Salvatore Giuliano, il bandito diventato leggenda

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di Antonio Calicchio

Questa è la storia di un uomo, di un bandito, tanto inafferrabile ed astuto che nessuno riusciva a rintracciarlo; così potente e feroce che impauriva già solo il nome. Ma anche a tal punto strano e complesso da divenire una leggenda. E’ anche una storia di Forze dell’ordine, di altri banditi, di confidenti, di giornalisti, di politici, di sindacalisti e di persone comuni. Questa è la storia del bandito Giuliano che, per noi, ora, comincia dalla fine.

E ha inizio con una fotografia: vi è un uomo, a terra, in canottiera e sandali, morto. Le gambe dietro di lui sono di un carabiniere e ciò che ha accanto alla mano, quasi gli fosse caduto, è un mitra. Quello di un bandito, in quanto quell’uomo è un bandito, anzi, è il bandito, cioè il bandito Giuliano. Ma cosa è successo per giungere a quella fotografia?

Castelvetrano, 5 luglio 1950, ore 3,15 del mattino. In strada, scendono tre uomini che ignorano essere attesi dai carabinieri ivi appostati. Uno, è avanti, con le scarpe in mano e gli altri due, sono dietro. Un carabiniere si muove, uno degli uomini se ne accorge e spara; i carabinieri reagiscono e sparano anche loro. Quello senza scarpe, fugge e gli altri due si fanno strada a colpi di mitra. Uno riesce a scomparire tra i vicoli, ma l’altro ha un istante di esitazione. E a capo scoperto, passa sotto un lampione, venendo riconosciuto dai carabinieri: è l’uomo che cercano, è il bandito Giuliano. Inquadrato dal fuoco dei mitra, scappa, sparando. Colpito di fianco da una raffica, poi, di fronte, a meno di due metri, Giuliano crolla a terra, in un cortile, e muore. Rapporto, del 9 luglio 1950, dei carabinieri. Ma alcuni giornalisti che arrivano in loco notano che vi è qualcosa di strano nel cortile. Osservando la fotografia, si rileva che Giuliano indossa i pantaloni con la cintura che ha saltato due passanti, come se gli fosse stata infilata; che i sandali sono calzati, ma ve ne è uno slacciato; che la canottiera è intrisa di sangue sulla schiena, mentre Giuliano dovrebbe essere stato colpito al torace.

Ed allora, cosa è successo nel cortile quella notte? Come è morto il bandito Giuliano? E chi era costui?

Orbene, nel 1943, la Sicilia viene liberata, quando gli Alleati sbarcano sull’isola e la conquistano. Ed è in tale contesto – di tempo e di luogo – che Salvatore Giuliano diviene un bandito, precisamente il 2 settembre dello stesso anno, all’età di ventuno anni, quando uccide un carabiniere, in un posto di blocco. Tre mesi dopo, ammazza un ufficiale dei carabinieri, in una azione quasi militare, insieme ad un’altra decina di persone, a seguito dell’arresto degli uomini della sua famiglia. D’improvviso, Giuliano, da bandito, diviene guerrigliero. Successivamente, nella notte fra il 30 e il 31 gennaio dell’anno dopo, fa evadere, dal carcere di Monreale, dodici persone: è il primo nucleo della banda Giuliano, è il primo passo della leggenda.

La banda Giuliano è composta da una decina di effettivi, detti “i grandi”, tutti latitanti, affiancati da una quarantina di “picciotti”, reclutati, di volta in volta, per ciascuna azione, incensurati. Il capo è lui, Salvatore Giuliano.

Nel maggio 1945, egli viene reclutato dal Movimento separatista – attivo, in Sicilia, da almeno due anni, formato da circa mezzo milione di iscritti – divenendo colonnello dell’Esercito per l’indipendenza della Sicilia e, dunque, prende avvio quella che avrebbe dovuto essere la guerra civile organizzata dai separatisti, allo scopo di dividere la Sicilia dal resto di Italia. Questa è la seconda fase della storia di Giuliano.

