Persona e dignità dell’uomo

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“Le Parole della filosofia. Le metamorfosi del vocabolario del pensiero nella storia”. Relazione al Congresso Nazionale di Filosofia in Napoli, presso l’Università Federico II, 17-19 aprile 2023.

di Antonio Calicchio

Il termine “persona” rappresenta un nodo semantico cruciale nella cultura occidentale e, mediante questa, nella civilizzazione del mondo. Ed infatti, esso raccoglie non solamente l’individuo concreto e particolare, nei ruoli dei rapporti intersubbiettivi, ma anche l’essenza della dignità, nonché il corredo delle vocazioni e istanze dell’essere umano.

L’oscillazione fra il singolo e la specie congiunge e mescola natura e storia, fatti e valori; “persona umana” è, al contempo, l’umanità immanente in ciascuno e la figura individuata in una formazione sociale. Non a caso, i maggiori impieghi linguistici di “persona” si sono avuti nell’ambito giuridico e teologico, ossia nel sapere che ordina la vita collettiva degli uomini e in quello che tende a pensare, in termini accessibili all’uomo, la vita divina.

“Persona” appare nella lingua latina, per effetto di influenze onomastiche e culturali etrusche (phersu) o peligne e ha, come vocabolo omologo, in greco, πρóσωπον,  presente, in Omero, col significato di volto, e definito, da Aristotele, come “la parte sotto la calotta cranica” (Ist. anim. I, 8: 491 b 9). In latino, “persona” è un oggetto della cultura materiale, la maschera dell’attore in teatro, descritta da un contemporaneo di Cicerone, Gavio Basso, ricordato, nel sec. II d.C., da Gellio (n. A. V, 7), che le assegna la funzione di amplificare la voce; donde la derivazione dal verbo personare, indicativo del rafforzamento del suono.

Il teatro antico aveva necessità di ingrandire la figura dell’attore, incrementandone la statura coi coturni (Cfr. Sen., Ep. 76.31) e, ancor più, l’udibilità, quindi, con la maschera, che, accrescendolo nell’intercapedine fra la pelle e la faccia artificiale, convoglia il suono della voce più chiaro e cantante verso il foro d’uscita. Ma, come la maschera esprime la fisionomia del personaggio, non dell’attore, così il nome di quell’oggetto della tecnica teatrale evocò l’intuizione di una distinguibilità fra l’individuo umano empirico, che se ne copriva, e la parte dell’azione scenica del personaggio rappresentato. “Persona” diviene, quindi, già nell’età ciceroniana, la parte, il compito, il ruolo sociale e, in Seneca, anche l’opinione che gli altri hanno di noi. Entrato nell’uso degli scrittori di etica e retorica, passò in quello dei giuristi; ma non col significato che comunemente le viene attribuito di “soggetto di diritto”.

E’ nel sec. II d.C. che l’utilizzo di “persona” è attestato, nelle Istituzioni di Gaio, per la prima delle tre partizioni in cui si comprende il sistema dello ius privatum romano: personae, res, actiones. Tuttavia, né nella letteratura didattica, di cui Gaio è capostipite, né in quella casistica e problematica, “persona” indica il titolare di diritti soggettivi, nell’accezione del termine Rechtssubjekt, coniato entro le astrazioni concettuali della moderna filosofia del diritto europea. E il pensiero giuridico romano non avrebbe potuto raggiungere tale astrattezza, che riflette l’individualismo della società borghese europea, in quanto l’unico soggetto storicamente esistente, per il loro diritto, era il pater familias, essendo, la societas dell’epoca, un ordinamento non di individui, bensì di famiglie.

Nondimeno, l’esigenza di costruire un sistema omnicomprensivo imponeva di unificare le condizioni degli uomini sulla base di una riflessione di ordine generale, esplicita in Ermogeniano, di età diocleziana, che cioè “hominum causa omne ius constitutum” (D.1.5.2). Ed è per questa ragione suprema del diritto – essere un ordine per la convivenza umana – che la filosofia giuridica costruisce un legame tra homines e personae, e nella sistematica, di età adrianea, pone il primato dello ius quod ad personas pertinet, come si esprime Gaio, o del de personarum statu, nella formula di Ermogeniano.

Che persona non sia soggetto di diritto è provato dalla sua estensione di categoria sino a includere anche lo schiavo, che è non soltanto non soggetto di diritto, ma al limite stesso della nozione di homo, piuttosto res giuridicamente che non homo. Ed infatti, l’equazione di Seneca “sono schiavi, dunque uomini” (Ep. 47) è la sfida dell’ugualitarismo stoico alle tavole sociali e giuridiche della disuguaglianza, che relega lo schiavo fra gli oggetti del patrimonio.

