, che ha avuto una grossa risonanza, anche a livello nazionale. La versione online ha avuto un record di accessi, contabilizzando decine di migliaia di lettori. Sono state molte le persone, da tutta Italia, anche direttori di testate giornalistiche, che hanno contattato la nostra Redazione per avere maggiori informazioni. Per questo abbiamo deciso di riprendere l’argomento, e di approfondire il tema che a nostro parere era il più interessante: l’esistenza di un terzo “Bronzo di Riace”. Vi ricorderete che l’avvocato Fiorilli, il protagonista di recuperi importanti come il nostro Cratere di Eufronio, ci aveva raccontato di una denuncia, fatta ai Carabinieri di Firenze, di una studentessa che affermava che il suo fidanzato aveva visto, nei magazzini del Getty Museum, un terzo “Bronzo di Riace”. Inizialmente abbiamo un po’ brancolato nel buio, fino a quando abbiamo scoperto che questo tema era già stato trattato, in maniera assolutamente esaustiva, da un giornalista d’inchiesta calabrese: Giuseppe Braghò. Abbiamo scoperto che lui aveva scritto ben due libri sull’argomento, frutto di 11 anni di ricerche. Il più noto è “Facce di Bronzo”, edito da Luigi Pellegrini Editore, che vi consiglio caldamente di leggere. Nel libro, Braghò ipotizza un vero furto con destrezza, degno di un film di Hollywood. Un furto che ha privato l’Italia di almeno una terza statua, e di almeno un corredo completo di scudi e lance. “Ipotizzare” è il termine corretto da utilizzare, perché nessuno, neanche Braghò, ha una prova certa dell’esistenza di questi reperti ma, come vedremo, ha raccolto una documentazione talmente convincente che è difficile rimanere indifferenti di fronte alle sue congetture. Le sintetizzo per chi ancora non avesse letto il suo libro. Giuseppe Braghò ipotizza che l’allora Soprintendente di Reggio Calabria, e lo scopritore ufficiale dei Bronzi, un sub, abbiano gestito la scoperta, e le successive fasi, in modo da garantirsi il tempo sufficiente per fare sparire almeno un bronzo e tutto il corredo. Questo in estrema sintesi. C’è molto di più nel libro. Per esempio si ipotizza che i veri scopritori furono 4 ragazzi del posto, ma questo esula dal nocciolo del nostro ragionamento, e quindi non lo approfondiremo. Accenniamo solo velocemente alla prova documentale più importante che cita Braghò, e che lui ha ritrovato, insieme ad altre decine di documenti, negli archivi della Soprintendenza di Reggio Calabria.

Tutti questi documenti sono stati fotografati, e pubblicati nella ricca sezione documentale del suo libro. Si tratta del verbale di denuncia fatto direttamente al Soprintendente, senza passare per i Carabinieri o per la Finanza. E’ il 17 agosto 1972. In questo verbale, in un linguaggio specialistico, più vicino ad un Archeologo che a un tecnico esperto di metalli, si parla di “un gruppo di statue”. Ne descrive una, con “braccia aperte e la gamba sopravanzante” che non assomiglia a nessuna delle due statue recuperate. Di un’altra dice che sul braccio sinistro c’è uno scudo che, come sappiamo, non è stato mai recuperato. Descrive inoltre le statue come pulite e prive di “incrostazioni evidenti”. Un secondo documento presente negli archivi della Soprintendenza, e che vale la pena di citare, è la ricevuta che scrive il Soprintendente a seguito della denuncia. In questo documento si prende atto della scoperta e si richiede di effettuare l’immediato recupero delle statue, facendosi aiutare da un suo amico. Avete letto bene. Un Soprintendente della Repubblica Italiana, un Archeologo professionista, chiede ad una persona qualsiasi, aiutato da un amico qualsiasi, di andare a recuperare, immediatamente, senza una preventiva ricognizione sistematica del luogo del ritrovamento, e senza una necessaria documentazione scientifica, due dei reperti più importanti della storia dell’Archeologia italiana. Nessuna foto fu fatta. Nessuna indagine stratigrafica. Nessun archeologo professionista chiamato ad assistere. Niente di niente. E i Carabinieri e Finanzieri furono allertati immediatamente? Naturalmente no. Io non voglio saltare a conclusioni affrettate. Ma leggendo la documentazione che potete trovare pubblicata nel suo libro, deduco, come il Braghò, evidenti anomalie nella procedura seguita, e nel verbale di denuncia. Questo è, più o meno, quello che serve per prepararvi a leggere l’intervista che gentilmente ci ha concesso Giuseppe Braghò.

