Pietro è un eroe d’altri tempi che va ricordato perché i suoi principi, sempre attuali, dovrebbero ispirare la gioventù di oggi.
Ricordiamo Pietro Frezza, eroe, patriota, volontario della libertà, un uomo che ha dato tanto per la nostra Patria e per le città di adozione, Ladispoli e Cerveteri.
Nasce ad Atina, un delizioso paese dell’entroterra laziale, dove aiuta la famiglia: fa il contadino ed il guardiano di pecore pur continuando con devozione gli studi. Questo bel ragazzo di campagna sognava però di servire quella Patria che tanto amava, duramente colpita dalla prima guerra mondiale che riecheggiava ancora nei racconti paterni. Voleva migliorare il mondo! Nel 1935 si arruola nel Regio Esercito Italiano dell’Arma dei Carabinieri Reali nella legione del Lazio. Parte nel 1941 per l’Albania, territorio in stato di guerra, dove fu catturato a Giakova dalle truppe tedesche come prigioniero di guerra nel 1943. Gli anni della prigionia furono tremendi: appena catturato fu deportato prima al campo di concentramento e smistamento n° 11B di Fallingbostel, tra Brema e Berlino, poi dopo poco più di un mese fu deportato al campo di concentramento LakerDora-Mittelbau e consegnato alle dirette dipendenze delle Waffen–S, le crudeli “SS Combattenti”, dichiarate come organizzazione criminale al Processo di Norimberga. Questo ramo militare durante gli ultimi anni della guerra organizzò numerose legioni reclutando in parte volontari dai paesi invasi dai tedeschi ed in parte prigionieri di guerra volontari scelti.
Scelsero anche lui ma Pietro su una lettera manoscritta a gran voce urla che “dopo essermi rifiutato per ben 3 volte di arruolarmi nelle loro file (S.S.) fui vestito da ergastolano e sottoposto a continue torture di ogni genere e a pesanti lavori”. Sottoposto così ad un regime disciplinare analogo a quello dei campi per i deportati politici e razziali. Fu liberato dalle truppe alleate l’8 maggio del 1945. Le gesta eroiche compiute da Pietro durante la guerra e la prigionia (campagna di guerra 1942, 1943, 1944 e 1945) valsero la concessione di tre CROCI AL MERITO DI GUERRA con altrettante medaglie al valore. Salvò anche molti deportati da morte certa. Ma non solo. Il Ministero della Difesa attribuì a questo eroe una ricompensa incredibile che testualmente recita: “Essendo stato deportato nei lager e avendo rifiutato la liberazione per non servire l’invasore tedesco e la repubblica sociale durante la resistenza, è autorizzato a fregiarsi del distintivo d’onore per i patrioti VOLONTARI DELLA LIBERTA’”.
Dopo la guerra rientrerà in servizio nella Stazione dei Carabinieri di Cerveteri (Roma) nell’ottobre del ’45 dove proseguirà la carriera militare e vi rimarrà fino al congedo. Ora inizia una nuova vita, sicuramente segnata dagli indelebili orrori e dai traumi della guerra ma sempre devota all’”Amor di Patria” e allo “Spirito di Giustizia”. E qui di nuovo si contraddistingue: il feroce bandito “Faccia Gialla”, che ricattava in quegli anni i contadini delle campagne tra Civitavecchia, Santa Marinella e Cerveteri (Ladispoli allora era una frazione del comune Etrusco), alle strette dopo un lungo inseguimento, raccolse tutte le sue forze e sparò gli ultimi colpi. Allora Pietro per salvare il comandante verso il quale il bandito aveva sparato, senza esitare, si gettò tra questo e i proiettili, rimanendo ferito alla gamba ma salvando il compagno e permettendo la sconfitta del malfattore. Era il 1948 e all’eroico gesto seguirono due encomi solenni, rilasciati dal Comandante della 4° brigata Carabinieri di Roma, il Generale Romano dalla Chiesa, padre di Carlo Alberto.
Alla fontana del Mascherone a Cerveteri, conosce la bella Marta con la quale si sposa nel 1949. In quell’anno costruiscono insieme una delle prime case della zona di espansione della Ladispoli etrusca. Le ferite della guerra fanno avvicinare la data di congedo assoluto concesso nel 1950. Ma la voglia di fare e di contribuire alla società non si arresta e allora Pietro diviene instancabile Presidente della ITALCACCIA Sezione Ladispoli, fino a poco prima della morte avvenuta il 7 dicembre del 1980. Lo scopo principale che si prefiggeva era quello di aggregare soprattutto i giovani della neonata Ladispoli in quella che considerava una grande famiglia. Il poeta Sergio Paris in arte SIRAM, caro amico, alla sua morte gli dedica una struggente poesia di addio, “Pensiero” dove a parlare in prima persona è proprio Pietro che tra le varie rime dice: “Nun me vedete ma ve sto presente. (…)So Pietro, er vostro caro presidente(…)E mo sopra sta nuvoletta rosa, Me guardo sta famija prosperosa (…)Pe me sete fratelli, fiji e amici, Na gran famija d’omini felici.(…)”
Con pazienza e devozione, alla luce delle continue richieste da parti dei suoi amici di Ladispoli, Pietro oltre a scrivere e leggere lettere per tutte le persone che non sapevano farlo, decise anche di insegnare le nozioni basi della grammatica italiana a quella moltitudine di analfabeti con l’enorme soddisfazione di fargli prendere la penna in mano e farli scrivere. Nella sua casa si vedeva anche la televisione, così un via vai di vicini muniti di sedie e sgabelli si raccoglievano insieme sua accolti dalla generosa e simpatica ospitalità della moglie.
Nel 2014 la Città di Ladispoli, ha intitolato a questo eroe, con una suggestiva cerimonia alla presenza dei familiari, della moglie, dei parenti, delle più alte istituzioni e dei tanti amici e conoscenti che hanno partecipato, la omonima piazza nel quartiere Miami. Pietro è un eroe d’altri tempi che va ricordato perché i suoi principi, sempre attuali, dovrebbero ispirare la gioventù di oggi.
Di Pamela Stracci 07/12/2020