La percentuale dei decessi nelle donne è del 43% rispetto al 37% degli uomini.
La malattia cardiovascolare? Trattasi di una patologia tra le più gravi e più frequenti soprattutto nei Paesi sviluppati e, in continua crescita, in quelli in via di sviluppo.
La conoscenza e la riduzione dei fattori di rischio, i progressi delle terapie farmacologiche e chirurgiche nelle cardiopatie ischemiche, aritmie, valvulopatie, insufficienze cardiache etc. hanno ridotto di più del 60% i decessi negli ultimi cinquanta anni negli Stati Uniti. Tuttavia,<<le malattie cardiovascolari rimangono la causa di morte più comune, essendo responsabili del 35% di tutti i decessi, quasi un milione ogni anno>> (Harrison. Principi di Medicina Interna. L’approccio clinico al paziente 2012).
Un ulteriore dato statistico di quest’ultimo mezzo secolo è quello che, dopo la menopausa, si riscontrano più decessi nelle donne rispetto agli uomini di pari età. Per tanti anni si è ritenuto il contrario. In realtà la percentuale dei decessi nelle donne è del 43% rispetto al 37% degli uomini. In effetti gli estrogeni endogeni nelle donne fertili rappresentano un notevole fattore protettivo cardiovascolare. Ciò non avviene con l’assunzione di estrogeni esogeni di sintesi. Il fumo è certamente un fattore di rischio importante, le donne over 50 anni fumatrici sono in numero un po’ superiore rispetto ai coetanei uomini. Più importanti ancora sono i fattori di rischio che portano ad un’infiammazione subclinica dell’aterosclerosi, sia a livello coronarico (centrale)che sistemico vascolare (periferico).
Pensiamo solo alla crescente prevalenza dell’obesità, del diabete mellito di tipo 2 (dell’adulto), della sindrome metabolica (ipertensione, intolleranza agli zuccheri, dislipidemia, eccesso ponderale).
Tutto qui?
Sono del parere che ci siano altri due fattori di rischio da prendere in considerazione. L’ereditarietà intesa come tendenza ad ammalarsi di patologie cardiovascolari. Ce lo rivela l’anamnesi familiare. L’esperienza clinico – pratica, non quella da salotto da talk show televisivo, ha basi solide. Come negare che sia il diabete mellito e l’ipertensione arteriosa dei genitori non sia influente nei figli (ovviamente alcuni, non tutti)? Il secondo elemento da non trascurare (non è infatti meno importante) è quello legato al cambiamento dello stile di vita delle donne contemporanee rispetto a quella di cinquanta – settanta anni fa.
Studi epidemiologici ci aggiornano che il numero assoluto dei decessi dovuti alle patologie cardiovascolari negli uomini è diminuito negli ultimi decenni; nelle donne invece è aumentato. Non è mia intenzione ridimensionare il ruolo attivo della donna nella società moderna con conseguente emancipazione e raggiungimento, per meriti, di ruoli apicali.
Siamo però sicuri che il doppio impegno di mamma, casalinga e nel contempo lavoratrice sia irrilevante? Non tutte si possono permettere collaboratrici domestiche o babysitter. E i nonni non bastano. Uno stile di vita più frenetico, convulso, fonte di maggiori tensioni in una donna in post-menopausa non potrebbe essere rilevante nell’accelerare in aterosclerosi polidistettuale? Infarto del miocardio; ictus e/o emorragie cerebrali; aritmie severe; blocchi cardiaci a livello di conduzione atrio – ventricolari; aneurismi (cerebrali, aortici, toracici e addominali); arteriopatie ischemiche mesenteriali, trombosi, scompensi cardiaci, iperviscosità ematica con turbe della conduzione etc.
È certamente vero che le donne vivono ora più a lungo degli uomini (85 anni verso 80). Stiamo però parlando di una popolazione femminile venuta alla luce più di 85 – 90 anni fa. Sarà così nei prossimi venti/trenta anni? È questo un interrogativo che mi sono posto prendendo in esame i dati statistici sopra riportati.
Un’ultima nota clinica. Riguardo ai quattro sintomi basilari cardiovascolari (precordialgia, sincope, dispnea, cardiopalmo) le donne cardiopatiche, secondo l’esperienza empirica di molti clinici (me compreso), accusano dolori atipici precordiali o retrosternali. Non sono così chiari come quelli classici dell’uomo. Come si riscontra più spesso negli anziani, l’infarto può essere anche silente.