Signor Braghò, quando ha cominciato ad avere dei dubbi sul ritrovamento dei due Bronzi di Riace?

“Io avevo iniziato a lavorare su questa vicenda senza avere il minimo sospetto. Questi sono nati dalla lettura della documentazione che sono riuscito a recuperare negli archivi della Soprintendenza di Reggio Calabria, e che nessuno aveva mai visionato. In particolare mi ha insospettito il verbale di denuncia. In questo verbale vengono descritti dei reperti che non corrispondono a quanto è stato poi recuperato.”

Quali sono le evidenze più significative che le hanno fatto credere che sia successo qualcosa di poco chiaro?

“Si dichiara nel verbale di denuncia di aver trovato un “gruppo di statue”. Un “gruppo” non sono “due”. Poi le descrive in un modo che non corrisponde a quanto effettivamente recuperato dai Carabinieri. Parla di una statua con le “braccia aperte e la gamba sopravanzante”. Nessuna delle due statue recuperate ha questo aspetto. Dove è finita? Sempre nel verbale parla di un’altra statua che presenta, sul braccio sinistro, uno scudo. Nessuno scudo è stato mai recuperato. Afferma che le statue sono pulite e prive di “incrostazioni evidenti”, mentre dai filmati dei recuperi, e dalla prime foto dei Carabinieri risultano essere piene di incrostazioni. Descrive una statua che si trova in una posizione supina, mentre poi i Carabinieri, come si vede dai filmati, la ritrovano prona. Una statua di 400 kg non si gira su se stessa con le correnti marine.”

Chi o che cosa gli aveva fatto cambiare posizione?

“Non lo sappiamo, ma sicuramente, nel momento della scoperta era in posizione supina. Lo conferma anche un rapporto dell’allora ispettore della Soprintendenza dell’area archeologica di Sibari, che, due giorni dopo, va a fare una ricognizione. Ben due giorni dopo. E anche in questo caso non abbiamo nessuna fotografia. Lui conferma, sostanzialmente, quanto raccontato da altri.”

Secondo lei cosa è successo?

“Per una causalità ancora tutta da controllare, i carabinieri sono andati a recuperarli solo quattro giorni dopo. Ma 4 giorni e 4 notti sono tanti per dei ladri. Per me hanno tentato di portarsi via anche un secondo bronzo, ma non ci sono riusciti. Quando arrivano i Carabinieri trovarono la statua in una posizione completamente diversa da quanto leggiamo nei verbali.”

Secondo lei sono riusciti a portarsi via solo una statua? Quella con le “braccia aperte”?

“Non solo quella. Hanno portato via anche almeno uno scudo e una lancia”

Come può affermarlo?

“C’è la testimonianza di una donna, dichiarata affidabile dai Carabinieri, che denunciò in Pretura che, lo stesso giorno del recupero dei due bronzi, a circa 600 metri di distanza dal luogo in cui stavano operando i sommozzatori dei Carabinieri, ha visto uscire due uomini dal mare con in mano un pesante scudo e una “lancia” spezzata in due. Lei credette che si trattasse della stessa operazione di recupero, e non si insospettì sul momento. Che fine hanno fatto quello scudo e quella lancia?”

Secondo lei chi è che ha sottratto quello che manca?

“La storia è iniziata molti mesi prima di quell’agosto 1972. Dal mare di fronte a Riace si sapeva che molti reperti erano stati recuperati da clandestini. Questo attirò l’attenzione di qualche sub, che non era nuovo a queste cose. Ad una giornalista de L’Ora, forse in un momento di poca lucidità, il sub confessò candidamente che, prima di ritrovare i Bronzi, aveva già fatto altre piccole scoperte archeologiche. Quindi lui non era lì per caso. Trovò i bronzi presumibilmente a metà agosto, ma poi ci fu l’intoppo dei quattro ragazzi che li scoprirono a loro volta e che fecero una denuncia ai Carabinieri di Monasterace. A questo punto chiese aiuto al Soprintendente di Reggio Calabria, un personaggio innamorato di denaro. Se non le basta, le posso anche raccontare che Reggio Calabria è una delle poche città in Italia con tre stazioni ferroviarie. Ne sarebbe bastata solo una. Le altre due sono state realizzate dove c’era un vincolo archeologico. L’area archeologica è stata completamente devastata. Indovini chi firmò i permessi per togliere i vincoli archeologici? Facendo partire una grande attività immobiliare. In cambio di qualcosa? Non lo sappiamo.”

