MILLE GIORNI DI TE E DI ME

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paura

Prendo a prestito questa bella canzone di Claudio Baglioni e la uso come titolo di questo articolo proprio per parlare di quanto non sappiamo stare in nostra compagnia, cosa che invece è correlata con un maggiore senso si benessere psicologico.

Nella canzone di Baglioni, egli si rivolge ad un’altra persona, ad un legame spezzato, alla nostalgia di un amore importante che non c’è più. Nell’arte in genere, ma soprattutto nelle canzoni, il tema di un amore perduto riecheggia di continuo, ma sempre l’amore per un altro/un’altra a cui si chiede di riempire i nostri vuoti emotivi e la nostra solitudine.

Crediamo debba essere sempre un altro a fare questo per noi, ma non è proprio così, perché in psicologia si sa bene che se prima non riesci a stare in tua compagnia in un modo tale da saperti riempire di gioia e di amore, non potrà farlo un altro per te. Se non trovi il modo TU di colmare i tuoi vuoti affettivi, non potrà essere nessun altro che con il suo amore potrà farlo.

C’è anche un’altra canzone a tal proposito, in questo caso di Renato Zero, che affronta questo tema, ma da un’altra angolazione: la canzone si intitola “Salvami” ed in essa si chiede ad un altro/a di venirci a salvare dal buio del nostro dolore e della nostra vita infelice.

Siamo abituati insomma a pensare che debba essere qualcun altro al di fuori di noi che debba assumersi la responsabilità di venirci a salvare, consolare, rivitalizzare o proteggere. Da un punto di vista psicoanalitico è facile immaginare come questo “Altro” sia la presentificazione nel qui ed ora della madre e del padre della nostra infanzia: quando soffriamo e ci sentiamo impotenti torniamo nella condizione psicologica di essere piccoli e di chiedere aiuto ad un “Altro” che ponga fine alle nostre sofferenze: nella nostra mente inconscia è vivo il ricordo di tutte quelle situazioni infantili, protrattesi per anni, in cui ad un nostro disagio, segnalato dal pianto o dalla protesta rabbiosa, veniva qualcuno ad alleviare le nostre pene (si spera sia andato così almeno): ci dava da mangiare, ci teneva la caldo, ci accarezzava e teneva stretti al suo corpo, ci calmava se eravamo agitati, etc.

Se non siamo stati bambini così fortunati e questi scenari non ci appartengono o non sono stati la norma, saremo adulti eccessivamente bisognosi, il cui lato infantile richiede a gran voce un genitore (che cercheremo di trovare in un partner, per esempio) che oggi faccia per noi ciò che non è stato fatto dai nostri genitori. La qual cosa comporta diverse problematiche nella relazione di coppia.

Che fare allora? Ebbene oggi che siamo adulti possiamo svolgere noi queste funzioni di accudimento nei nostri confronti; possiamo essere i genitori di noi stessi e lo possiamo fare in molti modi: confortandoci se siamo sofferenti e avviliti, “portandoci” a divertire se siamo annoiati, “rivitalizzandoci” se ci sentiamo tristi e spenti, etc.

La ricerca in psicologia mette in evidenza come sia fondamentale questo approccio con se stessi: certo i legami affettivi con gli altri sono il baluardo del nostro benessere, ma è difficile – questo è il nocciolo della questione – poter creare un legame affettivo equilibrato con un’altra persona se nell’altro poniamo la risposta a tutti i nostri disagi e bisogni, se l’altro, oltre ad essere nostro amico o nostro partner, debba anche essere nostro padre, nostra madre, etc.

Dottor Riccardo Coco
Dottor Riccardo Coco
Psicologo – Psicoterapeuta

Dottor Riccardo Coco
Psicologo – Psicoterapeuta Psicoterapie individuali, di coppia e familiari
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