Renzo Arbore ci parla di spettacolo e format televisivi ed annuncia il suo ritorno in Rai il prossimo dicembre con due serate eventodi Fabio Picchioni
Lo avevamo già incontrato qualche mese fa quando concesse una indimenticabile intervista al nostro vice direttore Felicia Caggianelli. Ma Renzo Arbore rappresenta una di quelle interviste che inorgogliscono sempre il nostro giornale. Nella splendida cornice del castello di Santa Severa, dove ha regalato uno spettacolo emozionante e coinvolgente, ci ha concesso un’intervista di quelle senza peli sulla lingua. Confermando di essere non solo un immenso artista, ma anche un personaggio che parla in modo forte e chiaro. Dopo decenni di grandi successi e formidabile carriera, Renzo Arbore è una delle voci più autorevoli del panorama artistico italiano, i suoi pareri sono il faro per tutti coloro che vogliono parlare di spettacolo senza stereotipi e frasi standard.
Renzo Arbore ha scritto la storia, è unanimemente considerato il primo disc jockey italiano. Poliedrico e brillante, cantautore, conduttore radiofonico, clarinettista, showman, attore, sceneggiatore, regista e personaggio televisivo italiano, è sempre rimasto fedele a se stesso. Come confermano le sue parole alla nostra domanda su come fosse cambiato nel corso degli anni il mondo della televisione.
“E’ cambiato molto, soprattutto i programmi di intrattenimento. Ora si preferisce comprare i format già confezionati all’estero, ci sono poche idee, scarseggiano i contenuti artistici. E’ una televisione meno accattivante rispetto al passato, prigioniera dei dati d’ascolto che possono cancellare un programma anche dopo due puntate. Si privilegiano risse, polemiche, contrasti politici. E’ più scattante. Se poi piaccia o meno al pubblico, questo è un altro discorso. Mi vanto di poter dire che, insieme a colleghi come Sandra Mondaini e Raimondo Vianello, Enzo Tortora, Pippo Baudo, Raffaella Carrà e tanti altri abbiamo regalato agli italiani la televisione più bella del mondo. Resto dell’idea che la tv, dopo cinema e teatro, può essere un ottimo modo per veicolare contenuti artistici di ottimo livello. E’ cambiato il mondo, forse è giusto così. O forse no”.
E’ vero che Renzo Arbore non ha mai avuto un copione da seguire, ad iniziare da programmi di successo come “Indietro tutta” e tanti altri?
“Sì, è verissimo. Non esisteva copione, da vecchio jazzista ho portato sul piccolo schermo l’invenzione dell’improvvisazione. Era un percorso già intrapreso in radio con Boncompagni con cui andavamo a braccio parlando di varietà e spettacolo. Davanti alla telecamera, insieme ai miei colleghi e collaboratori, inventavamo la trasmissione, debbo dire con buoni risultati. Attualmente sarebbe un modo di fare televisione complicato, ci sono tanti bravi attori ma nessun improvvisatore o jazzista della parola. Mancano anche autori coraggiosi, si preferisce sacrificare la fantasia sull’altare del format consolidato. Sono programmi spesso ripetitivi. Meno male che c’è Fiorello che rompe gli schemi ed ottiene ascolti eccezionali. Per il resto mancano artisti come quelli della mia generazione”.
Quanto è orgoglioso del successo mondiale che ha ottenuto con l’Orchestra italiana, proponendo la canzone napoletana?
“Sono fiero di quanto otteniamo da tanti anni in giro per il mondo. All’inizio non è stato facile, era palese l’invidia di tanti colleghi napoletani, abbiamo dovuto combattere molte gelosie. Il nostro segreto è che la melodia napoletana, leggermente aggiornata nei ritmi ma rispettata nei contenuti, è un tesoro inestimabile della musica italiana ed internazionale. Sul palco proponiamo anche brani swing, clarinetto e tanti altri, ma ci chiedono sempre canzoni napoletane. Personalmente adoro Canzone appassiunata di E.A. Mario, all’anagrafe Giovanni Ermete Gaeta. Un brano meraviglioso del 1922, scritto da un autore che ci ha lasciato capolavori come La canzone del Piave e Tammurriata nera. Scriveva testi e melodie straordinari”.
Progetti futuri?
“Stiamo lavorando a due serate che saranno trasmesse dalla Rai nel mese di dicembre. Sarà un format nuovo, col mio storico autore Ugo Porcelli, e conducendo assieme a Nino Frassica e Andrea Delogu, tratteremo della canzone umoristica, ma attraverso una formula diversa dalle solite, possibilmente anomala, anche se poggerà sui tre elementi per me consueti e più congeniali. musica, amici, improvvisazione. Il tutto con un solo ma preciso scopo, muovere al sorriso. Un altro obiettivo sarà la qualità”.
Ci conferma che essere nato a Foggia ha inciso sulla sua carriera?
“Assolutamente sì. Se non fossi nato in Puglia e nella mia città, dove i divertimenti erano talmente pochi che ti dovevi per forza buttare sul jazz per animare la tua adolescenza, forse non sarei arrivato fin qui. Credo che essere nato in Puglia sia stato per me un vantaggio. Forse vivendo a Roma o in un altro paese sarebbe andata a finire diversamente. Invece in puglia, la penuria di divertimenti ci faceva parlare di jazz dalla mattina alla sera, era un bellissimo fanatismo. Noi eravamo 15, 20 ragazzi in tutta la città, ci incontravamo, passeggiavamo per il corso ore e ore e ogni volta che ci incontravamo il nostro motto era viva il jazz e andavamo avanti”.