Antonella Di Veroli fu uccisa nella sua casa di Roma nell’aprile del 1994, i responsabili non sono mai stati individuatidi Antonio Calicchio
L’omicidio Di Veroli è stato commesso a Roma, nell’aprile 1994, senza che siano stati mai scoperti i responsabili. La vittima, Antonella Di Veroli, venne uccisa, in casa sua e il cadavere venne occultato in un armadio, la cui anta venne sigillata col mastice. Il corpo verrà rinvenuto due giorni dopo l’assassinio, quando, dato che la vittima non rispondeva al telefono, i familiari e l’ex compagno e socio in affari si impensieriscono.
Gli investigatori, prediligendo la pista passionale, appuntano le indagini su due uomini che, entrambi, avevano avuto una relazione con la vittima: il primo sospettato fu l’ex socio della vittima, il secondo fu un fotografo col quale la donna aveva avuto poco prima una relazione, poi, interrotta e al quale aveva prestato del denaro.
Quest’ultimo venne rinviato a giudizio e processato, unitamente alla moglie, accusata di minaccia e tentativo di estorsione nei confronti dell’ex amante del marito. Il processo iniziò nel 1995. Due anni dopo, fu emessa la sentenza di assoluzione piena per la coppia, confermata in appello e dalla Corte Suprema di Cassazione, nel 2003. A scagionare l’uomo dall’accusa anche un’impronta ritrovata sull’armadio appartenente ad una terza persona mai identificata, e non solo le prove del guanto di paraffina che, dapprima positive, si erano rivelate, poi, inattendibili. Malgrado un tentativo di riapertura del caso, esso – non essendovi stati mai ulteriori sviluppi – tuttavia è rimasto del tutto irrisolto, lasciando senza risposta due interrogativi inquietanti: da chi è stato commesso il delitto e perché.
Questa truce storia di cronaca nera, che ha condotto alla morte Antonella, è fra i “gialli” italiani più misteriosi.
Del resto, la morte è sempre l’ultima esperienza umana, una esperienza difficile, di fronte alla quale l’anima non prova che sgomento. Nella contrapposizione paolina di “spirito” e “corpo” si colloca anche quella di “vita” e “morte”. Grave problema, questo, relativamente al quale occorre dire che il materialismo – quale sistema di pensiero – significa accettazione della morte come definitivo termine della vita umana, nel senso che la vita umana è solamente un “esistere per morire”. Bisogna aggiungere che, nell’orizzonte della civiltà contemporanea, un cupo quadro di morte si sta, ormai, componendo, come quello, appunto, di attentare alla vita umana, vita umana che rappresenta il fondamento di tutti i beni, la sorgente e la condicio sine qua non di ogni attività umana e di qualunque convivenza sociale. La vita è sacra e nessuno può attentare ad essa senza violare un diritto fondamentale ed inalienabile, senza commettere, perciò, un crimine di estrema gravità. La vita è un bene prezioso: ci siamo e potremmo non esserci. Ogni giorno ci risvegliamo alla vita e sentiamo sprigionarsi in noi forze ed aspirazioni grandi. C’è, quindi, un mistero a sostenere la nostra vita. Ma – come detto – nessun’altra epoca, al pari della nostra, ha prodotto tanti luoghi e tanti metodi di disprezzo e di distruzione della vita, nella sua unicità e nel suo valore universale. Pertanto, l’edificazione di un nuovo ordinamento sociale implica una ispirazione, una motivazione ed una “fede” nel futuro della persona umana, nella sua dignità e nel suo destino; è al cuore e allo spirito della persona che si deve arrivare: in una parola, si deve rispettare la persona umana per se stessa. Questo è il valore supremo da promuovere, in quanto la persona non è “qualcosa”, ma è “qualcuno”, con la sua unicità ed irripetibilità. Per tale ragione, il male, l’errore, il crimine devono essere smascherati e giudicati, quando negano e ledono la vita e la dignità dell’uomo, perché annientano, con virulenza subdola ed inesorabile, il bene della coesistenza tra gli uomini e la società umana.