Nata scrittrice, diventata grande attrice

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Grazia Scuccimarra ci racconta una carriera costellata di successi ed ironia fotografando la società contemporanea di Giovanni Zucconi

E’ difficile paragonare Grazia Scuccimarra a una qualsiasi altra attrice di teatro. Assistere ad un suo spettacolo è come andare a casa di una tua vecchia amica, quella ironica ed arguta, che, dopo averti fatto accomodare in salotto, riesce a farti passare una serata piacevole parlandoti dei vizi della nostra Italia e degli Italiani. Ma senza angosciarti, strappandoti continuamente sorrisi e risate. Con la Scuccimarra, il clima a teatro è quello. Abbiamo assistito al suo spettacolo “Sono una donna lacero confusa”, al Teatro degli Audaci di Roma. La scenografia è minimale. Oltre una panchina con un fantoccio femminile e, dall’altro lato una valigia a terra, c’è solo lei, che scenderebbe volentieri, se si potesse, tra il pubblico a parlare personalmente con ognuno di loro. Questa è la forza degli spettacoli della Scuccimarra: la naturalezza con la quale approccia i presenti, e con la quale affronta i temi sociali che man mano si snocciolano durante tutta la serata. Lei non recita, parla. Parla con la sua proverbiale proprietà di linguaggio, e con la chiarezza che le proviene da 40 anni di insegnamento. Poi ti può piacere o meno quello che dice. Puoi condividerlo, oppure no. Ma sicuramente quello che vuole trasmetterti ti arriva diretto, senza possibili fraintendimenti. Le sue lucide analisi della società di oggi o di ieri, il suo racconto dei vizi degli Italiani che impediscono di costruire una società veramente civile, arrivano alla coscienza degli spettatori chiare e forti. Ma sempre con leggerezza e ironia. La sua satira non ti angoscia come succede per altri monologhisti. Per lei, più che per molti altri, vale il motto latino “Castigat ridendo mores”: cerca di correggere i cattivi costumi facendo ridere. Abbiamo incontrato Grazie Scuccimarra, nel suo camerino, mentre si stava preparando per lo spettacolo. Ci ha concesso una lunga intervista nella quale ne abbiamo approfittato per conoscerla meglio, e per farci anticipare i suoi giudizi sulla società italiana di oggi.

Le è stata un’insegnate per 40 anni. Nonostante il suo duraturo successo come scrittrice, regista e attrice, lei ha sempre posto al centro della sua vita l’insegnamento, e quindi è la persona giusta per una domanda che riguarda i giovani. Perché secondo lei si vedono sempre pochissimi ragazzi a teatro?

“E’ difficile portare i giovani a teatro. Dipende dal fatto che le Istituzioni hanno mollato. Nel senso che una volta la scuola si interessava ad abituare i ragazzi al Teatro. Io, come insegnante, portavo le mie classi a teatro. Abbiamo visto un sacco di spettacoli insieme, anche se si trattava di un istituto industriale. Io ci tenevo che andassero a teatro. E nelle scuole, quando io ero ragazza, si faceva teatro. E a grandi livelli. Il nostro professore di greco, all’epoca, mise in scena “Le Coefore”, una tragedia greca. E aggiungo che purtroppo nelle scuole sta succedendo una cosa terribile: l’ignoranza sta dilagando. Sono stata insegnante, ma adesso sono in pensione. Le mie colleghe mi dicono sempre: “…te ne sei andata via la momento giusto, perché dopo è successo il tracollo.”

Lei, nei suoi spettacoli, fa molta satira. Ma la satira ha bisogno di un pubblico che sia in grado di capirla e di cogliere il reale significato di quello che racconta sul palcoscenico. Le dico questo perché è circolato sulla stampa un sondaggio che mi ha impressionato tantissimo. Afferma che almeno il 70% degli Italiani legge, ascolta, ma non capisce il senso di quello che ha letto o sentito. Lei non ha paura di non essere compresa dal suo pubblico?

“No. Quando vengono a vedere me, sanno che cosa vengono a vedere. C’è quindi già una selezione a monte. Inoltre noto che tanta gente, anche se è venuta a vedermi per caso, alla fine è sempre entusiasta per quello che ha sentito. Questo perché il mio linguaggio contiene un’oggettività e una chiarezza che va bene per ogni tipologia di persona, acculturata o no, e a tutte le latitudini. Alla fine quello che conta è sempre il linguaggio che utilizzi per comunicare i tuoi concetti.”

Nelle sue opere ha sempre rappresentato la nostra società. Lo fa da notaio, o vuole anche mandare dei messaggi?

“No, messaggi no. Io non sono presuntuosa fino a questo punto. Ognuno di noi è in grado di mandare messaggi, negativi o positivi. Tutti. Ma non è la mia finalità. Io voglio solo sollevare gli ultimi pochi veli che sono rimasti. Ma non ce ne sono rimasti molti.”

Quindi lei si limita a raccontare la società italiana, con i suoi limiti e i suoi vizi

“Si. Ma più che raccontare io voglio condividere cose che la platea già conosce. Già le sa, e quindi ci si ritrova. I miei spettacoli sono piacevoli anche per questo. Io poi le faccio vedere attraverso ottiche che la gente, con meno tempo di me per affrontare certi temi, non ha mai utilizzato. Io faccio guardare la società attraverso ottiche nuove o poco usate dal pubblico. E’ anche questa la funzione del teatro.”

