PER UNA RIFONDAZIONE DELLA BIOETICA E DELLA BIOPOLITICA IN PROSPETTIVA STORICA

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SULLA BASE DELLA SOLIDARIETA’, DEL BENE COMUNE E DEL RISPETTO.

Mai si è assistito ad una tale rilevanza della bioetica, nelle esistenze umane, quanto in questi due anni di pandemia, che ha indicato come indispensabile, ormai, il richiamo alla dottrina stoica, per cui ciascuno esprime una energia vitale ed unitaria.

di ANTONIO CALICCHIO

Dagli organismi internazionali ai governi delle varie Nazioni, le più significative decisioni assunte in ordine alla gestione della emergenza Covid sono state – prevalentemente – di carattere etico: la scelta del lockdown, se, quando e come sospendere le numerose attività, le norme sul distanziamento e l’individuazione dei rapporti sociali stabili e irrinunciabili. Ricordiamo i tormentoni sui congiunti, sugli invitati al cenone natalizio; l’organizzazione sanitaria della emergenza, a partire dai criteri per accedere alle terapie intensive e alle cure, come per i malati di Covid, così per gli altri; l’isolamento di disabili e di anziani nelle strutture residenziali e dei detenuti nel carcere; la tragedia delle morti in solitudine negli ospedali; e la questione dei vaccini, con le problematiche relative alla loro sperimentazione e commercializzazione, la scelta tra diversi tipi e la vaccinazione eterologa, le priorità per l’accesso, l’obbligo e il Green pass; le disuguaglianze sociali; la questione ambientale all’origine del salto di specie del virus: e si potrebbe, ancora, proseguire nell’elenco delle problematiche etiche e delle conseguenziali decisioni, che, negli ultimi due anni, hanno stravolto le nostre esistenze. Tuttavia, paradossalmente, la bioetica è sparita dall’agenda pubblica, ma risulta citata nel dibattito politico e mediatico.

Si è discusso dal punto di vista etico, ma senza dirlo e, forse, senza rendersene conto; evidente è stata la riflessione etica nell’agorà, ma senza domandarsi la ragione della contraddizione emersa, ovverosia quella di dibattere intorno a questioni etiche, senza riferirsi – apertis verbis – alla loro natura. Al di là del rapporto fra il concetto di etica e quello di bioetica, il fatto è che quest’ultima è stata, negli anni, sempre più considerata, nell’ambito del dibattito pubblico, come il campo di riflessione in merito ai cosiddetti nuovi diritti individuali. Nel quisque de populo, la bioetica altro non è se non il discorso inerente alla fecondazione assistita, all’eutanasia, alla ricerca sugli embrioni e alle manipolazioni genetiche e, in via generale, all’impatto tecnologico nella vita dei singoli, soprattutto, nel settore medico-sanitario. Però, il filo conduttore, intorno al quale si è misurata detta riflessione, è stato il principio della libertà di autodeterminazione.

Nel corso del tempo, si è sempre, maggiormente, rafforzata la persuasione che la realizzazione di sé presupponga una autonoma potestà decisionale, un controllo del e sul proprio corpo, anche, a prescindere dai rapporti interpersonali e da ciò che provoca a livello di conseguenze.

E il mezzo giuridico per realizzare tutto questo è rappresentato dal “consenso informato”, nel senso che una scelta è ritenuta legittima, a condizione che colui il quale la compie abbia avuto la possibilità di informarsi. Ciò significa che si è arrivati a salvaguardare la scelta come tale, assai più che l’oggetto della scelta stessa, reputando analogamente legittime tutte le scelte, purché fossero informate.

Una “cassetta degli attrezzi”, imperniata sul singolo soggetto, dunque, che ha manifestato la sua inidoneità dinanzi al Covid-19: “Una epidemia è un fenomeno sociale, che ha alcuni aspetti medici”, affermava Rudolf Virchow. Ogni contagio presuppone una relazione umana, che costituisce strumento della diffusione della infezione e, al contempo, rimedio del problema, a patto che di una simile relazione si rifletta nella sua dimensione solidale. Il Covid ha recuperato il valore della salute pubblica, nell’ottica di tutela del paziente collettivo, obbligando a tener conto degli effetti della condotta dell’individuo, entro sia la comunità sociale, sia il governo della cosa pubblica. Però, abituati, ormai, ad un concetto di etica in termini di decisioni di matrice individuale, non se ne è posta in luce l’importanza e l’efficacia.

