A cura del Dottor Riccardo Coco
Psicologo – Psicoterapeuta
L’assunzione di psicofarmaci dovrebbe sempre, salvo rari casi, essere accompagnata da una parallela psicoterapia. Questo mio pensiero però, non è condiviso da tutti coloro che si occupano di salute mentale e spesso medici e psichiatri da un lato e psicologi e psicoterapeuti dall’altro, su questo argomento sono divisi.
Il punto nodale credo che sia legato all’idea di che cosa sia e quale sia la causa dei disturbi mentali: se si ritiene che i disturbi psichici abbiano una causa organica, allora è chiaro che si crederà nell’uso esclusivo dei farmaci in quanto strumenti unici di cura e si svaluterà la psicoterapia, di cui si farà fatica a capire il senso, se non come strumento che aiuti la persona nell’assunzione regolare degli psicofarmaci e come mero “sfogo” emotivo.
Se si ritiene invece che i disturbi mentali abbiano una causa psicologica e relazionale, si sarà portati a considerare la psicoterapia la terapia elettiva di cura e gli psicofarmaci degli strumenti che alleviano i sintomi del problema ma non risolvono le cause, poiché non sono in grado di insegnare nulla al paziente su come funziona la sua mente e su come può farla funzionare diversamente. E dunque tra i professionisti della salute mentale non c’è unanimità di pensiero sull’argomento ed i percorsi di studi universitari e professionalizzanti alimentano tale divisione poiché i laureandi in medicina (che poi si specializzeranno in psichiatria) sono assai a digiuno di psicologia e i laureandi in psicologia (che poi potranno specializzarsi in psicoterapia come anche i medici) fanno pochissimi esami di medicina; entrambi poi sono ignoranti di filosofia, antropologia, zoologia, e di tutte le altre discipline che in millenni si sono occupate di capire l’uomo nel suo globale funzionamento in quanto parte di un tutto.
Siamo rimasti di fatto ancora a Cartesio che divideva nettamente il corporeo dallo psichico, anche se poi ci diciamo che non è così. Tutta la nostra cultura occidentale a ben pensare è “divisionista” e ci porta ad organizzare le esperienze in termini di opposti: il bene e il male, Dio e Satana, santo e peccatore, nordisti e sudisti, sinistra e destra, il paterno e il materno, lo spirituale ed il sessuale e appunto la psiche ed il corpo, l’organico e lo psicologico, etc. Nella cultura orientale invece queste divisioni non le si ritrova, anzi si tende ad una visione olistica delle cose del mondo e dell’uomo (vedi il significato stesso dello yin yang).
Tutto questo discorso per dire che guardare in termini complessi l’uomo e, nel caso specifico di cui mi sto occupando, il funzionamento della sua mente, integrandone gli aspetti chimici, organici, psicologici, relazionali, sociali, culturali, etc. è credo più utile che non “settorializzare”. È ampiamente dimostrato dalle neuroscienze (vedi per es. D. Siegel) che la chimica del cervello nei suoi equilibri interni muta la “relazionalità” di un individuo ed agisce sul suo senso di benessere; così come, parimenti, il modo di vivere con se stessi e le esperienze relazionali, tra cui la psicoterapia, producono un cambiamento nei circuiti neurali e nella chimica del cervello. Tuttavia mentre gli psicofarmaci – pur essendo in certi casi imprescindibili per affrontare i sintomi di certi disturbi mentali – non insegnano, la psicoterapia è un’esperienza di apprendimento.
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