L’orecchio bendato di van Gogh

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Tutti conosciamo il celebre Vincent van Gogh, nato il 30 marzo 1853 a Zundert, uno dei più importanti pittori olandesi dell’arte del XIX secolo. Van Gogh realizzò tantissime opere: quasi novecento dipinti e di più di mille disegni, senza contare poi i bozzetti. Nonostante le critiche del severo padre disegnò fin da quando era un bambino e l’arte diventò poi la sua professione. I soggetti che amava di più rappresentare erano paesaggi, nature morte, fiori, cipressi, campi di grano e girasoli, e autoritratti. Tra il 1886 e il 1889 van Gogh eseguì ben trentasette autoritratti, ognuno con un profondo significato psicologico, che portavano, e portano tutt’oggi, l’osservatore a cogliere le inquietudini più profonde della sua anima. Ma la necessità di dipingere sé stesso non era dettata da un egocentrismo narcisista: Van Gogh era costretto ad usare il suo visto come modello perché non poteva permettersi di pagare la posa di un professionista. Uno degli autoritratti più famosi è sicuramente “Autoritratto con l’orecchio bendato”, realizzato nel gennaio del 1889 dopo un particolare evento successo nel mese di dicembre dell’anno prima: dopo una accesa discussione con Gauguin, i due amici si allontanarono e Vincent si amputò l’orecchio sinistro con un rasoio dal dispiacere. Secondo un’altra teoria, quella dello studioso Martin Bailey, Vincent si sarebbe mutilato l’orecchio dopo aver appreso del matrimonio del fratello Theo: distrutto psicologicamente e temendo che il fratello, da cui dipendeva economicamente, non lo avrebbe più sostenuto, si auto-lesionò. Dopo aver passato due settimane in ospedale, il pittore si ritrasse spesso con l’orecchio fasciato. L’ “Autoritratto con l’orecchio bendato” fu ceduto poi al proprietario di un negozio di colori di Parigi, Julien Père Tanguy, come pagamento per del materiale da pittura, quando le opere dell’artista non valevano ancora nulla. Oggi l’autoritratto, capolavoro del post-impressionismo dal valore inestimabile, è conservato alla Courtauld Gallery di Londra.

Di Pamela Stracci