Riforma Madia: i primi passi verso la stabilizzazione dei precari

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di Antonio Calicchio

In data 22 giugno 2017, è entrato in vigore, nell’ordinamento giuridico italiano, il decreto di riforma del lavoro pubblico, ossia il D. Lgs.vo n. 75, del 25 maggio 2017, finalizzato, nel quadro della più ampia delega in materia di riorganizzazione delle amministrazioni pubbliche – L. n. 124/2015 – alla riduzione del precariato nella P.A.A tal uopo, il legislatore delegato ha delineato due percorsi fondamentali: stabilizzazione di dipendenti in possesso di almeno tre anni di anzianità di servizio, anche non continuativi, negli ultimi otto, nonché procedure concorsuali riservate, in misura non superiore al cinquanta per cento dei posti disponibili, ai precari della P.A.

In particolare, l’art. 20, co. 1, del decreto legislativo, rubricato Superamento del precariato nelle pubbliche amministrazioni, nel capo IX, delle Disposizioni transitorie e finali, trova la sua ratio iuris nella esigenza di “superare il precariato, ridurre il ricorso ai contratti a termine e valorizzare la professionalità acquisita dal personale con rapporto di lavoro a tempo determinato”, consentendo alle amministrazioni, nel triennio 2018-2020, di procedere all’assunzione, a tempo indeterminato, di personale non dirigenziale che abbia tutti i sottoelencati requisiti:

  • risulti in servizio successivamente alla data di entrata in vigore della L. n. 124/15 – 28 agosto 2015 – con contratti a tempo determinato, presso l’amministrazione che procede all’assunzione;
  • sia stato reclutato a tempo determinato, in relazione alle medesime attività svolte, con procedure concorsuali anche espletate presso amministrazioni pubbliche diverse da quella che procede all’assunzione;
  • abbia maturato, al 31 dicembre 2017, alle dipendenze dell’amministrazione che procede all’assunzione almeno tre anni di servizio, anche non continuativi, negli ultimi otto anni.

Il co. 2 del succitato art. prevede che “nello stesso triennio 2018-2020, le amministrazioni, possono bandire … procedure concorsuali riservate, in misura non superiore al cinquanta per cento dei posti disponibili, al personale non dirigenziale che possegga tutti i seguenti requisiti:

  1. risulti titolare, successivamente alla data di entrata in vigore della L. n. 124/2015, di un contratto di lavoro flessibile presso l’amministrazione che bandisce il concorso;
  2. abbia maturato, alla data del 31 dicembre 2017, almeno tre anni di contratto, anche non continuativi, negli ultimi otto anni, presso l’amministrazione che bandisce il concorso”.

In ordine al co. 1 e al co.2, è da evidenziare che le amministrazioni possono assumere o bandire procedure concorsuali coerentemente col piano triennale dei fabbisogni e con l’indicazione della corrispondente copertura finanziaria. Tuttavia, il co. 4, dell’art. 20, stabilisce che “le disposizioni di cui ai commi 1 e 2 non possono essere applicate dai comuni che per l’intero quinquennio 2012-2016 non hanno rispettato i vincoli di finanza pubblica”. E proprio in tema di risorse soccorre il co. 3, stesso art., secondo cui “… le pubbliche amministrazioni, nel triennio 2018-2020 … possono elevare gli ordinari limiti finanziari per le assunzioni a tempo indeterminato previsti dalle norme vigenti, al netto delle risorse destinate alle assunzioni a tempo indeterminato per reclutamento tramite concorso pubblico, utilizzando a tal fine le risorse previste per i contratti di lavoro flessibile, nei limiti di spesa … calcolate in misura corrispondente al loro ammontare medio nel triennio 2015-2017 a condizione che le medesime amministrazioni siano in grado di sostenere a regime la relativa spesa di personale previa certificazione della sussistenza delle correlate risorse finanziarie da parte dell’organo di controllo interno … e che prevedano nei loro bilanci la contestuale e definitiva riduzione di tale valore di spesa utilizzato per le assunzioni a tempo indeterminato …”.

