Religione e Psicologia

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Religione e Psicologia

Religione e Psicologia

A cura della Dottoressa Anna Maria Rita Masin
Psicologa – Psicoterapeuta

L’essere umano ha bisogno di credere in un qualcosa di intangibile per spiegare e dare un senso a fenomeni per lui misteriosi, troppo grandi o talvolta insopportabili (sofferenza, la morte, ecc.) al fine di sedare i sentimenti di impotenza, disperazione, paura e di ansia che ne derivano. Il cercare una spiegazione nel sovrannaturale ad un fenomeno naturale sembra coincida con l’evoluzione dell’essere umano, quando, cioè, il Sistema Nervoso Centrale si è evoluto e ha dato vita al pensiero astratto. La necessità per l’uomo di affidarsi al soprannaturale è stata sempre osservata e studiata; E. Fromm distingueva tra la “religione autoritaria” (controllante, punitiva e che considera l’essere umano assolutamente imperfetto e in difetto al cospetto del Dio) e la “religione umanistica” (più concentrata sull’uomo come essere che possiede le risorse adeguate per affrontare la vita). G. Allport, invece, parlava di “gerarchia di valori” attraverso cui il singolo fa un progetto di vita; la religione, in questo senso, potrebbe essere l’unione tra gli uomini. Gran parte dei filosofi hanno disquisito sull’argomento “religione-uomo” sotto vari punti di vista (Hegel, Kant, Spinoza, Hobbes, ecc.). Da qualche anno si parla di “psicologia della religione” che “studia i processi psicologici interessati alla condotta religiosa” e “si prefigge di osservare le caratteristiche dell’atteggiamento religioso, il modo in cui gli individui e i gruppi sociali manifestano le loro credenze e appartenenze e il modo peculiare in cui essi vivono la loro esperienza religiosa”. Dai vari studi e pensieri di filosofi, psicologi e sociologi, si evince che la religione è parte integrante dell’umanità ma che la sua strumentalizzazione può portare a risultati negativi (per esempio le sette religiose oppure gruppi religiosi estremisti). Nella pratica clinica è importante avere un’idea o addirittura conoscere il punto di vista religioso della persona perché può essere una risorsa, un limite o nascondere altre verità. Per esempio: se una persona dice di subire da sempre continue angherie o brutture da parte del coniuge, sarebbe importante conoscere il suo modo di vivere i dettami religiosi; se considera il matrimonio come sacramento indissolubile oppure se considera il suo modo di vivere legato al concetto del “dare” scritto nelle Scritture. Una persona può improvvisamente diventare assidua religiosa oppure, al contrario, rinnegare i dettami religiosi: in entrambi i casi un evento traumatico (per esempio un grave lutto) potrebbe averla avvicinata (la religione in questo caso diventa un rifugio, una spiegazione) oppure allontanata (nell’elaborazione del lutto, c’è una fase in cui emerge forte rabbia, spesso rivolta a Dio). Talvolta una forte religiosità nascondono dei forti sensi di colpa: ciò succede per alcune persone che hanno subito violenze e credono di esserne la causa. In altri casi un’educazione religiosa basata sui sensi di colpa, sul peccato, sulla punizione può limitare lo sviluppo dell’individuo creando dei preconcetti. Le credenze religiose, infine, possono essere risorse nel percorso di psicoterapia come aiuto nel cambiamento e nell’autoconoscenza: studi sui parametri vitali (tracciati elettroencefalografici, pressione arteriosa, frequenza respiratoria, ecc.) hanno dimostrato che la preghiera porta ad uno stato modificato di coscienza sovrapponibile a quello della meditazione e della trance ipnotica profonda.

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