di Antonio Calicchio
Credo nel potere della narrazione, specie in quella particolare narrazione che concerne la storia che ci ha resi ciò che siamo. Nel mese di maggio scorso, si sono svolte le elezioni europee, numerosi ragazzi si sono recati alle urne per la prima volta, bombardati – come tutti – da tanti messaggi, da molti slogan, da opposte concezioni sull’Europa e sull’Italia. Al riguardo, riflettevo di quanti, fra i ragazzi – per non dire fra gli adulti – conoscessero i Padri fondatori che avevano sognato e desiderato una comunità di nazioni unite, tra di loro, da vincoli di amicizia. Ripenso a Robert Schuman, ad Alcide De Gasperi, a Konrad Adenauer, ma anche a tutte quelle persone di buona volontà che, ad es. nell’ultimo secolo, hanno avuto un sogno per il quale hanno speso l’esistenza o che venne loro tolta in maniera violenta. Quanti hanno avuto la “passione” per il bene comune, quel bene di tutti e di ciascuno che implica dedizione e sacrificio, sino a quello supremo della vita. Sempre a maggio, si è ricordato il sacrificio di Giovanni Falcone, della moglie Francesca Morvillo e di quegli eroi di cui si dimentica, non di rado, il nome ovvero gli uomini della sua scorta: Vito Schifani, Rocco Dicillo e Antonio Montinaro. Qualche giorno fa, sono stati ricordati Paolo Borsellino e la sua scorta: Agostino Catalano, Emanuela Loi, Vincenzo Li Muli, Walter Eddie Cosina e Claudio Traina. Nomi, per lo più, dimenticati. Persone che hanno deciso di fare, sino in fondo, il proprio dovere istituzionale. Se dovessimo elencare le vittime della mafia e del terrorismo, non basterebbe lo spazio di questo articolo. Credo in una azione pedagogica che, libera e scevra dalla “retorica” degli anniversari, consegni ai ragazzi la viva memoria di tali servitori dello Stato, grazie ai quali, oggi, siamo più liberi. Mi rendo conto che questa “consegna” non viene sempre compiuta o, almeno, non viene ben eseguita se, spesso, quando ad es. parlo di Aldo Moro ai ragazzi, essi mi guardano smarriti, sapendo poco o quasi niente di quella tragedia umana e nazionale che fu il rapimento e l’assassinio di quest’uomo che, come ultimo pensiero, scrisse alla moglie il desiderio di un aldilà di luce: “Vorrei capire, coi miei piccoli occhi mortali, come ci si vedrà dopo. Se ci fosse luce, sarebbe bellissimo”. Racconto ai ragazzi di questo passato recente, di un passato che ha segnato il nostro Paese. Ricordo loro nomi e giorni, sangue e lacrime di tanti martiri della giustizia, narro le storie delle loro famiglie, perché quelle vite “date” ci hanno plasmato, ci hanno scosso, sono divenute – in qualche modo – parte di noi. E questa parte va riferita, consegnata, in un ideale passaggio del testimone ai ragazzi, come un “vangelo” che si è fatto carne e sangue per le vie delle nostre città e dei nostri paesi. I ragazzi che hanno preparato campi sulla storia di Peppino Impastato o di Beppe Montana o di Ninni Cassarà o che hanno letto e studiato le lettere di Moro dalla prigionia, sono differenti da coloro che ignorano queste vite. Che alcuni di essi siano impegnati nel sociale, in politica o in professioni di protezione o di cura, è anche il risultato di questa insistenza a ricordare, a trasmettere. Perché in queste vite scorre anche il nostro sangue, il sangue di noi che siamo chiamati ad esserci, a progettare, a costruire, ad avere ben chiara la distinzione fra bene e male, fra verità e menzogna, fra giusto e ingiusto, fra dovere e piacere. Le nostre scuole ed università sono luoghi favorevoli a questo processo di trasmissione di un passato che non è mai passato, di affermazione della vera unità del nostro popolo; le famiglie possono essere spazi felici in cui si può programmare una serata di narrazione ed anche – perché no! – gite in luoghi di arte e di cultura, luoghi non tanto per scattarsi foto, quanto, piuttosto, per osservare ed ammirare. Perché noi diveniamo ciò che pensiamo: questa è la nostra infinita ricerca. Tutti noi proveniamo da una tradizione e da una terra con la sua storia. E’ ad esse che dobbiamo guardare per cercare, sempre di nuovo, una risposta all’antico quesito: chi siamo e dove andiamo. Con gli occhi rivolti al passato, tentiamo ancora di osservare ciò che abbiamo lasciato, perché l’avvenire, la realtà di questo nuovo millennio è solo nel modo in cui viviamo il presente. Già Platone ammoniva: “… Non dei corpi dovete prendervi cura, né delle ricchezze, né di alcun’altra cosa prima con maggior impegno che dell’anima … la virtù non nasce dalle ricchezze, ma che dalla virtù stessa nascono le ricchezze e tutti gli altri beni per gli uomini, e in privato e in pubblico”. Da quella medesima virtù che riconosce e sancisce il valore e la dignità dell’essere umano e i suoi diritti fondamentali.