 

Preliminarmente, è da rilevare che – sulla base del tenore letterale e testuale delle disposizioni contenute nell’art. 20 – appare evidente come l’attivazione delle procedure di stabilizzazione, in favore di personale precario, avente i requisiti di legge, costituisca, per la P.A., non un obbligo, bensì una mera facoltà. Pertanto, i dipendenti interessati non possono vantare, nei confronti degli Enti presso cui sono stati impiegati con forme di lavoro flessibile, alcun diritto alla stabilizzazione, risultando titolari di una posizione di mera aspettativa di fatto. Le Amministrazioni, inoltre, possono esercitare tale facoltà “solo qualora ricorrano effettive esigenze funzionali dell’Ente e, comunque, nel rispetto dei principi generali in materia di programmazione del fabbisogno e di dotazione organica, ai sensi dell’art. 35, co. 4, D. Lgs.vo n. 165/01”. L’immissione in ruolo del personale precario non è effetto automatico delle disposizioni legislative che disciplinano la procedura di stabilizzazione, bensì è effetto di un’attività di tipo discrezionale che deve necessariamente essere posta in essere dall’Amministrazione interessata. Ai fini dell’applicazione delle disposizioni in esame, è opportuno rammentare che, “vertendosi in tema di processo di stabilizzazione del personale precario, la relativa normativa, in quanto dettata sia pure in parziale deroga al principio costituzionale del pubblico concorso per accedere ai pubblici uffici, deve considerarsi di stretta interpretazione ed applicazione, né può essere interpretata alla luce di pretesi significati impliciti od inespressi, bensì secondo il significato evincibile dal tenore letterale delle parole e dalla loro connessione”.

 

L’art. 20, co. 1, consente l’assunzione diretta – senza concorso – di personale non dirigenziale, con contratto di lavoro a tempo determinato, in possesso simultaneamente delle seguenti tre condizioni:

1.essere in servizio, successivamente alla data del 28 agosto 2015, con contratto di lavoro a tempo determinato, presso l’Amministrazione che intende procedere all’assunzione. Il Legislatore, in tal caso, si è limitato ad introdurre un mero dies a quo. Affinché possa avviarsi la procedura di stabilizzazione, è sufficiente che il dipendete risulti in servizio, “anche per un solo giorno”, successivamente alla data di entrata in vigore della Legge n. 124/15. Nell’ipotesi in cui vi siano più dipendenti in possesso del requisito de quo, è prevista la priorità di accesso a favore del personale in servizio alla data di entrata in vigore del decreto di riforma, ovvero al 22 giugno 2017. Secondo la Circolare n. 3/2017, della Funzione pubblica, “tale ultimo criterio, ferma restando la prevalenza dell’effettivo fabbisogno definito nella programmazione, è prioritario rispetto ad altri eventualmente fissati dall’Amministrazione per definire l’ordine di assunzione a tempo indeterminato; i criteri scelti suppliranno anche per l’ordine da attribuire a coloro che sono in servizio alla predetta data del 22 giugno 2017”;

2.essere stato assunto con contratto a tempo determinato, in relazione alle medesime attività svolte, “intese come mansioni dell’area o categoria professionale di appartenenza”, attingendo ad una graduatoria (non rileva se a tempo determinato o indeterminato), mediante procedure concorsuali, anche espletate presso Amministrazioni diverse da quella che procede alla stabilizzazione. Secondo la Circolare n. 3/2017, nell’ambito delle “procedure concorsuali”, sono ricompresi i procedimenti selettivi ordinari, per esami e/o titoli, ovvero anche previsti in una normativa di legge;

3.aver maturato, al 31 dicembre 2017, alle dipendenze della stessa Amministrazione che procede all’assunzione, almeno tre anni di servizio, anche non continuativi, negli ultimi otto. Secondo la Funzione pubblica, “gli anni utili da conteggiare ricomprendono tutti i rapporti di lavoro prestato direttamente con l’Amministrazione, anche con diverse tipologie di contratto flessibile, ma devono riguardare attività svolte o riconducibili alla medesima area o categoria professionale che determina poi il riferimento per l’Amministrazione dell’inquadramento da operare, senza necessità poi di vincoli ai fini dell’unità organizzativa di assegnazione”. Risulta dissipato, in senso negativo, il dubbio inerente alla possibilità di procedere alla stabilizzazione di un dipendente che abbia prestato servizio in diverse categorie di inquadramento e che abbia superato una selezione pubblica per l’attività che si intende stabilizzare.

