Una Pompei verde nel nostro territorio: Castro, la capitale di un ricco ducato sepolta sotto un bosco

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di Giovanni Zucconi
Il Lazio è ricco di tesori nascosti e poco conosciuti.

Ma c’è ne è uno che è letteralmente nascosto sotto un rigoglioso bosco: l’antica e perduta città di Castro, che si trovava nel territorio dell’attuale comune di Ischia di Castro (VT). Per raccontarla, partiremo dalle stanze di uno dei più bei palazzi che io abbia mai visto: Palazzo Farnese a Caprarola. Nella sala nobile di questo meraviglioso palazzo, oltre ad una fontana in ceramica che occupa quasi tutta una parete, si possono ammirare gli affreschi che descrivono le città più importanti che furono sotto il dominio della famiglia Farnese. Si possono contemplare, ad esempio, Parma e Piacenza come erano nel XVI secolo. Nella parete opposta a quella della fontana, c’è la raffigurazione della città di Castro. Vederla così, bella ed imponente sul pianoro tufaceo, mi ha dato una grande emozione. L’ultima volta che l’avevo vista era una mattina di agosto del 2005, e assomigliava più ad un incubo che ad una città. Immaginate di entrare in un bosco fitto, e in qualche punto inestricabile, e di vedere affiorare, tra le radici degli alberi secolari, i ruderi di un intera città. Non i ruderi poveri e caotici di vecchi insediamenti contadini o religiosi, ma le spoglie ordinate e visibilmente nobili e ricche di una potente capitale di un importante ducato del 1600. E’ come se, una colata di alberi e muschio, avesse ricoperto e seppellito per sempre case, strade, chiese e negozi. Similmente a Pompei, tutto sembra cristallizzato in un determinato momento, come se il tempo si fosse fermato per dare l’opportunità al visitatore di vivere in un’altra epoca. Passeggiando tra gli alberi emergono i ruderi della cattedrale, ancora perfettamente riconoscibile. Li vicino c’è la splendida Piazza Maggiore, disegnata dall’architetto Antonio da Sangallo il Giovane, ancora lastricata, ingombra di alberi e delle rovine della Zecca del ducato. E così via… Un alternarsi indistinguibile di segni dell’opera dell’uomo e della forza della natura. E’ uno scenario veramente toccante, capace di trasmettere emozioni come pochi altri luoghi sanno fare. E’ un sito, nel territorio dell’attuale Ischia di Castro, che vi consiglio vivamente di visitare. Abbiamo però cominciato a leggere la storia dalla fine. Ritorniamo al 3 dicembre 1649. Nel “Giornale dell’Assedio e della successiva presa e demolizione della città di Castro”, un anonimo cronista scrive: “3 dicembre 1649. Fu dato avviso dallo Spinola a Nostro Signore [Papa Innocenzo X] della compita demolizione di Castro”. Si chiude con questa sintetica e burocratica affermazione il resoconto delle tragiche vicende che portarono all’assedio di Castro, culmine della lotta tra il Papato e la famiglia Farnese, scatenato dall’omicidio del vescovo di Castro il 18 marzo del 1649. Il mandante fu individuato nel duca Ranuccio Farnese. La reazione di Innocenzo X Pamphili fu spietata. Attaccò la città con un esercito e la fece capitolare il 2 settembre successivo. Ma non si fermo qui. In spregio agli atti di resa, ordinò la distruzione sistematica della città. Non doveva rimanere più pietra su pietra. Neanche le chiese e le cappelle furono risparmiate. Alla fine, come fecero i Romani con Cartagine, fu sparso sale sulle rovine, affinché non potesse rinascere più nulla. Sui ruderi della città, secondo la tradizione, fu posta una colonna con su scritto “QUI FU CASTRO”, e fu emanata una scomunica a tutti coloro che fossero ritornati nella città che fu dei Farnese. Fu la fine di una città splendida, capitale del ducato di Castro, la cui costruzione era stata affidata da Pier Luigi Farnese, al famoso architetto toscano Antonio da Sangallo il Giovane, che disegnò un complesso urbanistico rinascimentale che venne definito come unico dai visitatori contemporanei. Castro aveva piazze e strade mattonate e, fatto rarissimo nel 1500, era dotata di un sistema di fognature. Nulla di questo è rimasto. Il ricordo della città è affidato oggi solo al suo nome. Esso è presente nei toponimi di diversi comuni dell’ex Ducato: Montalto di Castro, Ischia di Castro, ecc. Molti degli stemmi comunali riportano inoltre i tre gigli, simbolo della famiglia Farnese e della ormai perduta città di Castro.

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