Per questo, non è esauribile il ricorso alla parola “persona” nel solo rapporto homo-servus; “persona” vale, invece, a significare qualsiasi condizione: liberi e servi, cittadini e stranieri, padri e figli, marito e moglie, figli emancipati e adottati, servi manomessi, tutori e pupilli, patroni e liberti. Vale, ancora, la metafora della maschera teatrale: “persona” è la relazione interpersonale regolata dal diritto, non l’uomo empirico isolato nella sua identità biologica ed onomastica; è, quindi, il “volto” sociale dell’uomo, che il diritto classifica nelle sue categorie e disciplina con le sue norme. Se si prescinde dall’itinerario che il termine “persona” segue nella teologia, soprattutto nelle controversie trinitarie, e dagli esiti definitori della filosofia cristiana fra Boezio e Tommaso d’Aquino [rispettivamente: “persona è la sostanza individuale della natura razionale” (De duabus naturis et una persona Christi, c.3 in Migne  PL 64 col. 1345) e “ogni individuo della natura razionale si dice persona” (Summ. Theol. I q. 29, a. 3, ad 2) ], che avviano una concezione vulgata, quasi un luogo comune della rappresentazione della persona come sinonimo di individuo umano, ricorrente in tutte le lingue europee, l’unica descrizione significativa della persona, nel campo filosofico-giuridico, sarà quella di Rosmini: “La persona dell’uomo è il diritto umano sussistente” (Fil. d. dir., Ediz. Naz. XXXV, 191).

Cosa postula il predicato diritto umano rispetto al soggetto persona dell’uomo?
Lo svincolamento definitivo dall’originaria metafora teatrale della maschera. “Persona” non è qualcosa che si aggiunge o si sovrappone all’individuo e neppure è il nudo individuo, ma è il diritto umano sussistente. L’Europa borghese aveva cercato l’individuo oltre le figure relazionali del diritto romano e quelle gerarchiche del feudalesimo; aveva proclamato la Dichiarazione dei diritti dell’uomo e del cittadino, del 1789.

Sul versante della filosofia politica aveva distinto, in Germania, il suddito dal cittadino e questo, a sua volta, suddistinto in cittadino dello Stato e dell’impero. Ma come la filosofia giuridica aveva costruito il Rechtssubjekt, astratto titolare del diritto soggettivo, così l’idealtipo della persona diveniva il Privatmann, il neutrale uomo privato. E quale soggetto di diritto, l’uomo privato si vedeva protagonista di ogni rapporto sociale ed economico ed investito della titolarità di un corrispondente diritto soggettivo. Siccome questa costruzione concettuale ed ordinamentale era stata esemplata sul diritto di proprietà, allora ogni tutela della persona soggetto di diritto – in senso non transitivo, ma riflessivo – nella tradizione gius-filosofica si riconduce alle proprietà della personalità umana, all’integrità del proprio corpo, al nome, all’onore, all’immagine. E di persona umana, quale diritto umano sussistente, si può intravedere una, nuova e più compiuta, forma muovendo dalla Dichiarazione Universale dei diritti dell’uomo, del 1948. Ancor più rilevante è l’art. 1, n. 1, della Legge Fondamentale della Repubblica Federale Tedesca, del 1949: “La dignità dell’uomo è intangibile. E’ dovere di ogni potere statale rispettarla e proteggerla”.

La persona umana è, adesso, identificata nella dignità dell’uomo, ovverosia nella sua qualità universale ed indefettibile, dichiarata intangibile. Si è lontani dalla tradizione liberale dei diritti della personalità, alla cui tutela provvede l’interessato. Qui, ogni potere pubblico è chiamato all’obbligo di rispettare e proteggere la dignità umana. Qui, si può verificare la definizione rosminiana che “persona dell’uomo è il diritto umano sussistente”. Ed invero, la dignità è il prototipo e la fonte di tutti i diritti fondamentali, nella qualificazione tedesca, inviolabili nell’aggettivazione presente nella Costituzione italiana, in cui i diritti inviolabili dell’uomo sono riconosciuti e garantiti tanto al singolo, quanto alle formazioni sociali, ove si svolge la sua “personalità” (art. 2).

Il “pieno sviluppo della persona umana” è richiamato nell’art. 3, co. 2, come obiettivo da raggiungere, col rimuovere, la Repubblica, gli ostacoli socio-economici, che lo impediscono, limitando, di fatto, la libertà e l’uguaglianza dei cittadini. Il “rispetto della persona umana” è sancito nell’art. 32, co. 2. Esistenza libera e dignitosa, per sé e per la propria famiglia, deve assicurare la retribuzione del lavoratore (art. 36, co. 1). L’iniziativa economica privata “non può svolgersi in contrasto con l’utilità sociale o in modo da recare danno alla sicurezza, alla libertà, alla dignità umana” (art. 41, co. 2).

La filosofia personalista, italiana e tedesca, ha abbandonato, al passato della civiltà liberale, l’idealtipo della persona come uomo privato la cui libertà si materializza nella proprietà. Non vale più la cultura dell’avere e della separazione fra privato e pubblico, secondo il giudizio, di Portalis, al Code Napoléon, del 1804, che realizzava l’actio regundorum, chiesta dalla moderna società borghese: “al sovrano l’Impero, al privato la proprietà”.

