di Antonio Calicchio
In queste settimane, una buona notizia ha dato l’abbrivio a molteplici commenti, e, in quanto tale, merita una riflessione. Secondo la classifica stilata da Ethnologue, pubblicazione di Sil International (Summer Institute of Linguistics, Dallas, Texas), nell’anno accademico 2016-17, l’italiano è divenuto la quarta lingua più studiata al mondo, dopo inglese, spagnolo, cinese. Pertanto, sorpasserebbe il francese. Se ci riferiamo, invece, alla lingua parlata, allora l’italiano si attesta al 21esimo posto, dunque, non svetta, ed è preceduto da inglese, cinese, hindi-urdu, spagnolo, arabo, francese, malese, russo, bengalese, portoghese, etc.. Ma, poiché gli Italiani spesso si trasferiscono all’estero, la nostra lingua acquisisce un buon primato in un altro campo: risulta essere madrelingua in 26 Paesi.
La crescita del numero di studenti che apprendono l’italiano è un fatto gaudioso. Donde nasce questo interesse? L’attenzione per l’inglese e il cinese si spiega da sé: il primo, consente lo scambio interpersonale veloce, è strumento utile sempre e dappertutto, in un mondo globalizzato; il cinese è ormai indispensabile per l’economia, il commercio, l’industria.
Dove starà, allora, l’attrattiva dell’italiano? In genere, una lingua straniera si apprende non in astratto, ma come espressione di cultura, pensiero, storia, modo di vivere. Chi si accosta all’italiano è spesso spinto da ragioni turistiche – clima, luce, sole, cucina, paesaggi – ma anche e soprattutto da motivi artistici: i beni culturali. L’arte calamita studenti, intellettuali, studiosi, ma anche persone semplici che visitano i musei, le città storiche, i piccoli borghi, le chiesette, i palazzi fuori mano. L’amore per l’Italia, e, quindi, per la sua cultura e la sua lingua, non è sorto oggi: ha radici robuste.
Enorme fascino ha sempre esercitato sugli stranieri il nostro Rinascimento. Vale – è scontato – per l’Europa d’oltralpe; ma vale altresì per gli Stati Uniti, che intendono il Rinascimento come un momento meraviglioso e fondativo, che essi sentono come un “proprio passato”. Dopo la guerra d’indipendenza delle 13 colonie nordamericane contro la Gran Bretagna, la loro madrepatria, si sviluppò un intenso gusto per l’architettura rinascimentale di Andrea Palladio (1508-1580): nacquero edifici e ville di chiara impostazione palladiana – un esempio è la Casa Bianca – quasi a instaurare un rapporto diretto con l’Italia rinascimentale, e, nel contempo, a sottolineare una distanza dal dominio, ideale e politico, dell’Inghilterra e della Francia.
Se guardiamo, poi, all’Europa, allora spicca l’infatuazione dei grandi scrittori. Goethe percorre la penisola ponendo il palpitante, famoso interrogativo: Kennst du das Land, wo die Zitronen blühen? (conosci il Paese dove fioriscono i limoni?). Stendhal visita e vive a Milano, Parma, Firenze, Roma, Napoli, si esalta e scrive Una storia della pittura italiana, del 1817. La lingua italiana è dal Seicento quella dell’opera lirica, diffusa in tutta Europa e, poi, oltre gli oceani: Rossini, Bellini, Donizetti, Verdi, Puccini, e già prima il teatro in musica di Pietro Metastasio, godono di una fortuna, dapprima, continentale, poi, planetaria. Ed infine, accanto a Shakespeare, nell’immaginario collettivo giganteggia Dante Alighieri, col suo poema grandioso, complesso, talvolta irto di difficoltà, ma potentemente evocativo ed allegorico. Non meraviglia, dunque, che l’amore per la lingua italiana sia radicato, che la si studi e la si coltivi: è veicolo indispensabile per penetrare una cultura affascinante, inebriante, che ha donato, e dona, al mondo arte e bellezza.
Ciò detto, cito, a margine, una circostanza paradossale. L’art. 6 della Costituzione afferma che “la Repubblica tutela con apposite norme le minoranze linguistiche”, ma curiosamente non prevede alcuna tutela per l’italiano, ossia la lingua parlata, in larghissima prevalenza, sul territorio nazionale, dalle Alpi a Lampedusa, in cui sono redatti gli atti ufficiali della Repubblica. Per converso, l’affermazione che “quella italiana è la lingua ufficiale dello Stato” si trova nello statuto di autonomia della Regione autonoma Trentino-Alto Adige, cioè di un territorio in cui l’italiano è in concorrenza con altre lingue (tedesco, ladino). Questa smagliatura, nell’ambito del dettato costituzionale, è stata spesso oggetto di discussione.
Recentemente, il ministro degli Esteri, Enzo Moavero Milanesi, si è impegnato a reperire risorse finanziarie per rilanciare la rete delle scuole italiane all’estero, un tramite efficace per la diffusione della cultura italiana. Proposito lodevole. Ma è fondamentale che tale rinvigorimento vada di pari passo con un forte sostegno agli altri due ambiti direttamente interessati: del turismo, e dei beni e delle attività culturali. L’Italia può brillare, ma occorrono investimenti mirati e intelligenti: ai tre ministri è consegnata una grande responsabilità.