 

L’art. 20, co. 2, consente alle Amministrazioni, limitatamente al triennio 2018-2020, di indire concorsi riservati, in misura non superiore al 50% dei posti disponibili, a personale non inquadrato in qualifica dirigenziale ed in possesso di precisi requisiti. Secondo la Funzione pubblica, “la previsione, volta a garantire l’adeguato accesso dall’esterno, è da intendere riferita non ai posti della dotazione organica, che è comunque suscettibile di rimodulazione, ma alle risorse finanziarie disponibili nell’ambito delle facoltà di assunzione, che possono quindi essere destinate al reclutamento speciale nella misura massima del 50%. Le risorse dell’art. 9, co. 28, D.L. n. 78/10 sono, invece, per intero destinabili alle finalità dell’art. 20, commi 1 e 2, D. Lgs.vo n. 75/17”.

Le procedure concorsuali riservate riguardano il personale che: a) risulti titolare di un contratto di lavoro flessibile alla data del 28 agosto 2015, presso la stessa Amministrazione che bandisce il concorso; b) al 31 dicembre 2017, abbia maturato almeno 3 anni di contratto, anche non continuativi, presso l’Amministrazione che procede all’assunzione nel corso degli ultimi 8 anni. Analogamente a quanto espresso in merito al requisito di cui alla lett. c), co. 1, art. 20, secondo la Funzione pubblica, “in tale requisito di anzianità è possibile sommare periodi riferiti a contratti diversi, anche come tipologia di rapporto, purché riferiti alla medesima amministrazione e alla medesima attività”.

Come notato dal Consiglio di Stato, il ricorso allo strumento delle procedure concorsuali riservate determina che “l’accertamento dell’idoneità del personale avventizio ad entrare a titolo definitivo nella struttura organizzativo-funzionale della P.A. non è affidato al mero fatto di aver svolto dei compiti in favore dell’Amministrazione, quanto piuttosto al superamento di una apposita selezione (che verifichi attraverso adeguate prove le capacità professionali del soggetto, anche con riferimento alla soluzione di casi pratici)”.

 

In forza di esplicita previsione normativa, sono esclusi, dalla stabilizzazione, i lavoratori che hanno svolto le proprie attività presso le Pubbliche Amministrazioni mediante contratto di somministrazione. Il dubbio sorto è se nella definizione di “lavoro flessibile” possono essere ricomprese le collaborazioni coordinate e continuative. Secondo la Circolare n. 3/2017, “l’ampiezza dell’ambito soggettivo di applicazione della norma, più esteso rispetto alla platea ammessa al reclutamento speciale di cui all’art. 35, co. 3 bis, lett. a), D. Lgs.vo. n. 165/01 (nonché a quella di cui all’art. 20, co. 1), consente di ricomprendere, nel reclutamento speciale transitorio per il triennio 2018-2020, i titolari di varie tipologie di contratto flessibile, quali ad es. anche le collaborazioni coordinate e continuative”. L’art. 20, D. Lgs.vo n. 75/17, non si discosta da tutto quel corpus normativo che ha sempre ricompreso le co.co.co tra le forme di lavoro flessibile utilizzabili dalle Pubbliche Amministrazioni. Il co. 5 del citato art. 20 dispone che “fino al termine delle procedure di cui ai commi 1 e 2, è fatto divieto alle Amministrazioni interessate di instaurare ulteriori rapporti di lavoro flessibile di cui all’art. 9, co. 28, D. L. n. 78/10, convertito con modificazioni dalla L. n. 122/10, e s.m., per le professionalità interessate dalle predette procedure”. Il D. L. n. 78/10, all’art. 9, co. 28, annovera, tra le forme flessibili di lavoro: i contratti a tempo determinato, i contratti di collaborazione coordinata e continuativa, i contratti di formazione lavoro, altri rapporti formativi, la somministrazione di lavoro ed il lavoro accessorio. Anche i commi 3 e 5, richiamano la disciplina della spesa del lavoro flessibile nelle Amministrazioni, introdotta dalla “Legge di stabilità 2010”. La lettura coordinata dei commi 3, 5 ed 8, dell’art. 20, D. Lgs.vo n. 75/17, conduce a concludere che, tra le tipologie di lavoro flessibile che possono essere stabilizzate mediante concorso riservato, possono rientrare anche le collaborazioni coordinate e continuative.

