Durante gli incontri di Educazione Alimentare nelle scuole medie, alla domanda: “Qual è la spesa intelligente”, la risposta è quasi unanime: “Quella che costa meno”.
di Alfonso Lustrino
E diciamo che anche molti adulti condividono questa opinione. Quante volte, di fronte agli scaffali del supermercato ci siamo chiesti: “Ma come cavolo faccio a sapere davvero se quello che sto per comprare è di qualità?”. E magari: “Com’è possibile che ci sia tanta differenza di prezzo tra un marchio e un altro? In fondo alla fine si tratta dello stesso alimento…”.
Domande come queste affollano la mente di molti consumatori e alla fine si ripiega sulla marca conosciuta, sulla confezione più accattivante, sulle caratteristiche che vengono vantate sul pacchetto o sul prezzo più basso. Eppure si sa che un buon modo di avere informazioni su un alimento è esaminare la sua etichetta. Facile a dirsi, un po’ meno facile a farsi… Intanto è intuitivo capire dall’elenco quali sono gli ingredienti più abbondanti, infatti vengono riportati in ordine di quantità, quindi se il primo ingrediente di un biscotto è lo zucchero possiamo tranquillamente passare oltre. Ma al di là delle immagini confortanti e invitanti che troviamo sul fronte del pacchetto, bisogna districarsi tra le sigle europee degli additivi e cercare almeno di individuare gli ingredienti da “semaforo rosso”.
Sotto quelle sigle precedute da “E” si possono nascondere molecole sgradite o perché sospette di produrre danni seri alla salute di chi le consuma con i cibi, o perché semplicemente servono a “imbellettare” l’alimento e farlo sembrare sempre fresco anche quando parte da materie prime che non lo sono, o a correggerle anche più radicalmente, facendo scomparire i difetti che altrimenti percepiremmo al primo assaggio.
Facciamo qualche esempio sui cosiddetti “prodotti secchi”, come pasta, marmellate, biscotti, creme, scatolami, sott’oli ecc. Quelli di un livello superiore non dovrebbero contenere conservanti, coloranti, glutammato, correttori di sapidità, ingredienti OGM, carni separate meccanicamente. A proposito della carne separata meccanicamente presente nella maggior parte dei wurstel e delle crocchette in commercio, sapete di cosa si tratta? La carne separata meccanicamente è ottenuta rimuovendo i residui di carne dalle ossa o dalle carcasse dell’animale usando mezzi fisici, che portano quindi alla perdita o alla modifica della struttura fibrosa del muscolo una volta rimossi i tagli più pregiati. La “poltiglia” che si ricava di carne ha ben poco, infatti ha un colore sbiadito (che viene corretto con i coloranti) e un sapore indefinito (che viene modificato grazie agli additivi e al sale). Purtroppo sugli scaffali della grande distribuzione organizzata (GDO) non sempre si trovano prodotti di qualità, perché l’imperativo è rendere l’articolo conveniente, e per abbassare il prezzo spesso è indispensabile abbassare la qualità della materia prima e della lavorazione.
Quindi eccoci di fronte a bottiglie di olio a 2 euro, prodotti da forno fatti con farine di oltreoceano, confezioni da 10 uova a 1,5 euro, carni e pesci provenienti da allevamenti intensivi, pasta a 40 centesimi ecc. Una prima garanzia per una spesa “buona” è costituita dalla certificazione biologica. Il biologico è un sistema di produzione che offre determinate garanzie. Comprare biologico vuol dire scegliere per sé e per i propri cari un cibo sano, buono e onesto, ottenuto senza sostanze chimiche di sintesi, senza OGM, liberi dalle neurotossine, senza diserbanti (ormai presenti in tutte le falde acquifere), fertilizzanti chimici, radiazioni, additivi dannosi, e senza la possibilità di creare microrganismi resistenti agli antibiotici. Ma significa anche sostenere un’agricoltura fonte di vita, lottare contro il saccheggio dell’ambiente, rispettare gli animali, salvaguardare la biodiversità del pianeta e la salute degli addetti ai lavori. Insomma proteggere la salute di tutti, la propria e anche quella di chi ancora non mangia biologico. Nel mercato, però, si sono insinuati anche i cosiddetti “ecofurbi” che si appropriano ingiustamente di una immagine green per rendere i loro prodotti appetibili, al pari di chi produce davvero nel rispetto dell’ambiente e della salute. La GDO, aspirando alla conquista di un’altra fettina di mercato, ha cominciato a proporre anche linee biologiche.
Ma il biologico è quindi sinonimo di qualità? Non sempre. Oltre alla certificazione resta indispensabile la lettura dell’etichetta. Facciamo un esempio: una nota marca biologica in vendita presso la GDO propone un pesto biologico con i seguenti ingredienti: aroma di aglio (anziché aglio vero), altri aromi (non specificati però), sciroppo di riso (dolcificante!), olio di girasole (anziché extravergine di oliva come invece prevede la ricetta originale), formaggio (generico, al posto del Grana Padano DOP della ricetta originale), fiocchi di patate. Infine: le materie prime di questo prodotto sono tutte provenienti dall’estero (dicitura Agricoltura UE-Non-UE): aglio cinese, formaggio estero ecc… Sarà pure biologico, ma non è un prodotto di qualità.Se invece consideriamo una gallina che ha vissuto per tutta la sua vita in una gabbia angusta, sotto un capannone e con luci al neon sparate 18 ore su 24, con mangimi industriali, ci si dovrebbe chiedere: che uovo potrà produrre? Senza considerare la sofferenza dell’animale. Stiamo parlando evidentemente degli allevamenti in batteria. Una bistecca di un animale che ha sofferto tutta la sua vita a livello sia fisico che mentale, che ha raramente o mai visto la luce del sole, che non si è mai mosso, che è stato sistematicamente trattato con farmaci… è cibo? Scegliere carne biologica diminuisce l’esposizione agli antibiotici, agli ormoni sintetici e alle altre sostanze chimiche che dagli animali passano al consumatore. Oltre a migliorare sensibilmente la vita dell’animale.
Un recente servizio della rivista “Il Salvagente” ha evidenziato che alcuni latti provenienti da allevamenti intensivi e in vendita presso una nota catena di discount presentavano tracce (tra l’altro) anche tre antibiotici contemporaneamente. Alcune settimane in noto discount ha proposto una confezione di latte a 37 centesimi. Com’è possibile arrivare a queste cifre? Quindi il prezzo? È evidente che il prodotto biologico di qualità costi di più dei prodotti convenzionali. Non potrebbe essere altrimenti. Ma forse la domanda dovrebbe essere posta su quei prodotti che costano “troppo poco”: un motivo c’è, anzi più di uno. Facciamo l’ennesimo esempio: un supermercato vende una bottiglia da 1,5 l di bevanda a 50 centesimi. Gli ingredienti sono: acqua, sucralosio (uno dei peggiori edulcoranti sintetici), coloranti e aromi chimici (per dare un sapore). I commenti sono superflui.Bisogna ammettere che fare una spesa sana e consapevole non è facile. È indispensabile informarsi bene e dedicargli tempo oppure delegare la scelta al negoziante di fiducia. Ne va della nostra salute e di quella del pianeta.