“Ciò che fa la differenza è il quantum infettante”
Proviamo a fare due conti, a ragionare. Leggere e scrivere mi è più congeniale, mi piace di più che “far due conti”.
Non andavo male in matematica al liceo scientifico G. Castelnuovo (preside Salinari) ma eccellevo in storia e filosofia, bene in scienze, maluccio in latino, sufficiente in italiano (in realtà litigavo “garbatamente” con il prof. Lori).
Per far due conti sul Covid 19 mi dovrò rivolgere a mio fratello Sergio oppure a mio figlio Fabio Massimo, entrambi ingenieri (il primo, ora in pensione, nucleare; l’altro, in piena scalata internazionale, informatico).
Oggi, mercoledì 2 settembre, su poco più di 100.000 tamponi ci sono stati poco più di 1300 positivi, ossia 13 su 1000; 1/3 su 100.
Sino a qui ci arrivo da solo.
Se dunque la percentuale attuale dei positivi è di 1,3% i restanti 98.7% è negativo al tampone.
Prima domanda. Questo 98.7% è dunque anche negativo all’esame sierologico? In teoria dovrebbe essere cosi perché, di norma, per proprietà transitiva solo chi è positivo al test sierologico deve fare il tampone, mentre gli altri no.
Seconda domanda. Qual è la percentuale della popolazione positiva all’esame sierologico? Su 100 solo 5-6 sono positivi.
Se questa, ammesso e non concesso (ogni dubbio è legittimo e solo il dubbio migliora l’uomo), è la situazione è ovvio che il 94-95% dei soggetti sottoposti al sierologico risulta, ora in Italia, negativo.
Terza domanda. Questo 94-95% può considerarsi a rischio non avendo sviluppato gli anticorpi IgG anti Covid oppure no?
Insomma, è sano, ma potrebbe ammalarsi? Oppure potrebbe essere anche immune pur non avendo gli anticorpi? Sarò testardo, incredibilmente solitario, ma continuo a pensarla cosi. All’ultima domanda rispondo si.
La scienza medica attuale ragione, in campo immunologico, basandosi solo ed esclusivamente sul sistema immune acquisito (quello registrabile con gli anticorpi).
Mi domando ancora.
Quarta domanda. Non potrebbe essere che la quasi totalità di questi 95% negativi al siero, essendo già venuto a contatto con il virus, si sia almeno parzialmente immunizzato? Ciò grazie alla “sconosciuto” sistema immune innato: quello che neutralizza il Covid in modo cellulo- mediato e non con gli anticorpi ematici specifici.
Ciò vale soprattutto per i bambini piccoli (da 1 a 10 anni) ma anche, seppur in minor misura, per i giovani adulti che sono più resistenti al virus.
Vale anche per le etnie camite subsahariane (non ho mai visto un nigeriano intubato, ma forse è colpa mia).
Da sempre oltre al sistema immune (sia acquisito che innato, che poi collaborano tra loro) ho sempre posto l’accento sul “quantum infettante” .
Anche un uomo di media età, in una sala rianimazione zeppa di contagiati che tossiscono, se non è superprotetto può ammalarsi seriamente.
Il “pabulum infettante” nell’aria è eccessivo.
In questi casi, il “quantum infettante”, tracima, travolge, sovrasta ogni capacità difensiva del nostro sistema immunitario.
Figuriamoci per gli anziani con più malattie (cardiopatici, oncologici, con insufficienza renale etc).
Il sistema immune innato, lo scrivo per l’ennesima volta, ci è stato lasciato in dono dai nostri antenati invertebrati (grilli, insetti, farfalle etc).
E’ come se fosse un “conto in banca” che, per noi indoeuropei e semiti, ci viene regalato sin dalla nascita e poi si dilapida, che più chi meno, con il passare degli anni.
L’etnia camita (quelli dalla pelle molto scura) è ancora più fortunata della nostra.
Questo spiega perché nel panorama mondiale, l’Africa subsahariana (Sud Africa a parte ove le etnie sono miste)abbia un ridicolo numero di decessi se confrontato specie con oltre popolazioni povere quale quelle centro-sudamericane ed indiane.
In queste mia riflessioni non cerco l’originalità ma solo una spiegazione scientifica che sia convincente.