Ogni studioso di etica e bioeticista non può escludere l’osservazione della vita concreta, in quanto l’etica e la bioetica si alimentano anche attraverso i casi della vita, attraverso i suoi fattori “naturali”, “oggettivi”, “storici”, senza cui esse sarebbero pura e semplice semantica. La dottrina – etica o bioetica – senza le questioni pratiche ed empiriche, sarebbe “scienza” solamente in fieri, e non “scienza del mondo”, intesa, questa, come comprensione delle cose e delle idee, nella loro storicità. Croce suggeriva, a quanti gli andavano a far visita, a Palazzo Filomarino, in Napoli, di occuparsi della storia, “poiché la storia è la sola cosa che non morirà mai”. Ed infatti, è comune esperienza constatare come quel che, talvolta, si insegna – come docente – si debba, spesso, rivedere sul piano della prassi storica, non certo per incoerenza, bensì per una visione più ravvicinata dei problemi e più rispondente alla natura degli stessi. Ed è proprio questa visione ravvicinata dei problemi, offerta dall’emergenza sanitaria in atto, che impone un esame della bioetica più attuale ed universale. Di qui l’esigenza del nesso vitale fra teoria e prassi, fra pensiero e azione, come “luogo” in cui i formalismi astratti e i filosofemi acquisiscono validità reale e idoneità di progettazione e di rinnovamento della società.

E’ ben vero, da un lato, che le questioni circa i “nuovi diritti individuali” proseguono sul loro percorso, seguendo un itinerario, ormai, tracciato, sotto il profilo giuridico e antropologico; ma, parimenti, certo è, d’altro lato, che esiste l’esigenza di ripristinare e di ridefinire due elementi fondamentali della riflessione etica: la “solidarietà” e il “bene comune”. Termini lessicali, questi, in attesa di essere colmati di senso, proprio in forza della esperienza prodottasi, a seguito della pandemia, ancora, in corso. Due “colonne” in una edificazione bioetica rinnovata, un evento per rivalutarne un accostamento sotto l’aspetto relazionale, anche, per reinterpretare e analizzare il cammino effettuato, sinora, dalla bioetica, coi suoi conseguenti risultati, nonché per conoscere, meglio, la persona umana, se è vero che le norme – etiche, giuridiche, sociali, religiose, ecc. – permettono di conoscere la società e di conseguire quei valori, spesso, irrealizzati, del “bene”, del “giusto”, del “vero”.

Del resto, quella attuale è l’epoca del nichilismo. Eraclito ricordava che di ciascun ente mortale non può disporsi due volte. E che la cosa, mentre è, non è. Contro il nichilismo sono state costruite elaborazioni ideologiche e religiose; ma appare, ormai, mutato il significato di esso, rispetto al passato! Ed infatti, oggi, non interessa più il nichilismo teorico, quello il quale sosteneva, da Nietzsche a Dostoevskij, che, siccome non esiste più verità, allora tutto è possibile. Ora, è stata capovolta siffatta “sentenza”, per cui, siccome tutto è possibile, allora non vi è più verità. Con la conseguenza che al nichilismo ci si oppone non con le teorie filosofiche, bensì con la politica, la quale non nasce astrattamente, ma deve fondarsi – come testé detto – su un processo storico, che tenga presenti le vite umane concrete.

Tuttavia, il nostro tempo storico mostra un autentico paradosso: nel massimo della connessione informatica, l’uomo vive il massimo della sconnessione civile, sociale e culturale. La funzione della politica – al di là delle necessità amministrative – dovrebbe essere quella di ricreare una tensione verso l’unità, la connessione, appunto. Non virtuale, ma reale.

Pertanto, una delle chiavi di lettura della contemporaneità è il “rispetto”, da intendersi, esso, come coscienza della relazione, appunto, nella vita pratica, la quale appartiene ad una realtà, sempre, in divenire, da cui nessuno può esiliarsi, dovendo ciascuno, invece, comprendere come starvi. Adesso, ciascuno vive la condizione democritea di mere particelle di energia, con moto casuale, però, occorrerebbe richiamarsi alla dottrina stoica, oltre che a quella di Giordano Bruno, secondo cui  ognuno esprime una energia vitale ed unitaria.