Se mi ami, non amarmi

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“Il paradosso di alcune relazioni è che ciò di cui ci si lamenta a livello conscio è ciò che si ha necessità di avere a livello inconscio”.
A cura di Dottor Riccardo Coco

Dottor Riccardo Coco
Psicologo – Psicoterapeuta

“Se mi ami non amarmi” è il titolo di un libro di Elkaim M. Egli è uno psicoterapeuta che lavora soprattutto con le coppie e dicendo “se mi ami non amarmi” vuole sottolineare l’aspetto paradossale di certi legami d’amore. Solitamente i membri di una coppia si lamentano di certe cose dell’altro, ma “devono stare attenti a chiedere”, perché se poi l’altro esaudisce tali richieste il risultato non sempre è la gioia!

Facciamo un esempio: un partner può lamentarsi che l’altro non è sufficientemente amorevole e premuroso.

Ciò lo fa sentire non amato, proprio come non si sentì amato, per esempio, dalla propria madre, la quale era distante e fredda (per semplicità considererò solo le madri).

Il partner che questa persona si è scelto è simile alla madre e dunque se ne lamenta. Ma perché mai si sarebbe scelto un partner con il quale rimettere in scena la stessa relazione di anaffettività che provò nell’infanzia? E se il partner diventasse amorevole e più presente sarebbe felice? A sua volta il partner sotto accusa, anche lui si lamenta dell’altro, ma si dispera per cose diverse: accusa l’altro di essere troppo dipendente da lui, troppo bisognoso e soffocante.

Nella sua storia infantile la madre era (o meglio, è stata da lui vissuta) come iperprotettiva ed iperpresente. Se anche questo partner ottenesse ciò che a livello di desiderio conscio chiede sarebbe felice finalmente? Ci sono molti dubbi che le cose andrebbero così!

Dobbiamo infatti considerare sia il desiderio cosciente (le richieste e le lamentele) che il bisogno inconscio: infatti se entrambi i partner dovessero soddisfare le richieste esplicite dell’altro, l’altro sarebbe poi costretto a doversi confrontare con le ferire e le mancanze che da una vita si porta dentro, sarebbe poi costretto a sentire (il primo partner dell’esempio): “oh, ma allora è questo che significa essere amati con premura ed attenzione… e perchè chi si è occupato di me non si è comportato così con me? Cosa avevo (ho) che non andava bene?” etc. etc.”.

Sarebbe cioè costretto a doversi fare carico dentro di sé di tutta la rabbia ed il dolore infantile che si porta dentro (“messo bene bene sotto chiave a tre mandate s’intende”) e dovrebbe viversi il lutto per non aver avuto la madre o il padre amorevoli che avrebbe voluto.

Per il secondo partner dell’esempio sarebbe la stessa cosa: si dovrebbe confrontare anche lui con “gli irrisolti” della sua storia infantile che normalmente “rimuove”, ma nel suo caso il tema su cui dovrebbe lavorare avrebbe a che fare con l’area della separazione e le annesse angosce e potrebbe anche sviluppare sintomi come attacchi di panico, fobie o altri disturbi d’ansia se il partner aderisse alle sue richieste e lo “liberasse” maggiormente dalla sua presenza.

Questo perché non è una persona che ha imparato a stare da sola con se stessa o a sentire di poter avere dentro di se “un centro di gravità permanente” (prendo a prestito da Battiato) e si sentirebbe inconsciamente abbandonata quando invece a livello conscio ed esplicito chiede di essere lasciato più libero!

Dunque entrambi i partner, paradossalmente, non esaudendo le richieste dell’altro e lasciando tutto così com’è, si proteggono e si rassicurano a vicenda in quanto permettono all’altro una riproposizione dei conflitti infantili senza il peso della loro elaborazione!

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