RACCONTO SEMISERIO SULLA CREDULITÀ DEGLI UOMINI.
di Angelo Alfani
Primi giorni d’agosto, tutta l’estate risplende ancora. La diatriba se davvero il caldo di questi giorni sia straordinario o rientri nella normalità trattandosi di semplice percezione la trovo stucchevole. È indubbio che di questa callaccia non se ne po’più. Ne fa fede il rito serale della fuga da case simili ad alto forni, percorrendo le strade e le piazze del centro in cerca d’aria. Ed è stando seduti con vecchi amici di fronte alla fontana del mascherone, tra una caciara di ragazzini finalmente in libertà, che riaffiorano ricordi di avvenimenti completamente dimenticati che segnano, meglio di un almanacco, il trascorrere del tempo. “Quando si è zuppi di ricordi e stufi di ricordare, allora si comincia a morire” scrive Gesualdo Bufalino.
Il racconto che segue, nebbioso e fantasticato a causa dei decenni trascorsi ,risale al tempo in cui don Luigi bagnava ancora per tre volte le testarelle ai battezzanti non avendo ancora ceduto spazio al fidato gregario Don Quirino. Un avvenimento incredibile, al punto da costringere un buon numero di cervetrani a mangiasse la pasta scotta.
SO’ ARRIVATI GLI AMBASCIATORI
Tutto ebbe inizio in una tarda mattinata di un sabato primaverile, allorquando si avvistarono decine e decine di uomini dirigersi verso il Centro.
Poche ancora le automobili,molte le vespe e le lambrette che accerchiarono l’edificio scolastico.
Sguardi incuriositi tennero dietro all’elegante corteo incravattato e dai capelli unti di brillantina , avvolto nel profumo da dopobarba Mennen.
Persino Pietro il parrucchiere, abbandonate le clienti imprigionate nel casco, si era affacciato da bottega per cercare di capirci qualche cosa. Una Mercedes nera, con targa diplomatica, occupava lo spazio di fronte al bar di Checchina e Orlando e da lì una lunga fila si prolungava fino ad ammucchiasse all’ingresso del cinema di Giovannino. Una ressa che non s’era mai vista, se non per l’arrivo di Fanfani e Medici nel 1952 per l’assegnazione delle terre e per la programmazione de “I dieci comandamenti” nel luglio del 1957. La riunione era stata annunciata con l’affissione di alcuni manifesti di uno stridente ma efficace colore arancione e l’invio di un gran numero di lettere a cittadini “selezionati e prescelti”.
La lettera oltre ad indicare orario e luogo della riunione ne evidenziava, in caratteri cubitali, le finalità: “Fate un investimento sicuro e redditizio. Non lasciate bruciare i vostri risparmi dall’inflazione galoppante, non lasciateli sotto il mattone o peggio in banca”. La firma lunga ed incomprensibile era suggellata da timbro di Ambasciata liberiana, aquile con ali spalancate e l’indirizzo di Placed’armes Luxemburg. Un tavolino, avvolto con bandiera liberiana, posto sul proscenio, con bicchieri e bottiglie di acqua minerale, borse di cuoio e lavagna alle spalle, rendeva ancor più solenne l’evento conferendogli concretezza e serietà.
A cinema pieno un impomatato sessantenne, annunciato come l’Ambasciatore, portò i saluti del suo Paese, lasciando poi la parola ad un alto funzionario che foglio dopo foglio informò della lucrosa iniziativa, resa ancor più evidente dalle linee, sempre in ascesa, che una giovane ragazza disegnava sulla lavagna. Snocciolarono rapidi e favolosi guadagni grazie all’acquisto di certificati di credito di società lussemburghesi, così semplicemente facili da convincere la maggior parte dei selezionati spettatori a sottoscrivere un impegno all’acquisto, versando la modifica cifra di dieci mila lire. Nei giorni a seguire loro funzionari sarebbero passati per confermare la quantità di buoni da acquistare o rinunciare con restituzione del deca. Insomma avevano tutto il tempo per pensarci, parlarne in famiglia e decidere: senza trucco e senza inganno altro che le decine di clausole, di frasi incomprensibili, di garanzie che le Banche costringevano a controfirmare. Si arrivò quasi alle due e ,tra un saluto ed una raccomandazione ad essere contattati per primi, “Nun se sa mai dovessero finì sti boni”, l’assemblea si sciolse e il Mercedes fu visto scivolare velocemente lungo i giardini. Pochi giorni dopo, sul tavolino del bar di Agustarello, il Messaggero era spalancato sulla pagina della cronaca romana.
Un titolo a due colonne giganteggiava a centro pagina: Si fingono ambasciatori della Liberia. “Denunciata banda di truffatori. Passaporti ed auto di lusso, targhe diplomatiche liberiane, timbri sigilli, carta intestata, tutto dell’Ambasciata di Liberia di Roma e del Consolato Generale del Dubai. Erano a disposizione di una banda di cinque persone, due italiane, che sono state denunciate. Le indagini sono partite dopo un controllo casuale di una donna alla guida di una lussuoso automobile, che sosteneva di essere la moglie dell’Ambasciatore liberiano presso il consolato di Dubai, negli Emirati arabi. Gli investigatori hanno individuato anche un’associazione, denominata “Istituto amicizia Italia Liberia” con sede in piazza Prati Strozzi. Nelle perquisizioni vennero sequestrati circa cinquecento certificati di credito liberiani e tedeschi, sia in bianco che compilati, per milioni e milioni di dollari, ben contraffatti e relativi a società inesistenti con sede in Lussemburgo”. “Io ce lo sapevo!” fu l’espressione più consumata nei capannelli che si formarono fori de porta, finché l’avvenimento, appena fatta estate, venne volutamente dimenticato.
Nel paese le cose ripresero a scivolare lisce come l’olio con il caro Lucio in splendida forma al punto da superare il suo stesso record di numero di gelati mangiati di filato, concludendo la performance pijanno a mozzichi un cremino.