di Antonio Calicchio
“Mi guardavo intorno per vedere se avessero dell’oro”.
Questa è la prima annotazione segnata sul diario dell’ammiraglio Cristoforo Colombo, sotto la data fatidica del 12 ottobre 1492. La prima “emozione”, dunque, di Colombo nel momento in cui poneva piede su una terra sconosciuta era la preoccupazione di arrivare allo scopo che si era prefisso partendo dal Vecchio Mondo verso l’ignoto. Procurare oro e gloria ai Re Cattolici che avevano finanziato la spedizione verso Ponente. Tutto quello che accadrà da quel giorno e da quella pagina di diario in poi, avrà il segno dello sguardo inquieto, preoccupato e avido di Colombo.
Ma nella storia, tragica e sublime della “scoperta” dell’America, la forza delle cose ha superato le ragioni della febbre dell’oro dei Conquistadores. Questa forza è stata il trauma della differenza: lo stupore di una lingua incomprensibile, di una organizzazione sociale perfetta e razionale degli indigeni, di una religiosità misteriosa e diffusa e, soprattutto, della nudità degli uomini e delle donne del Nuovo Mondo.
Vorrei soffermarmi su questo punto della “nudità”, in quanto, qui, risiede, forse, l’origine della tragedia biblica che si è abbattuta su quelle inermi popolazioni “scoperte” da civili e cristiani uomini provenienti da un’Europa in piena fioritura umanistica e rinascimentale. Non solo per i rudi marinai e soldati che sbarcheranno su quelle terre dai paesaggi incantati, ma per “colti” esploratori come Colombo e Vespucci la nudità delle donne indie era insopportabile. Era insostenibile anche la loro gentilezza e disponibilità all’amore e alla socialità coi nuovi venuti.
Tutti i principi della religione cristiana e della moralità erano messi in crisi da questo semplice fatto. Parve agli scopritori che le potenze infernali del male e del peccato fossero contenute in una parte del mondo di cui la Bibbia non aveva mai parlato e che il modo migliore per sventare il pericolo diabolico e mortale fosse quello di sterminarlo alla radice o di rovesciarlo nel suo contrario, convertendo, alla religione cattolica, questi portatori di peccato.
Ma un’ulteriore differenza, che risultava essere incomprensibile, era lo stare in silenzio o il parlare sottovoce degli indigeni. Per il “rumore” dell’Europa, il sussurro dell’America era anche il segno di incomunicabilità che solo dopo decenni poté essere cancellato o disperso nel vociare confuso e nell’angoscia dei fragorosi scoppi delle “canne da fuoco” dei militi spagnoli di Cortes e di Pizarro.
Da questi primi – apparentemente “elementari” – dati e documenti storici della scoperta e conquista dell’America occorre muovere per entrare nel problema che oltre cinquecento anni or sono è stato posto alla civiltà europea e che ancora rimane, dal punto di vista culturale, aperto alla nostra riflessione.
Certo, personaggi come Colombo sono, oggi, impensabili: nel tempo presente, esplorare vuol dire soprattutto essere “esplorati” da ciò che si vuol conoscere. I misteri della natura e i segreti della scienza mettono alla prova coloro che vogliono indagarli e li obbligano (o, almeno, così dovrebbe essere) all’umiltà e all’attenzione nei confronti di quel che è ancora ignoto. Ma i valori della nudità, cioè della autenticità, e del silenzio che il Nuovo Mondo aveva mostrato ai suoi inattesi visitatori rimangono come valori intatti ed assoluti di un bisogno di verità e di pace che i ruvidi compagni di Colombo non hanno saputo apprezzare e “conquistare”.