di Graziarosa Villani
Chi ha ucciso materialmente Pasolini? Quali sono stati i mandanti? Il suo omicidio chiede ancora verità. Si è tentato di riaprire il caso con nuovi elementi ma la scure della magistratura ha calato ancora un velo sulla vicenda.
Nel suo nuovo libro “Caro Pier Paolo, ti racconto il tuo omicidio: Diario inedito della criminologa che ha fatto riaprire le indagini” che sarà presentato domenica 13 ottobre alle 18 a Cerveteri a Palazzo Ruspoli la criminologa Simona Ruffini delinea nuovi scenari. In una intervista qualche anticipazione.
Simona Ruffini, Il 2 novembre ricorre l’anniversario dell’omicidio di Pier Paolo Pasolini all’idroscalo di Ostia. Nel suo libro spiega che sul luogo del delitto c’erano almeno altre cinque persone oltre a Pelosi. Ma la Magistratura, dopo la riapertura del caso, ha deciso di archiviare. Si arriverà mai ad una verità sulla morte del “poeta” come lo definì Moravia nell’orazione funebre?
Ritengo che si potrà arrivare alla soluzione del caso se e quando ci sarà l’interesse di far emergere la verità. Ad oggi evidentemente la verità potrebbe ancora nuocere a qualcuno.
Le sue ricerche negli archivi hanno portato alla luce nuove tracce di Dna. A chi appartengono?
Le tracce di Dna sono emerse dagli esami che il RIS ha effettuato sui reperti della scena del crimine come da nostra istanza alla Procura di Roma. Non è noto a chi appartengano ma di fatto hanno cambiato la verità storica e giudiziaria di quel delitto e partecipare a quegli esami alla sede del RIS di Roma è stato un momento toccante. Tra le piste indicate oltre al ricatto per le pizze di Salomè da parte della criminalità romana si è parlato anche del mondo delle sette sorelle, le società petrolifere di cui si accenna in Petrolio uscito postumo.
Che idea si è fatta? Fu un delitto politico?
Credo sia stato un delitto politico “preventivo”, ossia eseguito su commissione affinché Pasolini non potesse rilevare quello che stava scoprendo e che racconto nel libro. Una pista che parte da Mattei e che passa per De Mauro fino ad arrivare alla Sicilia. Nel suo libro dialoga con Pasolini.
Qual è la cosa più importante che gli dice?
Alla fine gli dico di aver scelto questo lavoro con due obiettivi; cercare sempre la verità e non tradire mai me stessa. Indagando sulla sua morte, aggiungo, ho trovato tanto e altrettanto ho perso. Ma quelle due cose le ho sempre rispettate. Ho cercato la sua verità, e gliel’ho raccontata come meglio ho potuto.
Da criminologa perché dopo tanti anni il caso Pasolini appassiona ancora?
Perché è uno dei cold case più noti e più complessi della nostra storia, che grida ancora vendetta ed è palesemente ancora da non riaprire. E questo ci spinge a chiedere la verità a voce ancora più alta.
Pasolini scrisse “Io so”. Lei che sa? E quello che sa lo può dire?
Tutto quello che so l’ho scritto chiaramente nel libro, quello che sospetto ma non posso provare, lo dico tra le righe.