MONNEZZA CAPITALE: UN ARTICOLO DI DIECI ANNI FAOGGI SI RIVELA TRISTEMENTE ATTUALE.
di Angelo Alfani
Ci eravamo illusi!
Dobbiamo avere il coraggio di ammetterlo: ci eravamo fatti convinti, per dirla alla Montalbano, che oramai il nostro territorio avesse scampato il pericolo di tornare ad essere pattumiera della Capitale. Invece questa ipotesi è, cosa dolorosa e assurdamente frustrante, nell’ordine delle cose possibili. Facevamo finta di non accorgersene ma la montagnola di Cupinoro lì continuava ad ergersi, allungando artificialmente la cerchia dei colli ceriti, costringendo modifiche perfino a Google map. Del resto i potenti edi loro ignavi lecchini, mentre incapsulavano con un maxi preservativo nero la pozione velenosa, mai avevano rinunciato all’idea che bisognerebbe pure: facce qualcosa con ‘sta potenzialità!. Sembrerebbe che gli anni passino invano, ancor di più le inutili lezioni della storia. Poche cose aiutano a capire l’oggi quanto letture di anni lontani. E sono queste considerazioni che mi riportano a pubblicare un articolo di un decennio fa, tristemente attuale:
CUPINORO: BASTA LA PAROLA
Nomen omen, affermavano gli antichi romani. “Il nome è presagio!”. Cupinoro, Infernaccio, La Desolata, Malagrotta: luoghi a perdere. Luoghi in cui gli umani malvagi fanno proliferare le loro mostruose creature per “far quattrini ” e/o per assoluto disprezzo nei confronti dell’intero Creato. Mostruose creature, simili a gigantesche piovre, che fuoriescono da quei mal nominati luoghi.Cupinoro: lì c’è la testa della Piovra, che dopo essersi alimentata di monnezza di ogni tipo, proveniente da ogni dove, ha allungato i suoi tentacoli. Dalle viscere di quelle terre pozzolaniche, un liquame invade l’Eden: Monte Cucco, Acqua Acetosa, Poggio alla Mandria, Montebello, Montabbadone, Monteabbadoncino. S’allunga il liquame, scuro ed oleoso, precipitando a valle, facendo tracimare bottagoni, scorrendo veloce nei sacri corsi d’acqua: Ferraccio, Maddalena, Sanguinara, Vaccinello, Vaccina. Carciofete, campi di dorato finocchio selvatico, intorcinate sparicine, mentuccia romana resa grassa da concime di mucche maremmane, ricci increduli, spinose ariose, cinghiali sospettosi, giù, giù oltre gli agglomerati cementizi che hanno invaso le piane grazie a Sindaci del più semo mejo stamo, fino alle spiagge della salute, sono oramai preda della malefica Cupipiovra. Cupinoro! Un toponimo presente dalle nostre parti è il ruscello Cupino. Nasce dal monte Omomorto e sfocia a Ladispoli: tutto un programma! Mia nonna, tornando in un rigido e nebbioso pomeriggio del 1957 dal Viterbese, venne sbalzata dalla lambretta proprio nella curva della discarica. Chiappe doloranti per giorni e settimane: color blue carta da zucchero. Nella sua breve esistenza, non smise mai di avvisare il nipote e quanti gli erano cari, a farsi il segno della Croce ogni qualvolta fossero stati costretti a transitare a Cupinoro. Un luogo segnato da Dio, un luogo che porta scalogna agli umani ed agli altri, tanti, loro coinquilini. L’abisso raggiunto sembra trasudare una atmosfera di torpore tra gli abitanti del ventre molle, come avessero ingoiato, a loro insaputa, pasticche di bromuro, come si usava fare con le giovani leve. Un torpore che li avvolge e li rende insensibili. L’ignoto non suscita nei vilipesi e bromurati umani né terrore né speranza. L’utilizzo che di questo luogo è stato fatto nell’ultimo quarantennio, una mostruosa discarica che di giorno in giorno s’innalza verso un cielo sempre più plumbeo, lo ha reso infinitamente più cupo e triste di quanto fosse nella raccomandazioni di mia nonna. Una collina oggi più alta di Monte Cucco e che domani sarà più grossa di Monte Fotignano e posdomani del Monte Santo; una gigantesca ricotta di monnezza che da trent’anni regala agli abitanti della bassa Etruria puzzo insostenibile, volpi e cinghiali sdrumati dal veleno lungo le curve della braccianese, falde acquifere alla “che Dio ce la mandi buona ”, grattate di pelle, polmoni inquinati, svilimento del valore dei terreni e delle case. Ho notato che poco prima di arrivare al curvone della morte davanti a Cupinoro, sono in molti a costringersi a distrazione, a voltarsi di lato, a far finta che nulla se pari davanti agli occhi, a non respirare per un chilometro e passa. Immaginiamo un attimo i nostri figli “giocà a scivolarella” dalla collinetta di Cupinoro, compiere slalom speciali sul plasticume multi colorato di-scaricato, o tuffasse a pesce nella piscina di percolato. Orribile visione, proprio perché probabile. Mi auguro, senza speranza, che qualche gabbiano delle migliaia che giornalmente si avvelenano alla discarica in compagnia di inconsapevoli pecore che brucano percolato, porti un ramoscello di ragionevolezza a Bracciano, Cerveteri, Ladispoli, alla Pisana ed in Vaticano, convincendone gli inquilini a dare il fischio di chiusura a questa partita che ha in palio la salute dei cittadini della Bassa Etruria. Sebbene sia orbo, la vedo nera. Vedere nero spesso è vedere giusto. L’unico modo per impedire questa definitiva panacca tra capo e collo è quello che i cittadini si mobilitino, che prendano coscienza della non irreversibilità delle decisioni dei soliti potenti autistici e sbruffoni.
Una lotta convinta e cosciente a difesa della nostra salute e che non escluda ove necessario forme di disobbedienza civile. Una lotta che sappia intrecciare politica e poesia, economia e cultura, scrupolo ed utopia.A meno che i cervetrani, spesso più sordi delle quaglie e più orbi de civette appena nate, non preferiscano che la loro terra sia invasa da monnezzari che, come pecettare, invaderanno senza più scampo la Bassa Etruria.