Appare utile ricordare che il co. 9, dell’art. 20, esclude da tale facoltà i lavoratori con contratto di somministrazione. Ai sensi del co. 7, dell’art. 20, “non rileva il servizio prestato negli Uffici di diretta collaborazione di cui all’art. 14, D. Lgs.vo n. 165/01 o degli Organi politici delle Regioni, secondo i rispettivi ordinamenti, né quello prestato in virtù di contratti di cui agli artt. 90 e 110 D. Lgs.vo n. 267/00”. Pertanto, sono esclusi sia i rapporti di diretta collaborazione con gli Organi elettivi, che quelli finalizzati alla copertura dei posti di Responsabili dei Servizi o degli Uffici (di qualifiche dirigenziali o meno o di alta specializzazione) ex art. 110 del Tuel. Ed infatti, tali rapporti di lavoro non possono essere collegati al fenomeno del precariato nel “Pubblico Impiego”, dato che gli stessi sono ontologicamente a tempo determinato. Secondo la Funzione pubblica, “alle procedure del predetto art. 20, da svolgersi nel triennio 2018-2020, possono partecipare, purché in possesso dei prescritti requisiti, anche coloro che hanno già partecipato ad altre analoghe procedure, tra cui anche quelle previste dalle disposizioni richiamate alla nota n. 1”.

 

Come riferito nel paragrafo precedente, il co. 5, dell’art. 20, introduce il divieto, per le Amministrazioni interessate, di instaurare ulteriori rapporti di lavoro flessibile di cui all’art. 9, co. 28, D. L. n. 78/10, convertito con modificazioni dalla L. n. 122/10, per le professionalità e le posizioni oggetto di stabilizzazione, fino a che non siano concluse le assunzioni dirette e le procedure concorsuali riservate. Secondo la Circolare n. 3/2017, “nel caso in cui le risorse dell’art. 9, co. 28, D.L. n. 78/10, siano impegnate nel suddetto ‘Piano triennale di reclutamento speciale’. Il divieto non opera, invece, nel caso e nella misura in cui le Amministrazioni mantengano disponibili le risorse per l’utilizzo secondo il predetto art. 9, co. 28, anche al fine di sopperire ad esigenze sostitutive di personale assente dal servizio con diritto alla conservazione del posto.” Pertanto, gli Enti che prevedono di ricorrere a forme di lavoro flessibile devono, nel caso intendano attivare procedure concorsuali riservate, far ricorso all’utilizzo delle risorse destinate al turn-over c.d. “ordinario”. Il co. 8 dello stesso art. 20 consente di prorogare i relativi rapporti di lavoro flessibile in essere coi soggetti che partecipano alle procedure di stabilizzazione, fino alla loro conclusione, sempre, comunque, nei limiti delle risorse finanziarie disponibili, di cui all’art. 9, co. 28, D.L. n. 78/10 cennato. Occorre puntualizzare che si tratta di una possibilità e non di un obbligo. E’ possibile prorogare detti contratti anche oltre il tetto massimo di 36 mesi stabilito per la durata delle assunzioni flessibili. Tuttavia, “poiché la proroga o la durata dei relativi rapporti di lavoro è prevista in deroga alla disciplina del D. Lgs.vo n. 81/15, la stessa è consentita per coloro che – come detto – partecipano alle procedure dell’art. 20, in quanto chiaramente destinatari di misura volta al superamento del precariato”. Sempre secondo la Funzione pubblica, al fine di garantire la continuità dei servizi, tali rapporti possono essere prorogati anche prima di iniziare le suddette procedure.

 

