Psicologia dell’invecchiamento
di Cristina Sacchetti
La psicologia del’invecchiamento è una branca della psicologia che si occupa sia dei problemi psicologici dell’anziano, sia del processo di invecchiamento sotto il profilo psicologico e neurospicologico.
Vi sono diverse teorie, alcune delle quali si raffozano a vicenda, che fanno supporre l’esistenza di una multifattorialità che concorre a determinare la durata della vita di ognuno. Una teoria di stampo genetico indica nella presenza di alcuni geni, forse di pochi, alcuni fattori predisponenti. Il processo dell’invecchiamento è considerato classicamente come causato da fattori intrinseci all’organismo stesso, a differenza delle malattie, considerate invece eventi occasionali estrinseci, definibili da un preciso quadro clinico.
La definizione di anziano ha subito nei decenni diverse modifiche: attualmente l’età anziana si riferisce al periodo successivo al pensionamento. Tipicamente questa fase va dai 65 ai 75 anni ed è a questa fascia d’età a cui fa riferimento questo articolo. Quella cioè del delicato passaggio dall’età adulta alla vecchiaia.
É cambiata la proporzione delle persone anziane ma, rispetto al passato, non è cambiata la loro considerazione sociale, ancora fortemente legata ad una rappresentazione stereotipata della fase finale della vita, segnata dalla fatica del vivere, dalla solitudine, dalla malattia dalla disabilità, dall’inutilità.
È il contesto sociale che talora lo esclude, per celebrare invece in modo idealizzato i valori e il dinamismo giovanile. Isolato, rifiutato ed escluso, l’anziano avverte che nessuno ha più bisogno di lui; si sente inutile e tende quindi a rinchiudersi e ad isolarsi ancora di più. É questo un modo per accentuare la situazione di disadattamento di cui egli è vittima per le condizioni che abbiamo ricordato. Ecco perchè frequantemente appaiono alterazioni dello stato emozionale, come avviene nella depressione, espressione di profondo disagio. Questo disagio psicologico, spesso vanifica sia le possibilità legate alle ancor valide capacità possedute, sia il raggiungimento di un futuro entro il quale potrebbero esprimersi efficacemente.
I tempi sono maturi per una nuova cultura dell’anziano, in primo luogo per una ridefinizione del modello sociale di anzianità, secondo poi, di un diverso atteggiamento individuale nei confronti del soggetto, ultra sessantacinquenne. La terza età va quindi riveduta come una tappa evolutiva non meno importante e non meno ricca di altre e comunque come traguardo del progetto esistenziale di ogni individuo.
La direzione giusta va quindi nella prospettiva di considerare l’anzianità come “il tempo delle nuove scoperte” un’idea suggestiva e reale qualora si riuscisse a comprendere che in questa fase della vita che l’individuo può finalmente riemergere come persona. Non più sollecitato a rispondere a logiche produttive o a richieste pressanti, non più chiamato ad adeguarsi a modelli superficiali o conformistici, non più costretto ad agire secondo modelli competitivi e performanti.
Quindi la terza età, quando è accompagnata da buone condizioni di salute, può assumere un significato positivo e può essere vissuta nel modo giusto. Non è soltanto il momento della saggezza…