Simone Bulleri, scrittore di Ladispoli, autore di “Prof come si dice Church in inglese?”

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di Felicia Caggianelli

È un libro che si legge tutto d’un fiato. Scritto da un promettente autore di Ladispoli che ci regala un libro sul colorato e arzigogolato mondo degli studenti adolescenti.

Un viaggio tragi-comico che fotografa uno spaccato di vita spesso sconosciuto e che accompagna l’interlocutore in una sana risata capace di aprire spunti di riflessione. Si tratta di un piccolo tassello, che si unisce ai tanti altri, in uno dei più delicati puzzle che il genitore deve cercare di costruire per capire meglio il proprio figlio, in una età che potremo definire un vero e proprio terremoto emozionale per il ragazzo. Sulle pagine de L’Ortica, il professor Simone Bulleri esordisce come scrittore con il libro: “Prof come si dice church in inglese? Manuale di sopravvivenza al liceo”. Frutto di una attenta osservazione dei ragazzi, grazie alla sua professione di insegnante. Un libro che già dal titolo la dice lunga. Giovane professore di Filosofia, toscano di origine, un pisano doc, laziale di adozione, si definisce un osservatore attento e dissacrante. Consapevole di aver scelto una professione che adora, ma intrappolata in un ginepraio  di concorsi e di  burocrazia, che mettono a dura prova la passione in quello che più che un lavoro è una vera e propria missione che contribuirà a formare le coscienze dei futuri cittadini,  nonché della nuova classe dirigente che governerà il paese. Quando è in aula, non lo nasconde, è nel suo ambiente preferito, e sottolinea che si sente l’uomo più felice del mondo, non a caso,  nonostante inizi le giornate a correggere i compiti, affidandosi alle parole della Preghiera del Professore, con la quale inizia il libro, entra in classe con grande positività e pronto a confrontarsi con le provocazioni, la sana “pazzia” e l’ esuberanza che contraddistinguono da sempre uno dei momenti più delicati della crescita di un individuo. Da sei anni abita a Marina di San Nicola e noi l’abbiamo incontrato per vivere attraverso le sue parole tutto quello che c’è intorno a questo interessante lavoro letterario.

Come nasce la voglia di scrivere un libro come questo a sfondo ironico?

“Nasce dall’osservazione diretta di quello che succede in classe. Se in aula stai attento succedono una infinità di cose contemporaneamente e quindi a forza di vederle le ho prima annotate per me stesso e poi, avendone intravisto il potenziale umoristico, ho deciso, naturalmente modificando i nomi dei protagonisti, di metterle in bella copia per renderle fruibili a tutti”.

Qual è l’obiettivo di questo libro?

Aprire una finestra anche per gli adulti. I genitori dei ragazzi non sono in classe con me, io a scuola ho un ruolo privilegiato perché sono un adulto a contatto con  gli adolescenti; e nel mio libro c’è tutto  quello che succede in classe con i loro figli e quindi le cose belle e le cose brutte. Questo non è solo un libro divertente è anche un libro per far scoprire ai genitori il lato pubblico dei loro ragazzi. Quello che loro non sanno, che ignorano. Penso che non ci sia peggior muro di quello alzato tra genitori e figli adolescenti. Qualcuno ha detto che l’adolescenza è stata un’invenzione del ‘900, eppure c’è qualcosa di molto prezioso in questo periodo della vita. Questo libro è un invito a dire: vediamo insieme cosa accade”.

A chi è indirizzato?

“Ai genitori, per dire loro: tranquilli stiamo lavorando cercando di farlo anche col sorriso; ai ragazzi, ma guarda che mi combinate, di cosa siete capaci nel bene e nel male e ai professori per tirare una boccata d’aria fresca, perché siamo una categoria che ha bisogno di ridere, tanto”.

Quindi uno slogan che mi viene in mente per questo libro è: non ci resta che ridere, per non piangere?

“Esatto, meglio non avrei saputo racchiudere il messaggio”.

Secondo lei dove si trova l’anello debole della catena di comunicazione? Come mai c’è questa forbice nel rapporto tra genitori e figli adolescenti?