Le procedure di stabilizzazione non possono che essere realizzate in coerenza con quanto previsto dagli strumenti di programmazione del fabbisogno di personale (“Piano triennale dei fabbisogni” di cui all’art. 6, co. 2, D. Lgs.vo n. 165/01), indicando, altresì, la relativa copertura finanziaria. Ad opinione della Funzione pubblica, “nelle more dell’adozione delle linee di indirizzo e di orientamento nella predisposizione dei ‘Piani dei fabbisogni di personale’, le Amministrazioni possono, comunque, procedere all’attuazione delle misure previste dall’art. 20 a partire dal 2018, tenendo conto dei limiti derivanti dalle risorse finanziarie a disposizione e delle figure professionali già presenti nella pianta organica. Si ricorda, infatti, che, secondo quanto previsto dall’art. 22, co. 1, D. Lgs.vo n. 75/17, in sede di prima applicazione, il divieto di cui all’art. 6, co. 6, D. Lgs.vo n. 165/01, si applica a decorrere dal 30 marzo 2018 e, comunque, solo decorso il termine di 60 giorni dalla pubblicazione delle linee di indirizzo di cui al primo periodo”. Tale possibilità non esenta le Amministrazioni dall’effettuare una ricognizione preliminare in relazione sia all’entità del personale interessato, che alle tipologie di professionalità di cui necessita. L’attività di identificazione è utile anche in vista di definire quali figure professionali siano da reclutare mediante il ricorso al reclutamento ordinario rivolto all’esterno e quali attraverso gli strumenti previsti dal D. Lgs.vo n. 75/17. Al fine di garantire un percorso di trasparenza del processo di stabilizzazione, e nel pieno rispetto delle prerogative delle Organizzazioni sindacali, è consigliabile che le Amministrazioni adottino  un atto interno volto a: 1) indicare i dipendenti in possesso dei requisiti previsti dall’art. 20, distinguendo i destinatari del co. 1 da quelli del co. 2; 2) definire le ragioni delle loro scelte con riferimento all’an, al quomodo e al quando; 3) valutare le procedure più efficaci e funzionali alle loro esigenze ed alla finalità della norma, anche con riferimento ad un’applicazione parziale nei confronti dei destinatari per ragioni di fabbisogno, di disponibilità finanziarie o altro; 4) indicare le modalità di svolgimento delle procedure concorsuali riservate di cui all’art. 20, co. 2. Dato che le norme dettate dall’art. 20, D. Lgs.vo n. 75/17, sono volte a riassorbire l’alto numero di lavoratori precari presenti nelle Pubbliche Amministrazioni, la Funzione pubblica ritiene che le procedure di cui all’art. 30, D. Lgs.vo n. 165/01 (la c.d. “mobilità volontaria”) non debbano essere esperite. In altri termini, si considera prevalente l’interesse al superamento del fenomeno del precariato rispetto ad una migliore distribuzione del personale già all’interno del perimetro degli Enti pubblici. “Rimane, invece, prevalente la posizione giuridica alla ricollocazione del personale in disponibilità ed è, pertanto, necessario adempiere a quanto previsto dall’art. 34-bis, D. Lgs.vo n. 165/01”.

 

Il co. 13 introduce talune disposizioni a favore del personale che è stato impiegato, con forme di lavoro flessibile, in Enti interessati da fenomeni di “riordino, soppressione o trasformazione”: in questi casi, deve essere considerato “anche il periodo maturato presso l’Amministrazione di provenienza”. La norma chiarisce ogni dubbio in merito alla possibilità, per tale tipo di personale, di sommare i periodi di servizio prestati presso enti diversi. Il co. 14 stabilisce che, per il triennio 2018-2020, si applicano ancora le norme previste a favore delle assunzioni dei “lavoratori socialmente utili”. Per facilitare le assunzioni di questo tipo di personale, è ampliato il monte delle risorse economiche utilizzabili, in quanto “è possibile ricorrere, oltre ai finanziamenti statali e regionali e alle facoltà assunzionali nei limiti previsti dalla normativa vigente, anche all’utilizzo della spesa storica, ove sostenibile a regime, di cui all’art. 9, co. 28, D. L. n. 78/10, calcolata in misura corrispondente alla media del triennio 2015-2017”; ed inoltre, la Funzione pubblica chiarisce che è possibile “neutralizzare, ai fini delle disposizioni di cui all’art. 1, commi 557 e 562, L. n. 296/06, relative al calcolo della propria spesa di personale, l’eventuale cofinanziamento erogato dallo Stato e dalle Regioni”. Ed infine, anche in questi casi, è consentita la proroga dei contratti di “lavoratori socialmente utili” fino alla stabilizzazione.

