ROMA: LA CHIESA DELLA MORTE

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chiesa della morte

UN CIMITERO DECORATO CON OSSA UMANE

Una delle strade più importanti sia per motivi architettonici che storici, realizzata da Papa Giulio II (1443-1513), da cui prende il nome, è via Giulia e, al numero 262, ospita una delle chiese più singolari di Roma, la Chiesa di Santa Maria dell’Orazione e Morte, che, con la sua facciata decorata da macabri simboli, teschi e scheletri, rivela una storia molto particolare.

la chiesa della morte

Conosciuta anche con il nome di “Chiesa della Morte”, situata tra l’arco Farnese e il palazzo Falconieri, è stata fatta erigere dalla Confraternita dell’Orazione e della Morte, fondata nel 1538 ed elevata ad Arciconfraternita nel 1560 da papa Pio IV (1499-1565), proprio sulle rive del fiume Tevere, un’area sulla quale, all’epoca, si sviluppava interamente la campagna; vennero inoltre fatti edificare un cimitero, solo in parte sotterraneo, e un oratorio. I componenti della Compagnia, “i zelanti fratelli della Morte” (come li definisce l’autore Luigi Huetter, nato nel 1884), avevano come compito quello di raccogliere e dare degne esequie ai corpi delle persone indigenti o ignote trovati annegati nel Tevere, abbandonati nelle campagne e nelle strade. In questo modo, oltre alla povera gente che non poteva permettersi un’idonea sepoltura cristiana, anche i morti senza un’identità trovavano pace all’interno della piccola catacomba.

Nel corso del tempo la chiesa subì numerosi lavori di restaurazione e per il suo ampliamento; ancora oggi, conserva l’aspetto che aveva nel 1700. La facciata, attribuita all’architetto Ferdinando Fuga (originario di Firenze, 1699-1782), è un’anticipazione per ciò che andremo a trovare all’interno, tutto incentrato su uno stile Tardo Barocco: come prima cosa ci accoglie uno scheletro rappresentato su una targa esclamando, in modo anche canzonatorio, “Hodie mihi, cras tibi” (Oggi a me, domani a te) e dopo questo benvenuto il nostro sguardo si sposterà sulle altre decorazioni tutte incentrate su di uno stile grottesco, che riporta al concetto dell’inesorabile trascorrere del tempo e dell’al di là. Su una seconda targa, invece, è rappresentata la Morte che osserva un corpo senza vita (entrambe le targhe sono state attribuite allo stesso architetto fiorentino, autore della facciata). Sono presenti festoni, teschi alati, che indicano la caducità dell’esistenza umana e l’elevarsi dell’anima dopo la morte; la clessidra, simbolo della fugacità del tempo e quindi dell’inevitabile raggiungimento della fine; la cima della facciata è decorata da vasi, in cui ardono lefiamme, che stanno ad indicare la viva speranza per la vita eterna.                                                                                                                                                      L’interno della piccola chiesa si presenta a pianta ovale ed è ricco di importantissime opere, tra le quali una copia del San Michele Arcangelo”, di Guido Reni (1575-1642) e numerosi affreschi di Giovanni Lanfranco (1582-1647).Continui sono i richiami alla morte, ma altrettanto numerosi quelli dedicati alla vita eterna.

Intorno al 1800 il cimitero venne quasi interamente demolito a causa della costruzione dei muraglioni, che sarebbero serviti ad arginare le acque del Tevere. Dal 1552 al 1896 circa si sono contati 8000 corpi tumulati. Attualmente si presenta come un ossario, in cui lampadari, croci e altri oggetti di arredo o puramente decorativi sono tutti realizzati con scheletri ed ossa umani. Oggi rimane un luogo ancora poco conosciuto; un altro dei tesori che Roma gelosamente custodiscelontano dall’usura del tempo.

Flavia De Michetti