Ritorno a Castel Giuliano

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di Silvio Vitone

Gli anni Novanta del secolo passato  hanno fatto vivere agli ambientalisti una stagione di speranze e di progetti ed anche di qualche concreto risultato; tra questi risultati non deve essere dimenticata l’istituzione  di grandi aree protette.  Qui nel Lazio  è stata  creata   la Riserva Statale del  Litorale  Romano  (1996 )  e poi  c’era  l’idea di salvaguardare quel  vero scrigno di biodiversità che sono i Monti della Tolfa.  Vincente e grandiosa sarebbe  stata anche la realizzazione  del parco archeologico – naturalistico  di Cerveteri,  molto di più di un sito Unesco, molto di più della pur importante area della necropoli – recintata – della  Banditaccia; questo parco   con la sua vastità avrebbe abbracciato  gran parte del territorio  ceretano  e ci sarebbero state veramente quelle ricadute  in termini  di occupazione e turismo, oltre che di immagine. Un  parco concepito non come una semplice recinzione di un territorio, non concepito come un’ odiosa sommatoria di prescrizioni e divieti, ma come la    possibilità   di poter raggiungere, non solo da parte  degli specialisti,   sepolcreti isolati, necropoli che datano dal IX a IV secolo, alle quali si possono aggiungere  opere idrauliche, strade, sentieri scavati nel morbido tufo e le  altre testimonianze di una consolidata e progredita civiltà preromana; il tutto inserito  in un contesto paesaggistico e naturale  del tutto invidiabile e irripetibile.

Poi ci siamo arresi (si sono arresi?) e quindi niente parco dei monti della Tolfa e niente a parco archeologico naturalistico a Cerveteri. Naufragio di un’idea o speranzosa attesa?

Non entro nel dibattito, che a volte presenta risvolti e preziosità – leziosità – un tantino  terminologiche,  se quella di Cerveteri  sia  Campagna Romana o maremma etrusca; se Cerveteri  sia  una propaggine  della Tuscia Viterbese  o sia da apparentarsi  con la più lontana (ma non troppo) terra di Toscana, pure questa una volta dominata dagli Etruschi.

Parto invece da un dato  di fatto;  se mi affaccio alle mura castellane, che chiudono in direzione del mare, il quartiere cerveterano della “Boccetta”, il panorama è di una desolante bruttezza per via di un’urbanistica  che si è  sostituita ad una campagna – un tempo – rigogliosa di filari di viti ed uliveti.

E’ invece dalla parte opposta, verso l’interno, che le dolci ondulazioni  dei Colli  Ceriti, con la loro copertura di faggi,  lecci e boscose macchie, rinfrancano  lo spirito ed offrono al viandante domenicale  spettacoli e suggestioni  memorabili.  Peraltro  forre, castelline tufacee, intrico di macchie arbustive ancora nascondono le testimonianze della civiltà etrusca, degne  di essere riportate alla luce. Insomma  l’ambiente di Cerveteri ha due volti; quello più lontano dal mare ha conservato caratteri di equilibrio ambientale che lo possono (ancora) proporre ad un turismo di ecologisti “emunte nari”, ai cultori del trekking o semplicemente a chi   vuol rilassarsi godendo di zefiri e brezze di collina.

Fin da ragazzo, fin da quando andavo a raccogliere  le ginestre  per adornare  le strade di Cerveteri in occasione  delle feste patronali, ho frequentato  i Colli Ceriti  e  mi sono diventate   familiari  le selvose  cime di  Belvedere del Principe, di   monte Ercole  e gli angoli  più ameni di questo territorio dove un tempo ho vissuto memorabili pasquette.

Da parecchio  non mi addentravo in mezzo a queste colline con l’ambita meta di raggiungere Castel Giuliano, in territorio braccianese. E mi  sono spesso posto un interrogativo: queste colline etrusche sono ancora belle come nei  miei ricordi?

In particolare  quello che  è il percorso più  gettonato  da Porta  Coperta (la porta etrusca di Caere) fino   Castel Giuliano  può ancora  destare ammirazione  come alcuni addietro ?

Un sabato di qualche tempo fa, per merito di  un’associazione escursionistica  “Sentiero Verde“  e del suo impegnato ed impareggiabile accompagnatore e guida, Antonio Doddi, mi è stata offerta l’opportunità  di  tornare  nuovamente  sulle antiche vie etrusche e maremmane, che ancora una volta mi hanno riservato sostanziali  emozioni ed un contatto con la natura silvestre, che forse avevo dimenticato. Insomma  dopo  essermi  “infrattato”  in una vegetazione  che  dispiega tutti i profumi ed il colori della primavera  ed  aver visitato  ben cinque cascate, prodigiosi  salti d’acqua formati dal  Fosso  della Mola debbo ammettere  che  vandalismi  e deturpazioni  e pericoli di interventi (umani) sconsiderati  per ora sono scongiurati. Mi ha fatto molto piacere  incontrare  lungo la mia escursione numerosi piccoli gruppi soprattutto di giovani, molti  biker sfreccianti ad andatura sostenuta ed anche cavalli e cavalieri.  Non ho notato – e pure questa è una nota positiva –  immondizie ed ingombranti  carcasse di frigoriferi e televisori che pure un tempo  “adornavano” il limitare del bosco. Maggiore attenzione all’ambiente da parte da parte di un’utenza sempre più numerosa?  Forse.

Ma il merito va ascritto soprattutto  ad un associazionismo  ecologista, che sa riboccarsi le maniche e lavorare sodo.  Anche qui  valga un nome per tutti, Stefano Belmonti, che con  il suo gruppo di amici e volontari  ha aperto nuovi sentieri permettendo  a folle di visitatori e camminatori di  entrare in contatto  con  zone etrusche altrimenti  sottoposte al degrado e alla vegetazione infestante.  Non vorrei ingenerare nel lettore troppe ottimistiche  impressioni  perché i Colli Ceriti, in altri punti, per esempio verso il Sasso, frazione di Cerveteri  appaiono deturpati  da villette  e da costruzioni  non molto rispettose dell’ambiente.

E poi perché non rendere fruibili anche altre località di queste meravigliose colline  giustamente vocate (nel senso che possono dare  accoglienza) nei  confronti  di un   qualificato turismo  domenicale)?

Ci aspetteremmo, a questo punto, che anche  le amministrazioni e gli enti, che a vario titolo sono preposte a questo fragile e interessante territorio   si adoperassero  di più e meglio  con interventi organici e di lungo respiro  spronati  dall’attività dei volontari  e dell’associazionismo, che per sua natura da solo non può bastare e rimane limitato  nel tempo e nello spazio .