 

   Facendo riferimento a precedenti indirizzi giurisprudenziali, elaborati a seguito di pregresse tornate di stabilizzazioni, è stato sottolineato che, “ove l’assunzione a seguito della procedura di stabilizzazione di cui all’art. 1, co. 558, della L. n. 296/06, richiamato dall’art. 3, co. 90, lett. b), della L. n. 244/07, dei soggetti interessati avvenga sulla base dell’accertato possesso degli specifici requisiti (titolarità di un rapporto di lavoro precario cui si è acceduto previo superamento di procedure selettive di natura concorsuale e possesso, ad una data determinata, di una prestabilita anzianità di servizio maturata entro precisi limiti temporali) i provvedimenti di inclusione e/o di esclusione dalla graduatoria incidono su posizioni di diritto soggettivo e sono pertanto assoggettati alla giurisdizione del Giudice ordinario in virtù dell’art. 63, co. 1, del D. Lgs.vo n. 165/01”. Ed inoltre, “il procedimento di formazione delle graduatorie per la stabilizzazione del personale precario non costituisce una procedura concorsuale in senso proprio, in quanto manca, rispetto agli aspiranti, non solo qualsiasi giudizio comparativo, ma anche qualsivoglia discrezionalità nella valutazione dei titoli di ammissione, ragion per cui le relative controversie non sono sottoposte alla giurisdizione amministrativa, bensì a quella ordinaria”. Pertanto, alla luce di quanto rilevato, si può ritenere che il Giudice ordinario sia competente riguardo alle procedure di diretta assunzione dei dipendenti a tempo determinato in possesso di specifici requisiti (art. 20, co. 1, del D. Lgs.vo n. 75/17), mentre il Giudice amministrativo in relazione ai concorsi riservati a soggetti che abbiano prestato servizio mediante forme di lavoro flessibile (art. 20, co. 2, del D. Lgs.vo n. 75/17). Il co. 3 dell’art. 20 del D. Lgs.vo n. 75/17 concede la possibilità alle Pubbliche Amministrazioni che intendono fare ricorso agli strumenti previsti per la stabilizzazione del personale precario (vale a dire, assunzioni dirette a tempo indeterminato e procedure concorsuali riservate), di elevare gli ordinari limiti finanziari previsti dall’attuale normativa per le assunzioni a tempo indeterminato. Ma siffatta possibilità vale solo per il triennio 2018-2020.

 

L’incremento delle risorse deriva dalla possibilità di aggiungere, al quantum destinato alle assunzioni a tempo indeterminato, una quota della spesa sostenuta per quelle di natura flessibile. Il prefato aumento si realizza – recita la norma – “al netto delle risorse destinate alle assunzioni a tempo indeterminato per reclutamento tramite concorso pubblico”. In questo modo, il Legislatore, non solo determina l’invarianza della spesa di personale, ma garantisce l’inserimento in ruolo, dopo l’esperimento delle relative procedure concorsuali, di personale, comunque, estraneo al processo di stabilizzazione. Diretta ed immediata conseguenza di quanto detto è che le risorse così utilizzate non possono essere impiegate per il finanziamento delle assunzioni flessibili; diversamente, si assisterebbe ad una espansione della spesa per i dipendenti in palese violazione dei vincoli e dei limiti imposti dal D. Lgs.vo n. 75/17. Occorre rilevare che la quota massima di risorse che può essere utilizzata per il processo di stabilizzazione del personale precario e che, come segnalato, viene sottratta al finanziamento dei contratti di lavoro flessibile, è pari all’ammontare medio delle risorse che l’Ente ha destinato, nel triennio 2015-2017, per tale tipologia di lavoro. Risulta evidente che sono maggiormente favoriti gli Enti che sono stati in grado di utilizzare al massimo le capacità assunzionali destinate al lavoro flessibile. Gli Enti, inoltre, devono essere capaci di dimostrare la sostenibilità a regime della spesa per il personale determinatosi al termine del processo di stabilizzazione. Tale sostenibilità deve essere certificata dai servizi di controllo interno, ossia, per i Comuni, dai Revisori dei conti. Importante precisazione da parte della Circolare n. 3/17 della Funzione pubblica sempre in tema di spesa: le Amministrazioni non solo “devono … prevedere nei propri bilanci la contestuale e definitiva riduzione del valore di spesa utilizzato per le assunzioni a tempo indeterminato dal tetto di cui al predetto art. 9, co. 28”, ma devono, altresì, tenere presente che “le risorse del predetto co. 28 dovranno coprire anche il trattamento economico accessorio e conseguentemente, solo ove necessario, andranno ad integrare i relativi fondi oltre il limite previsto dall’art. 23, co. 2, D. Lgs.vo n. 75/17”. Sebbene la Circolare non tratti l’argomento, tuttavia appare opportuno rammentare che dal calcolo delle voci che concorrono alla determinazione del quantum della spesa per le assunzioni flessibili non devono essere incluse quelle sostenute facendo ricorso a finanziamenti esterni all’Ente. Non possono, altresì, essere utilizzate le risorse che sono state destinate al finanziamento delle assunzioni a tempo determinato di Dirigenti o Responsabili apicali ai sensi del dell’art. 110, co. 1, D. Lgs.vo n. 267/00 o di personale a supporto degli Organi elettivi ex art. 90, D. Lgs.vo n. 267/00 (Tuel). Considerato che tale tipologia di dipendenti è estranea al processo di stabilizzazione, si rivela chiaro che le risorse impiegate non entrino nel tetto di spesa per le assunzioni flessibili.

