STORIE DI ORDINARIA INGIUSTIZIA CHE ALL’INIZIO DEL SECOLO SCORSO EBBERO COME PROTAGONISTI DEGLI INNOCENTI COLPEVOLI DI ESSERE IN CERCA DI LIBERTÀ.
di Angelo Alfani
Topsy, un elefante femmina il cui peso superava le cinque tonnellate e l’altezza i tre metri, era nata nel sud-est asiatico, intorno al 1875. Trasportata clandestinamente in America per partecipare agli spettacoli circensi, venne fatta passare come il primo esemplare nato in cattività sul suolo del nuovo continente: un elefante a stelle e strisce.
E proprio come elefantessa americana il Forepaugh Circus, che ne aveva commissionato l’acquisto, la portò in ogni dove: vestita con una gonnella blu e rossa si esibiva in capriole, si alzava, barrendo, sulle zampe posteriori ed, in anticipo sui tempi, percorreva l’arena in monopattino.
Il 27 maggio 1902, a Brooklyn, un guardiano ubriacone entrò nel recinto degli elefanti e prese ad infastidirli: gettò sabbia addosso a Topsy e le spense una sigaretta sulla punta della proboscide. L’elefantessa reagì, lo ghermì con la proboscide e gli si sedette sopra, uccidendolo.
La stampa dell’epoca arrivò ad attribuire all’animale l’etichetta di «elefante cattivo”, imputandogli addirittura ben 12 uccisioni di uomini. La cifra fu in seguito ridotta a 2, entrambi lavoratori del Forepaugh che sarebbero stati uccisi in Texas. Un’indagine del 2013, condotta dal giornalista Michael Daly, nell’ambito di un libro su Topsy, svelò poi che nel Texas non si erano mai verificate morti ad opera di elefanti.
L’unico caso controverso in cui l’animale sarebbe stato coinvolto riguardava il ferimento di un uomo mentre allestivano un nuovo numero. Fu questo episodio che convinse il direttore del Forepaugh a vendere Topsy al Luna Park di Coney Island, New York, dove venne impiegata per portare a spasso visitatori e spostare materiale da costruzione. Un’attrazione per le decine di migliaia di visitatori ma non sufficiente a soddisfare le tasche dei proprietari.
Ma fu proprio qui che Topsy si rese protagonista di un imperdonabile atto di insubordinazione: la fuga, dopo che un guardiano la colpì dietro l’orecchio con un forcone.
Abbandonare il lavoro: un crimine che poteva dilagare tra gli altri animali, così come si era diffuso tra i cento cinquantamila minatori di carbone della Pennsylvania e le decine di migliaia di operai delle fabbriche di Chicago. Rapido quanto e più di un incendio tra le sterpaglie.
La fama di ingovernabilità della elefantessa, confezionata ad arte dai media, convinse i proprietari del Luna park a sopprimerla. Per massimizzare il profitto, unico loro Idolo, annunciarono che “l’elefante assassino di uomini” sarebbe stato giustiziato pubblicamente per i crimini commessi.
Ma in che modo? Ci furono molte discussioni sul come procedere e rare proteste soprattutto nei confronti di una ipotizzata impiccagione: troppo crudele, anche per un animale. Alla fine si decise di giustiziare Topsy con la corrente elettrica (da poco utilizzata per i condannati a morte in sostituzione del cappio) e per poterlo fare al meglio, e con maggiore audience, si invitò Thomas Edison, il famoso inventore, a partecipare all’esecuzione.
Dai giornali dell’epoca sembra che Edison, quella cupa domenica del 4 gennaio del 1903, non si fece vedere a Coney Island, mentre più di 1.500 spettatori, che avevano pagato 25 cent il biglietto, scalciavano e sbracciavano per aggiudicarsi la migliore visione dello spettacolo. Alle 14, ora annunciata, tentarono di condurre l’elefante sopra una speciale piattaforma predisposta per l’esecuzione, allungandogli carote intrise di cianuro.
Topsy, nonostante avesse le zampe strette da cavi e una robusta fune stretta al collo, tirata da molti uomini, strattonò come Gulliver con i Lillipuziani, trascinando sul piazzale terroso i complici del boia. Si decise allora di togliere definitivamente di mezzo le attrezzature predisposte ed accuratamente studiate. Gli lasciarono consumare il suo ultimo pasto avvelenato e mentre le macchine da presa cominciarono a girare, un elettricista della stazione di Bay Ridge girò l’interruttore lasciando che la scossa di corrente a 6.600 volt si sprigionasse attraverso i cavi avvinti alle zampe. Dieci secondi appena per bruciare una vita. Erano le 14,45, in ritardo di dieci minuti sull’orario previsto.
Circa venticinque anni dopo, esattamente il 23 agosto del 1927, due anarchici internazionalisti, di origine italiana, Nicola Sacco e Bartolomeo Vanzetti, furono giustiziati, innocenti, sulla sedia elettrica: alle ore 0,19 fu la volta di Sacco; alle 0,26 Vanzetti subì lo stesso destino.