La Befana e i Re Magi: eterni simboli di una giornata da vivere nel segno del dono.
di Antonio Calicchio
“L’Epifania tutte le feste le porta via”, recita un antico adagio popolare, a sfondo religioso, giacché fa riferimento alla manifestazione di Cristo ai Re Magi.
Anche quest’anno si è ricordato il Natale. Ricordare significa richiamare in cuore, in quanto, anticamente, si riteneva che il cuore fosse la sede della memoria. Per noi, oggi, richiamare qualcosa nel cuore assume un significato profondo. Ed infatti, custodiamo nel cuore le persone che, nella nostra vita, sono preziose, come diamanti rari.
La ricorrenza del Natale ci ha aiutati a tornare alla memoria del cuore. Ricordare che Dio è presente in mezzo a noi, anzi, dentro di noi. Lo stupore e la gratitudine dovrebbero essere i primi sentimenti a fiorire in noi, per, poi, concretizzarsi nella vita quotidiana. Sostando, in silenzio, dinanzi al Bambinello, ci siamo fatti pervadere, intimamente, dalla sua presenza, viva e reale. Presenza che consola, perdona, rialza, riscalda, illumina. Ed allora, anche sulla nostra bocca può affiorare la frase di Frossard: “Amore, per parlare di te sarà troppo corta l’eternità!”.
Tuttavia, il periodo natalizio rappresenta la festa della famiglia che si riunisce, dei bambini che vivono la magia del dono, dei nonni che tornano bambini, della moltitudine di luci che illuminano le notti. E’ un periodo di gioia, affetto, condivisione, è soprattutto richiamo ad uno stile di vita proteso verso un “oltre”. Il 2021 è stato un altro anno contrassegnato dalla sofferenza e dalla difficoltà. Per tutti. L’emergenza sanitaria – oltre che togliere, a numerose persone, un loro caro – ha aggravato le difficoltà di moltissime famiglie, colpendo, particolarmente, i giovani, che faticano a trovare un lavoro. Ancor più grave è la condizione di coloro i quali non sanno a chi affidare le proprie preoccupazioni per trovare consolazione e pace. Per loro, e per noi, l’auspicio è che il Nuovo Anno sia luce di speranza e conforto per arrivare alla vera e definitiva soluzione dei mali del nostro tempo.
E, poi, giunge l’Epifania, che può definirsi il giorno del festeggiamento dei sentimenti umani. Perché il dono attiva sentimenti di gioia, tenerezza, gratitudine; il dono unisce all’altro, lo rende amico, familiare, e non più estraneo.
Il dono genera, nell’animo umano, il sentimento dell’essere contenuto, pensato, voluto dall’altro. Sapere che si occupa un posto nella mente e nel cuore dell’altro, produce una sensazione di pace, armonia, benessere, rinascita, che affranca dalla solitudine.
E quali sono i doni che, poi, tutti quanti hanno bisogno di ricevere, ogni giorno? Quali sono, o quali dovrebbero essere, quei doni che ci si potrebbe scambiare, in ogni momento della vita? Una stretta di mano, un abbraccio, un sorriso. L’altro è fondamentale per ciascuno di noi, tant’è vero che già Aristotele definiva l’uomo un animale sociale. Gli altri sono un nostro prolungamento, sono le nostre stesse parti: per questo, ci sentiamo integrati solamente quando recuperiamo questi altri, quando recuperiamo la totalità di noi stessi, che coincide con la totalità di tutti gli altri. E, senza gli altri, non si può mai contemplare la bellezza mattutina che si desta, l’accorante luce della sera che cala, nel giorno che si spegne.
Una favola Zen esprime compiutamente l’unione con l’altro. Si narra che un viandante, dopo essersi smarrito, scorge una casa. Bussa alla porta e, da dentro, una voce: “Chi sei?”. Ancora un altro tocco e, dall’altra parte, la stessa voce: “Chi sei?”. Ed ecco che il viandante risponde: “Io sono te”. La porta si spalanca per dare posto ad un abbraccio. Ecco, chi è l’altro: è un noi stessi, altrimenti è difficile, se non, addirittura, impossibile, l’identificazione di noi stessi, se gli altri non costituiscono i nostri aspetti migliori.
Pertanto, il dono maggiore è l’altro, è l’essere umano, la persona che ci dona, in ogni momento della nostra esistenza, amore, calore, tenerezza. Ogni giorno possiamo, dovremmo, farci “dono” per gli altri. Siamo noi stessi il dono di cui l’altro necessita, di cui noi necessitiamo.
Mi auguro che in questo giorno – e non soltanto in questo – ciascuno possa farsi “dono” vivente per gli altri; mi auguro che, in questo giorno, ciascuno riceva dall’altro, come dono, quel che di più sublime vorrebbe avere: essere amato.