di Angelo Alfani
Le foto che accompagnano questo scritto immortalano due scolari cervetrani, selezionati per merito a seguito di prova scritta, mentre le Autorità gli consegnano l’ambito libretto di risparmio al portatore, vincolato annuale, con il quale davano inizio alla loro avventura da correntisti bancari.
Furono scattate al cinema Moderno nel 1965, esattamente il trentuno di Ottobre, giornata mondiale del risparmio, istituita, nel 1924, su suggerimento dell’economista italiano Maffeo Pantaleoni.
Il palco è affollato da tutte le autorità riconosciute: il Maresciallo, il Presidente della cassa di Risparmio di Civitavecchia, il direttore dell’agenzia locale, il monsignore. Non mancavano il Direttore didattico, maestre e maestri ed i sempre presenti Sindaco con assessori al seguito.
Giustamente emozionati i nostri scolari, non tanto e non solo per le urla e gli applausi dei loro compagni, quanto perché quel libretto era il lasciapassare per entrare nel mondo degli adulti.
Prefiguravano già come incrementare la modesta cifra offerta dalla cassa del Risparmio: a chi e come chiedere ed ottenere quattrini. Pensavano già al loro futuro. La Banca era vista come luogo sacro, inviolabile, un padre saggio a cui affidare i risparmi delle tante fatiche. Erano gli anni in cui, nella maggior parte delle case, faceva bella mostra sopra la credenza, il dindarolo, prezioso contenitore panciuto in coccio o, in rari casi, a faccia di porcellino, da sempre simbolo di abbondanza.
Una apertura sottile sulla parte superiore del contenitore dei dindi o salvadanaio era il pertugio in cui si infilavano le monete.
Una invenzione semplice ma geniale che rendeva difficilissima l’estrazione del contenuto. Solamente con tentativi di rovesciamento scientifico, o introducendo sottili fili di ferro ed avendo tanta, tanta pazienza, si poteva sperare che qualche cinquanta lire fuoriuscissero. Importante era non esagerare perché il soppesare e lo sgrullare del salvadanaio da parte dei genitori avrebbe fatto scoprire un prelievo esagerato.
Ricordo quanto mi disse mia nonna il giorno in cui mi regalò duecento lire: ‘Nun te li spenne subbito co’ le pallette. Damme retta: mettili dentro al dindarolo, così quanno lo spacchi, co’ li sordi che ce trovi, te ce fai la bicicletta nova”.
La estrazione vera avveniva dunque con la rottura del salvadanaio: una gioiosa liberazione.
Erano anni in cui noiose filastrocche, ripetute ogni volta che, per le festività solenni, beccavo qualche soldo infilato sotto al piatto, mi costringevano ad un risparmio coatto: ‘Se c’è poco, poco ti tocca, ma se il poco serberai, presto o tardi molto avrai’.
Siamo appena alle nozze d’oro da quel sessantacinque e sembra siano trascorsi secoli.
Non credo che il dindarolo stia ancora sulle credenze, so per certo che la Banca è vista come padre egoista.
“Si ha nostalgia” – diceva il filosofo – non per il paese lasciato, ma per il tempo vissuto in quel paese, non per il paese della infanzia, ma per l’infanzia trascorsa in quel paese, e perduta.
Quel tempo non c‘è più, quell’infanzia non c’è più. Quel paese stesso non è più quello, e noi non siamo più quelli che eravamo. E qui il cruccio vero della nostalgia: sapere che non c’è rimedio”.