Quindi lei dice che il sub, vista l’impossibilità di poter recuperare i bronzi in tutta tranquillità chiese aiuto al Soprintendente? Ma avrebbero avuto solo poche ore per organizzare il tutto.

“Eppure è andata proprio così. E’ stato organizzato tutto in fretta e in furia. Questo lo si capisce dai documenti ufficiali. Quando andò a denunciare il ritrovamento, il Soprintendete lo autorizzò a recuperarli immediatamente, insieme ad un suo amico. Si rende conto della gravità della cosa? Richiedere a dei non Archeologi un recupero così importante senza prima fare tutti i necessari rilevamenti previsti in qualsiasi ritrovamento. Non una planimetria, non una foto. Ma quando mai… Un archeologo professionista, un Soprintendente, non chiederebbe mai ad un pescatore subacqueo di andare a recuperare un importante reperto senza i necessari e accurati rilevamenti di archeologi qualificati. Non abbiamo nessuna foto di questa fase.  Perché tutta questa fretta? Per non parlare della comunicazione ai Carabinieri e alla Finanza, solo a voce, con il sub in veste di latore. Se quei ragazzini non avessero scoperto anche loro i bronzi davanti a Riace, adesso non avremmo neanche i due esposti nel museo di Reggio Calabria.”

Ha provato a chiedere spiegazioni al sub?

“Si, ma non ha mai accettato un confronto con me. Hanno cercato di organizzarlo tutte le più importanti reti televisive. Ma ha sempre rifiutato”

Lei hai presentato dei documenti inoppugnabili, e denunce fatte da testimoni affidabili e circostanziati. Perché non si è mosso nessun Pretore?

“All’epoca i magistrati non avevano la mania di emergere. Inoltre c’era il rispetto, il senso dell’onore. Quando un altro rappresentante dello Stato diceva la sua, gli altri facevano un passo indietro. C’era quel senso del rispetto per l’Autorità che oggi non c’è più. Quando il Pretore di Locri, che era la procura competente ricevette le rassicurazioni dal Soprintendente di Reggio Calabria, per lui era acqua santa. Non aveva nessun motivo per non credergli. Lo Stato e le sue Istituzioni non c’entrano nulla in questa storia. Tutte le operazioni di resistenza e di insabbiamento avevano il solo scopo di salvaguardare l’onorabilità della Soprintendenza, e quindi dello Stato stesso.”

Mi diceva che ha altre prove che qualcosa è stata portata via dalle acque di Riace.

“Si. Franco Bruno, un collega giornalista della RAI, mi disse che venne da lui un personaggio che affermava di aver venduto uno scudo e una lancia al Getty Museum, ma che poi non ricevette da loro tutti i soldi pattuiti. Era molto arrabbiato e voleva sputtanarli raccontando tutto. Io ho la registrazione di questa testimonianza di Bruno.”

Secondo lei dove sono nascosti tutti i reperti trafugati?

“Sicuramente nei magazzini del Getty Museum”

Prima mi accennava anche ad un coinvolgimento del Presidente americano George Bush.

“Bush era un petroliere, come lo era Getty, ed erano molto amici. Quando Paul Getty comprò il terzo bronzo, era cosciente che non l’avrebbe mai potuto esporre, e quindi lo donò al Presidente. Ma in seguito qualcuno disse a Bush che rischiava uno scandalo internazionale se qualcuno avesse parlato, e quindi lo restituì a Getty. Sicuramente adesso si trova in uno di quei famosi armadi di cui parlava l’avvocato Fiorilli.”

Questi passaggi lei come li conosce?

“Questi non lo posso documentare perché me li ha raccontati un amico che lavora nei Servizi. Mi ha detto anche che si sta lavorando per arrivare ad una soluzione diplomatica. Al Getty sono molto imbarazzati per la situazione”.

Questa la storia che pochi conoscono e che molti vorrebbero tenere dopo 45 anni ancora sepolta sotto la sabbia. Ovviamente tutti coloro che avessero contribuiti da aggiungere o volessero intervenire nel dibattito, avranno adeguato spazio.