I VASI PARLANTI
di Ennio Tirabassi
Maestro d’Arte
Per conoscere e custodire le informazioni e la storia di un popolo contenute in un reperto occorre uno scavo più attento, rispetto ai primi scavi archeologici caratterizzati dalla frenesia di ritrovare l’oggetto, dunque disordinati e privi della precauzione di non rompere i tesori sommersi. Raramente un Vaso Parlante viene ritrovato integro, risulta determinante dunque soffermarsi sull’esecuzione dello scavo e sulla tecnica del restauro.
Ad illustrare un metodo scientifico di procedere, il Maestro d’Arte Ennio Tirabassi.
La conservazione dei materiali archeologici inizia sul campo. Reperti da una parte, e siti archeologici dall’altra. Il termine conservazione archeologica dovrebbe riferirsi ad entrambi, piuttosto che, come accade spesso, soltanto a quella dei reperti.
Una conservazione appropriata di strutture e di reperti durante uno scavo, è assicurata in modo ottimale, dalla presenza a tempo pieno di conservatori professionisti (con differenti specializzazioni), all’interno del gruppo scavo. Se la conservazione è diretta verso il recupero dei reperti, è bene che l’area scavata, dopo essere stata adeguatamente catalogata, studiata, disegnata, etc., sia oggetto di reinterro. Il momento dello scavo può facilmente essere disastroso per i resti archeologici. Lasciandoli abbandonati in un equilibrio instabile con l’ambiente, nell’umidità relativa e nell’esposizione alla luce e all’ossigeno. Deve essere, quindi, compito del restauratore minimizzare tali stress ambientali, subiti dai reperti, durante il periodo in cui rimangono esposti e catalogati. Compito del conservatore è soprattutto pianificare e seguire il recupero ed il trasporto dei reperti. Molti oggetti, nel momento del ritrovamento sullo scavo, risultano sovrapposti e spesso sono di materiali differenti, quali: bronzo, ferro, ceramica, avorio ambra, etc., ed è ovvio che ognuno di questi materiali necessiti di un intervento mirato, quindi quando si presenta una situazione di questo genere è bene operare salvando tutto, con quello che noi tecnici chiamiamo “pane di terra”, situazione che ci permette di effettuare un micro scavo all’interno dei laboratori di restauro e di risolvere le varie situazioni in modo ottimale.
“Le cose che egli (lo scavatore) trova non sono di una proprietà, da poter trattare come gli aggrada, o trascurare a suo piacimento. Sono un legame affidato direttamente dal passato all’epoca presente, egli è solo l’intermediario privilegiato attraverso le cui mani ci pervengono: e se, per negligenza, trascuratezza o ignoranza, sminuisce quella somma di conoscenze che si sarebbero potute ottenere da loro, sappia di essere colpevole di un crimine archeologico di prima grandezza. La distruzione di testimonianze è così dolorosamente facile e anche perdutamente irreparabile”.
(H. Carter e A.C Mace. “La tomba di Tutankhaman! Vol. 1-1924-pag. 124).