Noi sappiamo che, generalizzando, l’adolescenza è l’età dei ‘No’. Il ragazzo, anche se capisce che hai ragione, ti dice no a prescindere. Con questa presa di posizione cerca semplicemente di affermare la propria identità, quindi è una cosa fisiologica e sana. E guai se così non fosse. Come esperienza personale, a contatto con i ragazzi, ho notato che quelli più preoccupanti li ho visti silenziosi accanto ai propri genitori. Non a caso, il vero problema sorge quando il ragazzo è taciturno e quando non c’è neppure quel famoso no; da qui l’importanza di far capire ai genitori la necessità di creare una sinergia con la scuola e quindi un dialogo che contribuisca ad aiutarli a svolgere con più serenità il proprio ruolo; premesso che c’è bisogno anche della scuola giusta. Una scuola sbagliata, infatti, potrebbe far nascondere il ragazzo ancora di più; invece ci vuole una scuola che costringa i ragazzi a far uscire le proprie potenzialità e nello stesso tempo la loro “follia”. Steve Jobs ha detto una cosa sacrosanta: “Restate folli, restate affamati” e i ragazzi sono artisti naturali proprio perché hanno ancora vivo in loro questo sano momento di “follia” non circondato dalla ragione e quindi non contaminato dai retaggi mentali, legati anche alla necessità di raggiungere un risultato che è, in fin  dei conti, quello che attanaglia noi adulti soprattutto”.

Alla luce della sua esperienza, la nostra è ancora una scuola sana?

“Sì. È per questo che ribadisco l’importanza di scegliere una scuola che sia vicina alle attitudini del ragazzo. Gli adolescenti hanno una personalità magmatica, non sanno nemmeno loro chi sono, e spesso per capirlo si trasformano in veri e propri provocatori. Ti sfidano per vedere tu professore, e quindi adulto, fin dove concedi. Ed è proprio in quel momento che serve l’insegnante determinato, che sappia porre un limite tra le parti. E mi riferisco a gente che non solo sappia il vocabolario a memoria, ma che sappia interagire con i ragazzi e che si ricordi benissimo che genere di adolescente è stato. Non a caso, quest’ultima è una delle tematiche fondamentali del libro, quella del professore che rivede sé adolescente nei ragazzi e ride in modo consapevole nel ricordo”.

Il professore di oggi è ancora una delle figure di riferimento per i ragazzi?

Sì. Devo ammettere però che a volte sento la fatica di non avere la laurea in Psicologia. Sempre più spesso mi arrivano ai colloqui  genitori in lacrime, devastati, che ti chiedono: “Professore, ci aiuti a capire, non sappiamo più chi abbiamo in casa!”. Oppure, studenti che durante l’interrogazione scoppiano a piangere e tu non capisci perché. Quella che sviene a destra, quell’altra che si sente male e strilla. La nostra generazione aveva gli anticorpi, memore del fatto di essere cresciuta in un ambiente scolastico che non faceva sconti a nessuno. La generazione dei nativi digitali, no; per esempio: oggi è un tabù fare un compito in classe a sorpresa, i ragazzi di oggi sono molto delicati emotivamente”.

Qualche aneddoto che ricorda?

“L’aneddoto che mi diverte di più, presente anche nel libro tra l’altro, mi è capitato con un ragazzo del liceo classico. Un giorno sono entrato in classe, mi sono seduto. Sapevano che c’era aria di interrogazione, fuori non si sentivano nemmeno cinguettare gli uccellini, a un certo punto guardo gli alunni, praticamente tutti con gli occhi impallati, e chiedo: “Cesare, ma se ti interrogassi?” E lui allargando le braccia mi risponde: “Professore se la morte mi sorride, le sorrido di rimando”. Fulminanti…i ragazzi del Classico! Poi ci sono anche gli sketch fra i colleghi. Una volta, mentre ero intento a correggere i compiti in sala professori, ho sentito questo dialogo. C’è la professoressa giovane che dice a quella anziana: “Certo che con questa riforma sono cinque anni che non riesco a passare mai un compleanno con il mio fidanzato.” E la collega anziana, che la sa lunga, risponde: “Ma come? Dio ti salva da queste sciagure e tu ti lamenti pure”.

Progetti futuri?

“Non lo nascondo: ci sono più idee che soldi. Adesso sono molto concentrato sulla promozione di questo libro. È la mia prima creatura e la voglio accompagnare con la dovuta cura. Le presentazioni ufficiali del libro saranno a Pisa e a Roma; in un secondo momento verranno Firenze, Livorno e qui sul bel litorale laziale.  E chissà, magari un nuovo libro…perché no”.

Dove possiamo trovare il suo libro?

“Attualmente il libro si trova solo in formato cartaceo ed è possibile acquistarlo richiedendolo sul sito dell’editore ovvero: www.bookseditore.it . Editore che voglio pubblicamente ringraziare, perché in un momento di ristagno economico, ha compiuto un gesto veramente rivoluzionario: ha investito su uno scrittore sconosciuto, creando un’occasione. E naturalmente grazie a L’Ortica per avermi ospitato e fatto sentire a casa. Suerte”.