 

Secondo la Circolare n. 3/17 della Funzione pubblica, ai fini della stabilizzazione del personale precario, è possibile utilizzare, in “aggiunta alle risorse di cui all’art. 9, co. 28, D.L. n. 78/10, anche le risorse finanziarie ordinariamente previste dal rispettivo regime delle assunzioni con riferimento al triennio 2018-2020, al netto di quelle da destinare alle assunzioni a tempo indeterminato mediante procedure di reclutamento ordinario a garanzia dell’adeguato accesso dall’esterno”. A tal fine, nel “Piano dei fabbisogni”, gli Enti devono dettagliare, relativamente ai risparmi derivanti dalle cessazioni, le modalità di calcolo dell’ammontare delle risorse riconducibili alle facoltà ordinarie di assunzione. Sempre secondo la Circolare n. 3, “le Amministrazioni possono programmare su tali risorse anche le procedure di reclutamento speciale a regime previste dall’art. 35, co. 3-bis, D. Lgs.vo n. 165/01 ovvero, con riferimento al solo anno 2018, quelle di cui all’art. 4, co. 6, D.L. n. 101/13: in tal caso, le predette procedure di reclutamento speciale dovranno essere ricomprese nell’ambito delle risorse finanziarie destinate a valorizzare le professionalità interne, salvaguardando le risorse da destinare all’accesso dall’esterno”.

 

   Allo scopo di poter ricorrere allo strumento delle stabilizzazioni, è necessario, ai sensi del co. 4 dell’art. 20, D. Lgs.vo n. 75/17, che le Amministrazioni abbiano rispettato, nel quinquennio 2012-2016, i vincoli di finanza pubblica. Secondo la lettera della norma, col termine lessicale “vincoli di finanza pubblica”, sono da intendersi, il rispetto del Patto di stabilità, il “Pareggio di bilancio”, oltre che il rispetto del tetto di spesa del personale. Sempre stando al tenore letterale del co. 4, il rispetto dei vincoli di finanza pubblica deve essere garantito per tutto il periodo indicato dalla norma: ad es., è sufficiente la violazione anche solo per un anno del vincolo del “Pareggio di bilancio” per inibire il processo di stabilizzazione. Tale lettura trova conferma nella Circolare n. 3/17, secondo la quale “i Comuni che, per l’intero quinquennio 2012-2016, considerato nella sua interezza, non hanno rispettato i vincoli di finanza pubblica non possono applicare le procedure dell’art. 20, commi 1 e 2”. In linea di sintesi, va notato che le Amministrazioni possono far ricorso al processo di stabilizzazione sol che abbiano osservato le seguenti condizioni: – rispetto dei vincoli di finanza pubblica; – rispetto dei limiti di spesa di cui all’art. 9, co. 28, D.L. n. 78/10, convertito dalla L. n. 122/10; – sostenibilità a regime della spesa del personale dopo il processo di stabilizzazione; – certificazione della sussistenza delle correlate risorse finanziarie da parte dell’Organo di controllo interno di cui all’art. 40-bis, co. 1 (Collegio dei revisori dei conti); – previsione, nell’ambito degli strumenti di bilancio, della contestuale e definitiva riduzione del quantum di spesa utilizzato per le assunzioni a tempo determinato a valere sul limite finanziario di utilizzo delle stesse, di cui all’art. 9, co. 28, D.L. n. 78/10.