SULLA PROVENIENZA DEI DECESSI DOBBIAMO AVERE DATI CERTI

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morti in casa di cura
covid
Dottor Professor
Aldo Ercoli

Esiste una casistica a livello nazionale che possa far luce su quante persone muoiono in ospedale, in casa o nelle RSA (residenze per anziani)?
Non mi risulta. Qualche indicazione al riguardo, alquanto dettagliata, ci viene data dalla Lombardia e Veneto, due regioni fortemente colpite dalla pandemia del Cov-2. In Lombardia su 19.706 morti registrati dall’inizio della pandemia fino al 17 novembre 2020 nelle terapie intensive è stata registrata una cifra del 9.7% del totale e del 16.1% dei decessi complessivi ospedalieri.

«Questi numeri ci dicono che i morti non vengono dalla terapia intensiva» cosi ha detto, ai primi di novembre, il professor Giuliano Remuzzi, direttore dell’Istituto Mario Negri di Milano, uno dei più importanti ricercatori italiani.

«Da dove derivano allora?». Questo si è chiesto il giornalista Antonio Grizzuti (La Verità del 24/11/20). Sorprendentemente la metà (50.4%) dei decessi totali proviene dai reparti ordinari delle corsie ospedaliere (8 decessi su 10).
E il resto ossia il 40%?
Il 14.57% dalle RSA ed il 25.2% dalle abitazioni private.
Quest’ultimo dato, al pari di quello già detto dalle corsie ospedaliere, credo che sia sorprendente. Pone forti dubbi sull’efficienza della Medicina Territoriale pur colpita per prima da una pandemia di forte intensità. I morti in casa mi sembrano effettivamente troppi e, ci riferisce la Regione Lombardia, che nella totalità dei casi la positività al coronavirus è stata accertata prima che avvenisse il decesso.
E nel Veneto?
Il governatore Luca Zaia ha rilevato, in una conferenza stampa, il dettaglio dei morti riguardo al luogo del decesso. Qui la percentuale di individui deceduti in ospedale arriva al 70.4%, una cifra più alta rispetto alla Lombardia. In particolare il 56.2% del totale concerne i reparti ordinari e il 14.2%, sempre del totale, le terapie intensive.
La percentuale dei decessi a domicilio è nettamente inferiore (pari al 4.7%) mentre è più alta quella delle RSA (pari al 22.8%). Secondo quanto ha detto il già citato prof. Remuzzi occorre comprendere da dove vengono i deceduti per poter intervenire preventivamente con efficacia.Penso che questo sia un compito della Sanità regionale affinché questi dati vengano comunicati al Governo, nello specifico all’assessorato alla Sanità. Mentre in questi ultimi giorni sembrano calare sia il numero dei positivi che dei ricoverati, resta molto alto quello dei decessi (856 quelli di martedì 24 novembre) chi è l’ultimo dato ad abbassarsi in corso di una pandemia.
Si tratta di pazienti ammalatesi gravemente di Cov-19 da almeno due settimane fa?
Se è cosi perché i malati non stavano in terapia intensiva ma nei reparti di medicina generale (8 su 10)?
Siamo poi sicuri che pazienti affetti da malattie cardiovascolari acute (infarto del miocardio, ictus cerebrale ecc) e da quelle oncologiche terminali, entrambi risultati positivi al Cov19, quest’ultimo sia stato solo una concausa più o meno rilevante?
La vera scienza deve porsi sempre dei dubbi e basarsi su dati di sicura certezza. Quello che mi sento di dire riguardo ai numeri riportati è che la medicina territoriale Veneta (RSA escluse) si sia comportata meglio di quella lombarda. Il numero dei morti nelle strutture ospedaliere è invece più alta in Veneto rispetto alla Lombardia. Del resto che le eccellenze ospedaliere lombarde siano tra le migliori d’Europa lo sapevamo. Qui ripeto è mancato il raccordo tra ospedale e medicina territoriale, ben più efficace nel Veneto. Mi sconcerta il dato che in Lombardia uno su quattro, stando a questi dati, sia deceduto tra le mura domestiche.