“GALLIENO CLEMENTISSIMO PRINCIPI CVIVS INVICTA VIRTVS SOLA PIETATE SVPERATA EST ET SALONINAE SANCTISSIMAE AVG
AVRELIVS VICTOR V[IR] E[GREGIUS] DICATISSIMVS NVMINI MAIESTATIQVE EORVM”
Piazza Manfredo Fanti: un passante o un visitatore attraversa stancamente la piazza, non curante del fatto di essere appena passato sotto il meraviglioso Arco di Gallieno. Tra le meraviglie che Roma custodisce, a passare maggiormente inosservate sono proprio quelle che, solo apparentemente, sembrano avere alle spalle una storia ordinaria e di poco conto. Su Publio Licinio Egnazio Gallieno (218 d.C.-268 d.C.), figlio di Publio Licinio Valeriano (le date della sua nascita e della sua morte sono molto incerte) e di Egnazia Mariniana (esponente dell’importante e antica Gens Egnatia, una famiglia plebea di rango equestre nella Roma antica), sono state tramandate notizie e aneddoti frammentari, incerti e contrastanti: molto giovane si sposa con Cornelia Salonina (di cui non si conosce la data di nascita, ma, anche se incerta, solo quella della morte, avvenuta nel 268 d.C.), insieme vivono un matrimonio felice, nonostante alcune terribili disgrazie, come la morte prematura di alcuni figli.
Nel 253 d.C. Gallieno sale al trono con il padre, con la nomina di Regnante della parte occidentale dell’Impero, per essere tutelato dalle incursioni e invasioni dei barbari, all’epoca sempre più frequenti: associare qualcuno al trono è una pratica molto comune per il periodo della “Crisi del III secolo dell’Impero Romano” (235 d.C.-284 d.C. circa). Il loro regno dura fino al 260 d.C., anno della morte di Valeriano, durante il quale Gallieno si occupa principalmente di aspetti militari e, da qui in poi, continua a governare da solo. La tempra del sovrano è tale da poter essere riassunta in un’unica battuta da lui stesso pronunciata nel momento in cui apprende che l’amato padre è stato sconfitto, catturato e fatto prigioniero dai Parti: “Sciebam patrem meum esse mortalem” (“Ho sempre saputo che mio padre era mortale”). La fonte è l’“Historia Augusta”, la principale riguardo le notizie su questo Imperatore: si tratta, una raccolta di biografie di Imperatori romani che copre l’arco di tempo che va da Adriano(76 d.C-138 d.C.) a Numeriano (254 d.C.-284 d.C.). Anche riguardo la sua fine le fonti sono incerte: alcuni fanno fede alla notizia secondo la quale nel 268 d.C., presso Milano, il tenace Gallieno cade in un’atroce congiura ordita ai suoi danni, ucciso a tradimento mentre esce dalla sua tenda per mano dei suoi stessi soldati, altri fanno riferimento alla sua morte avvenuta durante un assedio, altri ancora ritengono che sia scomparso per cause naturali intorno ai 50 anni. Perfino per la fama di cui Gallieno gode si deve fare riferimento a più di una versione e le fonti stesse si contraddicono tra loro: secondo alcune l’Imperatore non è stato semplicemente duro e risoluto, ma anche estremamente immorale e spietato, in particolare contro i soldati (mandandone a morte migliaia al giorno), secondo altre invece è stato un sovrano saggio e valoroso. L’unico fatto certo è che sia stato dotato di indole tutt’altro che debole e che, in ogni caso, sia stato un uomo molto colto tanto che, durante il suo regno, le arti e la cultura hanno attraversato un periodo di grande fortuna, seppur contrastato dalla durezza e dalle difficoltà di quei cupi anni.
Il politico, storico romano e prefetto dell’Urbe, Aurelio Vittore dedica a Gallieno e alla consorte Cornelia Salonina un arco di tufo, ma ricostruito in candido travertino e a 3 fornici per volere di Ottaviano Augusto, conosciuto da pochissimi che, ancora oggi, sorge fra i palazzi dell’Esquilino (XV rione di Roma), vicino la Chiesa di Santa Maria Maggiore. Sotto l’attico, nella cornice, vi ha fatto scrivere una dedica: “A Gallieno, clementissimo principe, il valore invitto del quale è superato solo dalla religiosità, e a Salonina, virtuosissima Augusta, Aurelio Vittore, vir egregius, devotissimo alla loro maestà”. La dedica non poteva essere più opportuna, poiché il Sovrano doveva passare proprio sotto questa porta per raggiungere la sua residenza, gli Horti Liciniani, sulla cui sommità aveva progettato di far costruire una statua raffigurante un Gallieno nelle vesti di dio Sole invitto, che però è rimasta inconclusa. Conosciuto anche con il nome originario di Porta Esquilina, è stato costruito in opera quadrata (una tecnica di costruzione della Roma antica), negli anni modificato, arricchito e smantellato di alcune parti; sobrietà ed essenzialità sono i caratteri dominanti, alcune tracce di intonaco lasciano immaginare che in origine l’Arco fosse dipinto e affrescato. Da alcuni lavori di restauro è emersa la possibilità che potesse esistere un piano attico della costruzione, ma rimane difficile stabilirne le precise caratteristiche.
Tra le meraviglie che Roma custodisce, a passare maggiormente inosservate sono proprio quelle che, solo apparentemente, sembrano avere alle spalle una storia ordinaria e di poco conto. Incastonato tra i suggestivi scorci dell’Esquilino, un pezzetto di storia, che non si può fare a meno di contemplare.
Flavia De Michetti