STORIA. QUEL FINE DICEMBRE DEL ’21 A FURBARA

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OSPITE DEL CAPOSTAZIONE DI FURBARA. UNA FINESTRA APERTA SULL’AERODROMO, SUI PILOTI E MEZZI CHE NE HANNO FATTO LA STORIA IN QUESTI PRIMI ANNI… E ANCORA LA FARANNO. 

Sono passati diversi giorni da quando quel mattino del 10 dicembre, viaggiando con la mia FIAT 501 Sport sull’Aurelia, ho dovuto trovare ricovero nella stazione ferroviaria a causa del forte temporale. Doveva essere solo una breve sosta di qualche ora per poi proseguire per Napoli, la mia città. Il comune interesse sulla ancora breve ma intensa storia di questo luogo ha spronato Memmo ad offrirmi una camera al primo piano della “sua” stazione con la stimolante vista, a 180 gradi, sul campo di volo, fino al mare.

É dicembre e fuori fa freddo ma nell’attigua grande cucina sulle fornacelle in muratura il carbone è pronto ad essere alimentato col ventaglio di paglia ed il camino ha sempre un tizzone che arde. Il primo consiglio che Memmo mi ha dato è di chiudere la finestra quando sento arrivare i convogli; il fumo della locomotiva, tra il nero del carbone e il vapore dell’acqua in pressione, potrebbe rendere “inospitale” la mia accogliente stanza.

Di giorno l’attività in stazione e sui binari è tanta; Memmo deve sovraintendere al passaggio ed alla sosta di tutti i treni; altri ferrovieri comandano a mano gli scambi, riforniscono qualche locomotiva portandovi sopra la prolunga della colonna idraulica, avanzano lungo la linea controllando, battendo con un lungo martello, i bulloni che frenano le rotaie sulle traverse di legno.

La sera, finalmente, ritorniamo allo scopo della mia sosta a Furbara, il rovistare tra le nostre rimembranze aviatorie. Memmo mi accenna che da maggio a novembre del ’18, dalla finestra della stazione ha visto il campo di addestramento di Furbara, pur lontano dalla fronte, essere protagonista di acrobatiche battaglie aeree, mitragliamenti a terra e sperimentazioni di nuove armi.

In particolare tra maggio e settembre del ’18 aveva notato diverse volte un velivolo che, a differenza dei tanti biplani presenti sul campo, era un monoplano con la carlinga chiusa, tutta in legno, lungo appena 8 metri con una apertura alare di circa 6 metri; non aveva pilota ed era fissato su un carrello posto su due lunghe rotaie che i suoi colleghi ferrovieri avevano montato sul campo e che uscivano da un grosso capanno in legno costruito per l’occasione. I suoi amici militari gli avevano confidato che si trattava di collaudi segretissimi di una “torpedine aerea”.

Il racconto di Memmo è ricco di particolari.

A novembre del 1916 il Capitano di Fanteria Adelchi Manzoni presenta all’ufficio del Comitato Nazionale per l’Esame delle Invenzioni di Guerra la sua idea: un velivolo autopilotato, capace di volare in autonomia, con l’obiettivo di raggiungere o superare le linee nemiche per sganciare il carico bellico e poi autodistruggersi. Il progetto, oltre al Cap. Manzoni coinvolge un gruppo di tecnici e ingegneri eccellenti costituito dal Corbella della “Ditta Corbella e Longoni”, da Carlo Felice Buzio (già vicedirettore della Società Nieuport-Macchi), da G. Cerri e da Ugo Rainaldi per il progetto di sistemazione delle bombe a bordo della torpedine e del sistema di lancio.

Tutti personaggi che il nostro capostazione ha visto e scambiato qualche chiacchiera mentre hanno sostato in auto al “suo” passaggio a livello per entrare al campo o arrivati in treno da Roma e dal nord.

Dalla sua finestra Memmo ha osservato e annotato per mesi tutto quel movimento.

Il 31 maggio del ‘18 la prima prova di decollo. I collaudatori tarano i giroscopi, nella fusoliera, che controllano la posizione degli alettoni. Con il motore al massimo la torpedine aerea si alza subito di qualche metro ma dopo 150 metri di volo si conficca nel terreno rovinosamente.

Poi assiste al collaudo del 16 agosto. La prova ha inizio nonostante le raffiche di vento che infieriscono sul campo. Il carrello, sospinto dal motore, prende velocità; la torpedine si distacca come previsto decollando rapidamente e volando regolarmente per 70 metri; all’improvviso vira a sinistra picchiando verso il terreno per fracassarsi; i collaudatori deducono che la deviazione è da imputare a una raffica di vento.

Infine Memmo “partecipa” all’ultimo collaudo del 14 settembre dal suo posto privilegiato e sicuro, visto che, in precedenza, gli avevano detto, c’erano stati anche dei feriti. E’ mattino e il tempo è quasi calmo. Dalla finestra vede radunasi per assistere alla prova numerose personalità, vi sono anche le uniformi degli Alleati. Al via il carrello prende subito velocità portandosi sui pattini di sgancio che funziona perfettamente; la torpedine si divincola dai catenacci e decolla mantenendo la direzione e l’inclinazione predisposta; prosegue salendo fino a circa 150 metri dal punto di sgancio; improvvisamente comincia a picchiare verso il basso lentamente, sfasciandosi a terra. Memmo sa che, dopo tutti quegli insuccessi, è stato messo fine agli esperimenti a guerra quasi finita, cadendo il tutto nell’oblio.

Oltre ai suoi appunti Memmo mi mostra anche una tavoletta di legno con dipinta la torpedine e diverse foto avute dai militari del campo.

Oggi, sbirciando anch’io da questa solitaria finestra, ho fantasticato che in quei mesi di appena tre anni fa un ignaro capostazione Memmo (cervetrano verace, magari etrusco, ma non spia), invece di un viandante come me, abbia ospitato la bella Margaretha Geertruida Zelle, Mata Hari (naturalmente la immagino non ancora scoperta e fucilata dai francesi già nel ‘17). La leggendaria spia austriaca, venuta a conoscenza degli studi su tale ordigno volante senza pilota, si sarebbe appostata a questa finestra ad osservare tutti quei movimenti. Sorrido al pensiero che la poveretta potesse aver passato mesi inutilmente a spiare quegli improbabili voli del segretissimo ordigno, lontana dai più stimolanti intrighi che la sua storia mi ricorda. Alla fine, poi, che possa aver deciso di consegnarsi al corpo di guardia di Furbara per farsi fucilare “prematuramente” ad espiazione della sua fallita missione.

Furbara, 22 dicembre 1921.

Tenente dei Legionari Fiumani, cl.1893, in congedo

Francesco Vizioli