Giovedì la Corte di Cassazione ha emesso una discussa sentenza sulla cannabis light, cioè sulla cosiddetta “erba legale” che ormai da un po’ di tempo è venduta in tabaccherie, bar e negozi specializzati in tutta Italia.
La Cassazione, in breve, ha stabilito che è illegale la vendita di «foglie, inflorescenze, olio, resina» di cannabis, a meno che «siano in concreto privi di efficacia drogante». È una sentenza che ne ribalta un’altra risalente ad appena quattro mesi fa e apparentemente anche una legge, e che ha creato sconcerto in un settore che dà lavoro a diverse migliaia di persone in Italia. Ma la verità è che non è ancora chiaro che effetti avrà la sentenza, e per ora ha soltanto aggiunto confusione a un tema già piuttosto intricato.
La sentenza, in pratica, dice che la vendita dei derivati della cannabis più diffusi non è regolata dalla legge 242 del 2016, com’era in precedenza: salvo che nei casi in cui questi derivati non abbiano effetti droganti. In questo caso, sembra dire la stessa sentenza, si possono ancora vendere. Questo limite, almeno finché non verranno depositate le motivazioni della sentenza, è però soggetto a interpretazioni. Il principio alla base della cannabis legale, infatti, è proprio che non ha un effetto drogante: attualmente, per legge, non può superare lo 0,6 per cento di THC, il principio attivo che dà alla marijuana l’effetto psicotico. Questo livello molto basso fa sì che la cannabis legale non abbia l’effetto drogante della marijuana tradizionale, e anzi: secondo molti, e sicuramente secondo chi la vende, non ne ha alcuno.
Per questo al momento sembra molto improbabile che i negozi di cannabis light debbano chiudere: fino a quando non si saprà nel dettaglio cosa intende la Cassazione per “effetto drogante”, ogni commerciante a cui venisse contestata la vendita di cannabis light potrebbe ribadire che il contenuto di THC è quello considerato al di sotto della soglia drogante.
C’è però molta incertezza su cosa succederà, incertezza che probabilmente verrà chiarita soltanto quando verranno depositate le motivazioni, cosa che può richiedere diverse settimane. Nel frattempo potrebbero esserci più controlli da parte delle forze dell’ordine: ma questi potevano esserci anche prima e potevano ugualmente portare alla chiusura dei negozi. All’agenzia AGI il presidente dell’Associazione italiana cannabis light Antonio Ricci ha parlato di una possibile «pietra tombale di un’intera filiera industriale che si è sviluppata in questi tre anni». Carlo Alberto Zaina, avvocato difensore dell’imprenditore dal cui caso si è arrivati alla sentenza della Cassazione, è invece sembrato più prudente e ottimista su Facebook. «Per convenzione tossicologico-giuridica il limite sotto al quale non è riconosciuta efficacia drogante al Thc è pari allo 0,5%», ha ricordato Zaina, e quindi la Cassazione di fatto si è limitata «a ribadire principi già conosciuti». «A tutti i commercianti dico che la loro attività è tuttora possibile e che non devono abbandonare ed abbattersi», conclude Zaina.
Fonte il post.it