Il pensiero politico e giuridico contemporaneo vive, per contro, la cultura dell’essere: la persona è dignità, lo sviluppo della persona come dignità dell’universale figura dell’uomo non è possibile che nella solidarietà politica, economica e sociale. Dignità che, dal latino, “dignitas”, cioè merito, in connessione, quindi, con “munus”, cioè compito, nell’accezione di “dovere umano” (Cic., 2 Invent. 55, 166, che definisce la dignità come “una autorità che merita onore e che è degna di rispetto, di prestigio e di riguardo”), oggi, invece, è sollevata – come detto – a “diritto umano”, naturale ed imprescrittibile, che rende la persona unica e irripetibile (Trimarchi, Il cervello e l’integrazione delle scienze, ADE-CEU Ed., Roma, 2002, secondo cui la dignità è il valore stesso della vita, è la ragione prima dell’esistenza della umanità, che orienta verso la coscienza del proprio essere e divenire).

Però, attualmente, intorno alla persona umana si svolge una pressione sociale caratterizzata da due tecnologie post-moderne: quella informatica e quella delle comunicazioni sociali. Per questo, l’esigenza di libertà personale deve essere centrale nell’organizzazione sociale o statale, attraverso un habeas corpus che impedisca la riduzione di un homo vivens ad un montaggio di diverse pluralità di informazioni. Ulteriore aspetto è quello del condizionamento dei mass media rispetto al libero sviluppo della persona umana.

Per Costituzione, “la Repubblica promuove lo sviluppo della cultura e la ricerca scientifica e tecnica” (art. 9, co. 1). La cultura è finalizzata a rimuovere gli ostacoli alla libertà e all’uguaglianza dei cittadini, di cui all’art. 3, co. 2. E la democrazia, quale regime di libertà, postula una partecipazione, informata e critica, dei cittadini alla vita pubblica. La cultura è prodotto e fattore di libertà. Come si concilia la tecnica del medium radiotelevisivo, ma anche quella delle catene di organi di stampa e di internet, che hanno un effetto di massificazione delle informazioni, con la libertà della cultura e della promozione della persona? Non soltanto lo Stato, ma anche i privati sono obbligati a rispettare la crescita, critica e libera, della persona, astenendosi da indottrinamenti e mistificazioni propagandistiche; e per il raggiungimento di siffatto scopo, la norma organizzativa è quella del pluralismo delle imprese di mass media e degli orientamenti di opinioni. Certo è che i mass-media conducono un gioco contro quello spazio costitutivo della persona umana, che è la privatezza. E se la persona si riversasse tutta nell’immagine pubblica, esterna, nelle sue maschere sociali, allora si nullificherebbe. In termini etici, si può discutere sul come informare e su cosa chiedere di sapere. E in termini giuridici?

Occorre muovere dai valori del costituzionalismo contemporaneo. Ed è indubbio che il massimo dei valori supremi sia la dignità umana. Se si considerano la definizione rosminiana secondo cui “persona umana è il diritto umano sussistente”, e la proclamazione per cui la dignità umana è intangibile, allora si ricava che “la persona umana è il diritto alla intangibilità della sua dignità”. Le libertà fondamentali sono sorte, nella civiltà liberale, come libertà dal e contro il potere, il quale allora non era che quello pubblico. Oggi, accanto e, talvolta, contro i poteri pubblici esistono anche forti poteri privati. Quello dei mass media, è tra questi. Se il costituzionalismo contemporaneo sceglie la dignità personale come caput et fundamentum dell’ordine civile, allora essa va difesa anche contro ogni altra libertà e potere privato; se il costituzionalismo contemporaneo affida la salvaguardia e la garanzia dell’intangibile dignità al potere pubblico, allora è questo che deve regolare la finalizzazione di ogni altra libertà e l’attività di ogni altro potere a non ledere la dignità della persona. Persona che, quindi, nella sua struttura soggettiva, è da tutelarsi contro la pressione sociale dei data e dei media. E’ il suo volto interiore, la sua libertà di dosare la manifestazione sociale e la eclissi nello spazio privato, che sono state, finora, in gioco. Ma quando è la realtà biologica dell’uomo ad essere osservata, investigata, curata, modificata, o, perfino, immessa o trattenuta in vita, quel soggetto, che è “persona” per antonomasia, inclina a divenire oggetto naturale.

E’ registrabile una incertezza della dottrina giuridica, politica e filosofica nell’intervenire con univoche risposte, nel contesto biomedico e bioetico. Tuttavia, ogni opzione trova radicamento nella morale laica (razionale, naturale) o in quella religiosa che assumono diverse concezioni della persona, fra libertà e responsabilità, fra natura normante e natura manipolabile.

Ma se la persona si identifica, par définition, col diritto all’intangibile dignità umana, allora essa riunisce in sé non solo la libertà a tenersi in penombra nei confronti dell’illuminazione sociale, ma anche il dovere della comunità e del potere pubblico di osservare la persona e di trarne informazioni indispensabili all’organizzazione della convivenza, finalizzata, però, al rispetto della sua sfera privata. E in questa definitoria nozione costituzionalistica si può ravvisare la composizione del rapporto persona-società, al di là di qualunque antinomia concettuale o reale.