 Riesce a farlo solo attraverso un monologo, senza dialoghi?

“I miei monologhi sono, a tutti gli effetti,delle commedie. Vi trova sempre un dialogo. Le mie sono vere commedie, dove ci sono tanti personaggi che, pur in una sola persona, sfilano regolarmente sul palcoscenico. Poi c’è questa continua fusione tra palcoscenico e platea, che accade sempre nei miei spettacoli. Anche quando i teatri sono più grandi e le platee sono più lontane dal palcoscenico.”

Lei si sente una privilegiata perché ha la possibilità di dire quello che pensa su un palcoscenico?

“Certamente. Io ho sempre affermato che salire su un palcoscenico è un atto di presunzione. Tu ritieni che hai qualcosa di importante da dire, che gli altri non abbiano già pensato. Già questo, di per se, è un grande atto di presunzione”

Come lo modera?

“Lo modero con il senso della misura. Io non faccio molta fatica a pensare che sono una privilegiata, e che quindi devo rispettare l’intelligenza del pubblico. Non devo accontentarlo, ma rispettarlo. Quindi devo sempre pensare che ho davanti un pubblico intelligente. Da non prendere in giro, e da non sottovalutare. Quindi devo offrire sempre cose che siano almeno intelligenti. Questo è il minimo sindacale. E quando mi dicono quanto sei brava, io rispondo sempre, e sono convinta di quello che dico: “Io non brillo di luce propria, quanto di buio altrui.”

Lei ha anche il vantaggio di scriverseli da sola i suoi spettacoli

“Quella è la mia condizione per salire su un palcoscenico. Perché io non sono un’attrice tradizionale, che ha fatto la scuola per attori. Io vengo da tutt’altra storia, Io ho recitato anche nel cinema. Però, in teatro recito solo cose mie.”

Lei ha avuto dei maestri? Dei punti di riferimento?

“No. Nessuno. Ho avuto le mie passioni, Franca Valeri per esempio, però non da imitare. Ognuno ha la sua storia, il suo carattere e la sua personalità. Poi io non sono una donna da miti. Adesso, invecchiando, qualche mito mi è nato. Ma non in campo teatrale, ma in campo sportivo. Perché sono una grande appassionata di sport. Ho due miti. Il primo è Francesco Totti. Ho pianto per la sua uscita dai campi già tre anni prima che se ne andasse dal calcio. Infatti mi manca da morire. Ho un buco nell’anima. Il prossimo buco sarà quello di Roger Federer, che è un’altra mia passione. Federer per me è un dio in terra. E’ una persona che si presenta come una persona normale, che però fa cose straordinarie. Glia altri giocano a tennis. Lui è il tennis.”

Come è nata la Scuccimarra come attrice?

“Ho cominciato a recitare perché nessuno voleva interpretare i miei testi. Nessuno voleva rappresentare le mie opere. Volevano metterci le ballerine, la donna nuda o la ragazza carina. A me questo non andava bene. Ecco perché ho dovuto cominciare a recitare.”

Quindi è nata prima come scrittrice

“Si. Io nasco come scrittrice. Ho cominciato a 32 anni. Facevo la supplente a scuola. Avevo due figli piccoli. Mi ricordo la sera della prima del primo spettacolo al teatro “Il Leopardo”. Nel corridoio tra due file di sedie, c’erano due ragazzini che correvano sui e giù. Erano i miei figli. Ad un certo punto dello spettacolo ho smesso di parlare e ho urlato “Romano (che è mio marito), potresti almeno la sera della prima occuparti dei figli?”. E’ stato un momento di altissimo teatro femminista. La gente si ammazzò dalle risate.”

Quando ha iniziato a recitare?

“Era la metà degli anni 70.”

Una carriera lunga

“Si, una lunga carriera che continua a reggere. E lo sa perché regge? Io ormai sono vecchia e quindi non posso proporre l’attrattiva di andare a vedere una bella donna. Io sono una vecchia signora. Reggo perché offro qualcosa. Un discorso coerente che la gente apprezza, e per il quale ti vuole bene. Io lo sento l’affetto del mio pubblico. La gente si rende conto che io non l’ho mai, ma proprio mai, presa in giro.”

Si vedrebbe come politica’

Si. Io l’ho già fatta la Politica. Sono stata 5 anni consigliere comunale nella mia città, Teramo. In una lista civica con Marco Pannella e Ivan Graziani. “

Rifarebbe questa esperienza?

“Si. Francamente la rifarei. Anche se adesso i tempi sono più duri. Sono più difficili perché non c’è più Cultura. E non c’è più rispetto per le istituzioni.”

Quale medicina proporrebbe per curare i mali dell’Italia attuale?

“Sicuramente c’è bisogno di più Cultura. Basterebbe questo. Bisogna ripartire dalla Scuola come ganglio centrale della Società. Cominciare a proporre la Cultura partendo dai bambini piccoli. E’ così che si formano i futuri cittadini.”