Il presidente della commissione sanità della Regione Lazio, Rodolfo Lena, rassicura sul futuro del Posto di primo intervento della via Aurelia
di Giovanni Zucconi
Affrontiamo oggi il tema della temuta chiusura del Posto di Primo Intervento di Cerveteri-Ladispoli. Sono mesi che questa possibilità aleggia minacciosa sulla nostra comunità, ed è diventata inevitabilmente un elemento di preoccupazione per tutta la popolazione del nostro comprensorio. Noi de L’Ortica, non perdiamo nessuna occasione per approfondire il tema con i politici e gli amministratori che possono dare un contributo positivo per il mantenimento dell’importante struttura sanitaria. Per questo, ai margini della manifestazione in favore del “Sì” al Referendum che si è svolta a Cerveteri domenica scorsa, abbiamo intervistato l’Onorevole Rodolfo Lena, Presidente della Commissione Politiche Sociali e Salute della Regione Lazio. Non ci siamo limitati alla sola domanda sul destino del nostro Posto di Primo Intervento, ma ci siamo fatti raccontare come evolverà, nei prossimi anni, l’assistenza sanitaria nel nostro comprensorio. Abbiamo ottenuto delle risposte molto interessanti. Vedremo come sia in atto, nella nostra regione, una radicale riorganizzazione dell’assistenza al cittadino, e che si vuole passare da un modello ospedale centrico, a un modello dove la persona deve essere presa in carico da opportune strutture, prima che diventi un caso sanitario che può essere curato solo in un ospedale.
Onorevole Lena, le faccio subito la domanda che sta più a cuore ai cittadini di Ladispoli e Cerveteri. Il Posto di Primo Intervento verrà chiuso? Ci dia una risposta secca e definitiva
“No, Non verrà chiuso”.
Eppure sono circolate ipotesi diverse e poco rassicuranti
“La verità è che c’è una normativa nazionale che dice che i PIT di primo intervento, o diventano un pronto soccorso, o devono essere legati ad una struttura sanitaria come può essere una “Casa della Salute”. Noi stiamo facendo proprio questo, per rimanere nelle regole. Quindi non dovete preoccuparvi. Il Posto di Primo Intervento a Cerveteri-Ladispoli è un’esperienza che funziona. I numeri depongono a favore di questo servizio. Gli si cambia solo nome, tanto per essere chiari. Se potremo, incentiveremo invece alcuni servizi ancora più significativi, come la presa in carico dei pazienti cronici. Queste cose vanno incentivate”.
Quali sono i vostri progetti per la Casa della Salute?
“Il nostro progetto si basa su un radicale cambiamento di strategia per la Sanità del Lazio. Per la terza volta abbiamo messo in bilancio più soldi sul territorio che sugli ospedali. Mi spiego meglio. La nostra regione è sempre stata ospedale centrica: per qualsiasi cosa si andava in ospedale. Ma in questo modo abbiamo ucciso i Servizi Sociali, perché nessuno prendeva in carico il disturbo della persona, ma si curava solo la patologia. Quindi la persona inevitabilmente peggiorava, e da un disturbo si ritrovava malato. Solo in quel momento il cittadino veniva curato. Con questa logica noi spendevamo molto di più, perché questa persona poteva essere assistito prima da un’assistente sociale, da uno psicologo, per esempio, invece di essere curato poi in un ospedale o con dei farmaci, con spese nettamente superiori. Quindi noi abbiamo creato situazioni di abbassamento della qualità della vita, spendendo oltretutto molto di più. E con questa logica abbiamo ucciso anche il territorio, perché sul territorio non c’è più nulla. Ognuno di noi quando si sentiva male poteva andare solo in ospedale. Noi stiamo cercare di realizzare un approccio diverso, non più ospedale centrico, ma ci vuole tempo”.
Pensate quindi di dare più risorse ai Servizi Sociali dei Comuni?