Contro il banditismo e l’esercito separatista, in generale, e Giuliano, in particolare, lo Stato invia i suoi uomini. Viene costituito l’Ispettorato Generale di Pubblica Sicurezza per il coordinamento delle operazioni di polizia e di carabinieri in Sicilia; Ispettorato che non consegue risultati utili, talché il comando delle operazioni viene trasferito ai carabinieri. Frattanto, viene creato il Cfrb (Corpo Forze Repressione Banditismo). Ventisei ufficiali dei carabinieri e sedici di pubblica sicurezza, millecinquecento carabinieri e cinquecento poliziotti. Quattromila chilometri quadrati sono suddivisi in settanta sottozone, presidiate da squadriglie e comandi intermedi: è una autentica guerra. Poi, l’occupazione del territorio da parte delle Forze dell’ordine dello Stato, i risultati militari, l’evoluzione democratica della Sicilia, ma soprattutto la concessione dell’autonomia alla regione Sicilia, tolgono spazio politico-militare al separatismo. Ma qualcun altro ha adocchiato Giuliano, sin dal 1943: la mafia; senza la protezione della quale, senza la sicurezza di movimento che essa poteva garantirgli, egli non sarebbe potuto divenire ciò che era: il bandito Giuliano, ovverosia uno dei banditi più famosi del mondo, una leggenda. Ricercato dalle Forze dell’ordine che battono incessantemente il territorio, riceve visitatori e giornalisti nella sua grotta sui monti, si fa fotografare in posa ed intervistare. Giuliano scrive poesie e si presenta come una sorta di giustiziere popolare che aiuta vecchi mendicanti, condanna a morte chi ha rubato ad una famiglia povera o ha finto di farlo a suo nome, lasciando sui corpi delle vittime cartelli con la scritta “Giuliano non deruba i poveri” o “Giustiziato in nome di Dio e della Sicilia”. Una specie di Robin Hood, appunto, costruito mediante episodi incontrollabili, contraddetti da azioni criminali. Una immagine che si infrange a Portella della Ginestra.

Le elezioni regionali, del 1947, marcano la vittoria della Sinistra socialcomunista, il “Blocco del popolo”, sulla Dc, sui monarchici e sui separatisti; è un momento particolare della vita politica siciliana. Il movimento di occupazione delle terre, la riforma agraria, le lotte sindacali stanno ponendo in crisi la grande proprietà ed il latifondo, ed è proprio nelle campagne dominate dai grandi proprietari agrari e dalla mafia dei latifondi che lo scontro è più duro. E’ un periodo di manifestazioni, e a Portella della Ginestra la festa del Primo maggio è una tradizione interrotta solo dal fascismo. E’ un’ottima occasione per riprenderla, tanto più quel primo maggio 1947, con quell’esito elettorale. Nella piana di Portella, alle 9,30, vi sono molte persone. All’inizio, chi sente le esplosioni, proprio sulle prime parole dell’oratore, pensa a dei mortaretti ed applaude. D’improvviso, un sindacalista che sta sul palco, crolla a terra. Pure alcuni muli si piegano sulle zampe, un bambino cade, una donna si ritrova il vestito sporco di sangue. Non sono mortaretti: si sta sparando sulle persone. E’ una strage: quando cessano gli spari, sul prato rimangono dodici morti, fra cui un bambino di dodici ed uno di sette anni, e trentatre feriti. A sparare sono stati Giuliano e la sua banda. Vi era solamente la banda di Giuliano sulla montagna dinanzi a Portella della Ginestra? La ricostruzione ufficiale indica un punto di fuoco. E’ veramente l’unico punto di fuoco? Dei testimoni parlano di colpi provenienti da altri punti. Vi era soltanto la banda Giuliano a sparare?

Quella di Portella non è l’unica strage commessa da Giuliano ai danni di associazioni di contadini e partiti politici della Sinistra. E non sarebbe la prima volta che la mafia interviene per eliminare sindacalisti in anni come quelli, di riforma agraria e redistribuzione delle terre. In quel periodo, è una strage continua di sindacalisti e militanti di sinistra. La banda Giuliano, che spara insieme alla mafia, per colpire i contadini che si stanno organizzando dopo la vittoria elettorale: sparare per terrorizzare e disorganizzare, determinando reazioni autoritarie. Questo è il motivo della strage di Portella della Ginestra? Probabilmente, Giuliano ha agito insieme alla mafia per conto di mandanti politici che intendono sfruttare il terrore contro contadini e sindacalisti. E in una lettera che egli ha ricevuto dalla madre, vi sarebbe scritto proprio questo: amnistia, benefici, in cambio di una azione militare. O, forse, Giuliano ha sparato contro i comunisti giacché non lo lasciavano passare sulle loro terre.

