Sceneggiatore e regista statunitense nato a Kansas City nel 1925 da una famiglia borghese, il padre statunitense di origini tedesche e la madre di origini inglesi e irlandesi. È morto a West Hollywood nel 2006.
di Pamela Stracci ©
Istruito in una scuola di gesuiti, circostanza che lo porterà ad allontanarsi dalla fede (si professava difatti ateo). Nel 1945 si arruola nell’aeronautica dopo aver frequentato l’accademia militare. Dopo una serie di insuccessi dei suoi primi lavori presentati nell’immediato dopoguerra, negli anni ’50 fonderà una propria compagnia cinematografica e lavorerà a diversi progetti (tra i quali una serie proposta da Alfred Hitchcock).
Purtroppo la sua poetica registica finiva di volta in volta a scontrarsi con la produzione che sistematicamente lo licenziava. Le cause erano da ricercarsi nel suo comportamento sul set, nei continui cambi di battute direzionate verso un messaggio anticonformista e dissacrante delle istituzioni, insomma quelle caratteristiche che a partire dagli anni ’70 del secolo scorso lo consacreranno a mostro sacro della cinematografia americana pluripremiato.
Tra i vari riconoscimenti, il Leone d’oro alla carriera nel 1996 e l’Oscar alla carriera nel 2006. Altman è considerato uno dei maggiori registi del nuovo cinema holiwoodiano (The new cinema) degli anni ’60, grande trasformatore della narrativa classica americana, grande narratore della quotidianità. Il riambientamento delle storie narrative era l’asse portante di questo regista innovatore, una trasformazione indispensabile a garantire la coesione tra un racconto e la sua la trasposizione cinematografica. Uno dei capolavori di Altman è il film Short cuts (America oggi), uno fermoimmagine potente della società americana degli anni ’90, trasposizione cinematografica dei racconti di un altro importante autore americano, Carver.