Da Blu a Laika la Street Art vince.
Flavia De Michetti
La Street Art è una forma d’arte recente, in alcuni casi si parla con disinvoltura di arte contemporanea. Nasce intorno agli anni che vanno dal 1950 al 1960 in America, fino a svilupparsi e diffondersi a macchia d’olio in tutte le città del mondo. Si tratta di una vera e propria forma d’arte che si svincola completamente dalle catene e i limiti imposti dai galleristi e critici d’arte, un modo contestatario e provocatore per esprimersi nei confronti della politica e della società in generale.
In Europa l’arte di strada approda in ritardo, all’inizio degli anni 2000 circa, e comincia ad assumere una propria identità a partire dalla forma d’arte, sua parente, del graffitismo. Si diffonde a Parigi, in Germania (esempio, unico nel suo genere, è il Muro di Berlino), in Irlanda, in Inghilterra, fino ad arrivare in Italia, in cui questa multiforme arte si sviluppa in tre punti focali principali: Milano, Roma e Bologna. Proprio qui, nel 1999, inizia a farsi conoscere uno street artist italiano, noto con il nome di Blu, di cui sappiamo molto poco, come accade per qualunque artista di strada che si rispetti. Molte gallerie d’arte iniziano a capire il valore e l’importanza del suo lavoro e iniziano ad invitarlo per partecipare alle mostre, ma l’artista si mostra particolarmente restio, limitando al minimo sindacale le sue collaborazioni.
La sua caratteristica principale è prendere le figure umane e stravolgerle, trasformandole in creature che manifestano il disagio e la paura dell’umanità attraverso le loro condizioni fisiche. La sua arte vuole essere una critica contro il governo e la società dei nostri giorni. Le sue opere sono sparse per tutta l’Italia e oltre i suoi confini (Serbia, Palestina, Stati Uniti). Oltre ad essere conosciuto per le sue enormi figure, lo è soprattutto per i suoi unici murales in movimento, i cosiddetti “murales animati”. Sembra che i disegni vogliano uscire dal muro per prendere vita, il lavoro per la loro creazione è estremamente complicato: crea un murale, scatta una foto per poi coprirlo, elabora un altro disegno, scatta di nuovo una foto e così via fino a montare un video e creare l’illusione dell’animazione del disegno. E’ sicuramente una delle opere che hanno fatto la storia della street art. Celebre il suo murale nel quartiere Ostiense, in via del Porto Fluviale, che rappresenta una sorta di arcobaleno di 27 volti, realizzato su tutta la facciata dell’ex magazzino militare, celando forse il messaggio dell’accettazione razziale.
MURALES: “ Je ne suis pas un virus”
A Roma troviamo la famosissima Laika, nonostante faccia molto parlare di sé, si conosce molto poco anche sul suo conto, è perfino molto difficile che conceda interviste e, nei rari casi in cui lo fa, si presenta completamente coperta dalla testa ai piedi per mantenere il suo anonimato. Laika è una street artist madre di moltissime opere che decorano i muri della Capitale, ultimo dei quali, quello che ha fatto più scalpore, per l’attualità del tema rappresentato e per la sua vena estremamente provocatoria: si tratta di una chiaro riferimento all’allarmismo che si è costruito intorno all’emergenza del Coronavirus, un virus nato in Cina e che, negli ultimi tempi, sta mietendo diverse vittime.
I suoi murales sparsi per Roma sono molto eloquenti, da quello provocatorio su Matteo Salvini a quello riguardante il calciatore giallo-rosso Daniele De Rossi, fino ad arrivare al suo ultimo lavoro che raffigura una donna asiatica, che indossa una tuta protettiva e una mascherina, tenendo fra le mani una coppa di riso: sembra voler dire “C’è in giro un’epidemia di ignoranza…DOBBIAMO PROTEGGERCI!!!”. La scelta del quartiere, in cui scagliarsi contro un fatto che sta toccando e sconvolgendo gli animi delle persone di tutto il mondo, non è assolutamente casuale: l’Esquilino, piazza Vittorio, è il quartiere di Roma multietnico per eccellenza.
La persona rappresentata, inoltre, non è un personaggio di fantasia: l’ispirazione di Laika per il soggetto della sua opera è una donna nota nel quartiere, di nome Hang Zhou, titolare di un ristorante cinese in via Bixio. L’artista non vuole certo sminuire l’emergenza evidente in tutto il mondo, affermando lei stessa di non essere né una scienziata né un medico, tuttavia la sua intenzione è quella di comunicare un messaggio molto importante e che sia d’impatto: non aver paura di essere contagiati da una persona solo perché è cinese, non additare un popolo come untore e proteggersi dagli unici veri virus che sono il razzismo e l’ignoranza. Fonte: stradadicasa.altervista.org