I carabinieri mettono a segno una serie di colpi che gradatamente smantellano la banda. Fortuna? Oppure il risultato di un lavoro ben organizzato? Sorpresi per strada, in conseguenza di una soffiata di un confidente, i banditi vengono assassinati dai carabinieri. La strana sfortuna che perseguita la banda di Giuliano non si ferma. I carabinieri mettono a segno altri arresti. E, d’improvviso, pare che la mafia non sia più interessata a proteggere Giuliano. Perché? Attraverso l’aiuto di un mafioso, i carabinieri arrestano dei componenti della banda Giuliano, mentre un altro dei suoi uomini collabora con essi: l’obiettivo è Giuliano. Quest’uomo di Giuliano conduce i carabinieri a Castelvetrano, in cui è nascosto costui. Il capitano lascia andare l’uomo di Giuliano e lo aspetta: il tempo trascorre, sono le quattro del mattino, comincia ad albeggiare e, d’improvviso, l’uomo appare, privo di scarpe e con una pistola in mano, dicendo che ha dovuto sparare a Giuliano.

La versione ufficiale è un’altra, ma non corrisponde alla realtà, come ammetteranno gli stessi carabinieri.

Cosa è successo in quelle ore? E come è morto il bandito Giuliano? Chi lo ha ammazzato? Intorno alla sua morte, esistono sedici versioni differenti: vi è chi afferma non essere morto là, ma a più di cento chilometri di distanza. Vi è chi sostiene che ad ucciderlo sia stata un’altra persona. Ma esiste una versione che è stata ritenuta probabile: la sera del 4 luglio, Giuliano cena a casa di una persona in cui ha trovano rifugio dai rastrellamenti dei carabinieri. Verso le undici, arriva anche il soggetto che stava collaborando coi carabinieri, lasciando questi ultimi dinanzi alla villa comunale. Egli parla con Giuliano che sa della sua collaborazione coi carabinieri. E’ stato l’ispettore a rivelarglielo, con una lettera. Il collaboratore dei carabinieri nega. Poi? Seguito da costui, Giuliano va a letto. Il suo vino è stato drogato e piomba in un sonno profondo. Il collaboratore dei carabinieri fa entrare un mafioso e insieme iniziano a frugare per recuperare le carte del bandito. In quei giorni, Giuliano ha scritto molto e ha messo tutto in un portacarte. Poi? Qualcuno gli spara. Il collaboratore dei carabinieri asserisce essere stato lui. E’ così? Chiunque sia stato, il collaboratore dei carabinieri scappa da costoro che lo aspettano e si allontana in macchina. E le carte di Giuliano, misteriosamente, spariscono. Il capitano si reca a casa del proprietario in cui Giuliano si trovava, rinvenendo il cadavere di quest’ultimo. Dopo averlo fatto rivestire alla meglio, lo fa portare fuori e gli scarica addosso una raffica di mitra. Poi, il capitano formula la versione ufficiale che, in seguito, ritratta. E i documenti di Giuliano?

Conseguentemente alla morte di Giuliano, il Corpo forze repressione banditismo si scioglie, quasi che la banda Giuliano fosse l’unico problema criminale della Sicilia.

Con Salvatore Giuliano, se ne va uno dei protagonisti fondamentali di questa storia. Lo si poteva prendere vivo, dirà qualcuno delle Forze dell’ordine; mentre, secondo chi lo ha consegnato ai carabinieri, era meglio fosse morto.

Il processo per la strage di Portella della Ginestra si celebra a Viterbo, nel 1952 e termina con dodici ergastoli, quasi tutti confermati in appello. Il movente, ad avviso della sentenza, non fu politico. Pertanto, nessun mandante da ricercare. Caso chiuso.

Qua si conclude la storia del bandito Giuliano che verrà narrata dai cantastorie siciliani ed anche da un film, di Francesco Rosi, del 1961. Una storia fatta di stragi ed anche di un utilizzo del terrore che, già nei primi anni della Repubblica, è assimilabile ad un qualcosa che si vedrà più avanti: si chiamerà “strategia della tensione” ed avrà molti esempi. Ma quella è un’altra storia.