“Assolutamente sì. Ma mettere più soldi potrebbe non essere sufficiente: dobbiamo anche vigilare. Noi abbiamo trovato, in alcuni Comuni del Lazio, delle situazioni che gridano vendetta. Abbiamo trovato che alcuni Piani di Zona non avevano speso 10 o 11 milioni di euro destinati alle politiche sociali. 11 milioni di euro non spesi sono tanti. Naturalmente questo non vuole dire che loro erano stati bravi a non spendere, è che non hanno proprio erogato i servizi”.
Come si possono evitare queste situazioni in futuro?
“Ho fatto approvare, nella mia Commissione, una legge sul welfare sociale che doveva essere promulgata già dal 2000. Con questa legge prevediamo l’omogeneizzazione sul territorio della qualità dei servizi, e la compartecipazione da parte dei Comuni alle politiche sociali. Consideri che di tutti i soldi che vengono utilizzati nelle politiche sociali, solo il 20% vengono utilizzati a livello di gruppi comunali, di distretto. L’altro 80% è speso singolarmente. Cerveteri fa una cosa, Ladispoli ne fa un’altra, un altro Comune fa un’altra cosa. Questo non sarà più possibile. Non dobbiamo più ragionare a livello di singolo comune, ma dell’intero territorio. Questo perché le necessità non sono solo del Comune, ma di tutto il territorio. Dobbiamo ragionare a livello di distretto, di Piani di Zona”.
A me risulta che Cerveteri e Ladispoli, a livello di Servizi Sociali, già lavorino in questo modo
“E’ vero, ma sono convinto che, anche in questo caso, una gran parte dei servizi che erogano, li eroga uno e non li eroga l’altro. O comunque se li erogano entrambi, lo fanno con differenze di qualità e di quantità. Questo non è più possibile. Si devono mettere insieme, e spendere insieme i soldi. Per favorire questo, noi ormai paghiamo solo ai Piani di Zona e non più ai singoli Comuni. E questi soldi vanno spesi”.
Avete risorse sufficienti per questo cambio di strategia nella Sanità?
“Per quanto riguarda il personale, abbiamo fatto importanti passi avanti, nonostante il blocco delle assunzioni del personale medico. Quando siamo arrivati, nel 2013, abbiamo avuto 63 deroghe di personale. Cioè sono uscite 1000 persone e ne sono entrate 63, una cosa vergognosa. Quest’anno siamo già arrivati a 663 nuove assunzioni. Un’altra cosa importante che abbiamo fatto su questo fronte, è il decreto del Commissario Zingaretti sui precari. Abbiamo emanato un decreto per tutte le RSA, sia assistenziali che per i disabili. Tutto il loro personale dovrà avere un contratto di lavoro stipulato direttamente con la propria struttura. Il precariato non deve esistere più. Non ci possono essere più partite IVA o una cooperativa che fornisce gli operatori sanitari. Se vuole un accreditamento con la Regione Lazio, la struttura alla quale noi paghiamo i posti letto, dovrà avere tutti gli operatori assunti con un contratto che deve rispondere al contratto nazionale. Questo vale per tutti: infermieri o assistenti sociali. Questo è un messaggio importante: via i contratti atipici. Questo decreto è uscito una settimana fa, e l’accordo è stato sottoscritto da tutti gli operatori del settore e dai sindacati”.
Ma questo vale solo per strutture private?
“Questo è il primo segnale. Poi lo faremo anche per il pubblico. Anche se ancora non lo fa nessuno, per legge, dovrebbe esistere anche l’accreditamento per le strutture pubbliche. Noi vogliamo fare proprio questo: anche gli ospedali dovranno essere accreditati. Cioè dovranno certificare gli stessi standard richiesti alle strutture private per essere accreditati: uscite di emergenza, personale, ecc. E’ giusto che sia così. Se io privato devo avere uno certo standard per poter lavorare, anche per il pubblico deve essere così”.
E le risorse finanziarie?
“Grazie all’ottimo lavoro che stiamo facendo, il governo ci ha sbloccati più di 100 milioni di euro fermi dal 2011. Inoltre, per la prima volta, la Comunità Europea mette a disposizione dei fondi per le politiche sociali. Non era mai successo”.